Storia di debiti e maxiscalate
All'inizio era la Stet, finanziaria del gruppo Iri: era il 1933 quando lo Stato italiano iniziò a acquisire compagnie telefoniche private travolte dalla grande crisi. La prima fu la Sip (acronimo di Società elettrica piemontese, che aveva diversificato nella telefonia). Dentro c'erano nomi famosi come Stipel, Timo, Telve. Poi negli anni '50 furono acquistate dalla Stet anche la Teti e la Set. Nel '64 le cinque concessionarie vennero unificate e nacque un unico monopolio pubblico, chiamato Sip. Trent'anni dopo, dalla fusione di questa con altre 4 società Iri-Stet, nasceva Telecom Italia.
Nel 1995, con una scissione parziale dalla casa madre, nasce Tim (Telecom Italia mobile) il cui capitale è controllato per il 63,01% da Telecom. Nel dicembre 1996 il Tesoro rileva dall'Iri la Stet (nella quale non era presente solo la telefonia). E' la premessa per la privatizzazione completa del settore telefonico, nel quale nel '94 si era affacciata (nella telefonia mobile) anche Olivetti. L'addio dello Stato alla telefonia avviene un anno dopo: il 6 novembre 1996 viene annunciato l'avvenuto collocamento del 35,26% del capitale con un incasso di 22.880 miliardi.
A comandare è un piccolo nucleo di azionisti che avevano rilevato a trattativa diretta il 6,62% delle azioni. Il comando della società, al posto di Guido Rossi artefice della privatizzazione, passa a Franco Bernabè. Ma dura poco: il nucleo di azionisti che dovevano garantire stabilità alla società è fragile e nell'aprile '99 un'Opas (offerta di pubblico acquisto e scambio) lanciata da Olivetti (Colaninno), che aveva ceduto Omnitel a Vodafone, raccoglie il 51,02% del capitale ordinario. La scalata costa quasi 61mila miliardi di lire. Colaninno («il capitano coraggioso», lo definì D'Alema) li riceve in prestito direttamente dalle banche e con obbligazioni della controllata Tecnost che emette anche nuove azioni per oltre 37mila miliardi. I debiti crescono e, a questo punto, si moltiplicano i giochi finanziari: nel 2000, ad esempio, la Tecnost viene incoporata nella controllante Olivetti.
Ma non è finita: nel luglio 2001 Olimpia, una società appositamente costituita e controllata per il 60% da Pirelli (e per il 20% dai Benetton) rileva per 6,56 miliardi di euro il 23,3% di Olivetti, in portafoglio a una società chiamata Bell. Complessivamente (grazie a precedenti acquisti) Olimpia controlla il 29% del capitale Olivetti e attraverso la società di Ivrea è padrona di Telecom. Molti sollevano dubbi sull'operazione: visto che Olivetti controlla Telecom, viene chiesta un'Opa obbligatoria da parte di Pirelli e soci anche su Telecom. Ma la Consob la esclude. Nel giugno 2003 Olivetti lancia un'Opa sul 17,3% del capitale ordinario di Telecom e sborsa 5,27 miliardi di euro. E' la premessa per la fusione (avvenuta nell'agosto 2003) tra la stessa Olivetti e Telecom, che si ritrova addosso tutti i debiti contratti da Olivetti per pagare le varie scalate.
Nel giugno del 2005 una nuova svolta: la Tim torna a casa. La «gallina dalle uova d'oro» (così definita per gli enormi profiti che genera) viene incorporata in Telecom. Una fusione funzionale alla miglior integrazione tra fisso e mobile, viene spiegato. In realtà fanno gola i dividendi di Tim, per alleggerire gli oneri finanziari di Telecom.
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