L'osceno reality della quotidianità
New York, sera del 24 aprile 2004, lo zapping tra una stazione televisiva e l'altra manda in onda la volgarità. Sulla Upm Nine, canale di tendenza, viene trasmesso Fear Factory, un reality show nel quale prima tre uomini si sfidano a chi riesce a mangiare un cervello crudo di animale e quindi tre donne vengono immerse fino al collo in un contenitore pieno d'acqua nel quale sono calati dei topi morti: la gara, ora, è tra chi riesce a prendere il maggior numero possibile di roditori con la bocca e a depositarli sul bordo del recipiente. E fortuna che la Camera dei rappresentanti, solo due mesi fa, ha approvato a larga maggioranza una legge contro la volgarità verbale televisiva che prevede multe salatissime dino all'oscuramento dell'emittente colpevole.
Roma, sera del 5 settembre 2006, ancora alle prese con lo zapping tra un canale e l'altro: va in onda stavolta la violenza (psicologica). Su Canale 5 viene trasmesso Unan1mous, nuovo reality condotto da Maria De Filippi. Sembrerebbe di essere alle solite: nove sconosciuti personaggi, ingaggiati per sottostare a un periodo di convivenza forzata in un luogo di «detenzione», che concorrono per aggiudicarsi un ricco montepremi. Si scopre ben presto che le cose non stanno esattamente così. Il programma non si adatta tanto al facile palato dello telespettatore passivo, quello che ama guardare reality che durano mesi, per capire chi sarà eliminato. A rimanere ammaliato dal nuovo programma Mediaset è invece il telespettatore morboso o cannibale, amante della tv dalle forti tinte che sbatte in prime time vicende drammatiche o dolorose seguendole con occhio sadico. I partecipanti a Unan1mousnon vengono giudicati ed eliminati dal voto del pubblico ma, grazie a una serie di meccanismi perversi (come la pubblica rivelazione, da parte della produzione, di segreti inconfessabili carpiti subdolamente agli aspiranti al momento dell'ingaggio), si scannano tra di loro per determinare il vincitore.
Se allo stato attuale ormai il pettegolezzo, ontologicamente, è la televisione, il reality della De Filippi ci mette di fronte al lato oscuro del gossip, quello più strisciante e pericoloso di una lotta senza esclusione di colpi mascherata da una insostenibile ipocrisa. Meglio allora il gossip becero, ma meno disturbante e più inoffensivo, al quale ci hanno abituato i pittoreschi pubblici presenti nei vari studi televisivi, sempre più simili a caravanserragli: casalinghe nevrotiche e frustrate incollate tutto il giorno davanti al piccolo schermo, a seguire gli amici di giorno e di sera, e quindi autoindotte o istigate a rovesciarne in tv vizi privati e pubbliche magagne; ragazzine isteriche che urlano e applaudono per dimostrare semplicemente di esserci; sedicenti opinionisti, fieristici esperti tuttologi e superpresenzialisti di turno che si muovono come schegge impazzite da una trasmissione all'altra; uomini e donne del giorno, ex-grandifratelli ed ex-isolanifamosi e varie mezze figure di miracolati del piccolo schermo portati alla ribalta per soddisfare gli appetiti più bassi.
Quale sarà l'ultima frontiera dei reality? Nella cifra visionaria dell'ultimo romanzo della scrittrice belga di lingua francese Amélie Nothomb, Acido solforico(Roma, Voland, 2006), si narra la storia di un reality ambientato in un campo di sterminio: i concorrenti, scelti casualmente tra gli abitanti di Parigi, una volta internati subiscono maltrattamenti e umiliazioni di ogni tipo; e gli esclusi di turno, selezionati dal televoto, vengono giustiziati. È solo una metafora, ma esprime bene il senso del continuo superamento del limite.
Lo zapping non basta a salvarsi dall'osceno, né serve in molti casi spegnere la tv; perché assai più oscena, oggi, è la scena del mondo. E quando questa, con le sue squallide, quotidiane miserie, ci appare in tutta evidenza (come nel nuovo programma di Maria De Filippi) dal piccolo schermo, solo allora, paradossalmente, ci rendiamo conto di essere di fronte a una verità che non avremmo mai voluto scoprire e che ci viene contrabbandata per giunta come il frutto innocente della finzione imposta dalla logica spettacolare. Solo allora prendiamo atto della quotidiana violenza del mondo che Unanomous ci ha volgarmente sbattuto davanti .
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