Una legge per entrare nell'edicola del futuro
Editori e giornalisti, protagonisti anche per questo rinnovo di contratto di lavoro di infuocate battaglie sindacali, si sono sempre ritrovati uniti nel far ricadere parte degli oneri di ristrutturazioni o investimenti sulle spalle dello stato. Ma questa comoda «abitudine» poteva essere comprensibile quando il prezzo dei quotidiani era uguale per tutti ed era stabilito una volta all'anno dal Cip, Comitato interministeriale dei prezzi. Così il governo da un lato conteneva il prezzo dei giornali, che rientrava nel cosiddetto paniere dell'inflazione, e dall'altro teneva più «vicina» la stampa. Fino al punto che, in coincidenza con un forte rialzo del costo della carta, che stava per piegare le ginocchia alla maggior parte degli editori, l'esecutivo acconsentì a intervenire accordando un consistente contributo economico.
Gli anni '70/'80 furono anche caratterizzati da un ampio dibattito politico sulla trasparenza della proprietà dei giornali, determinanti per raccogliere il consenso degli elettori come lo è oggi la televisione. Tant'è che la legge 416 sulla «Disciplina delle imprese editrici e provvidenze dell'editoria» che vide la luce, dopo una lunga gestazione, nell'agosto 1981, nei primi articoli si preoccupava soprattutto di rendere trasparente la proprietà dei giornali.
Ma quella legge prevedeva che alla sua scadenza, dopo cinque anni, il prezzo dei giornali sarebbe diventato libero. E ciò avvenne, ma non finì invece la pioggia di «aiuti» agli editori anche se nel frattempo, sollecitati dagli incentivi della legge, avevano drasticamente innovato i loro impianti e per la maggior parte riconquistato l'equilibrio dei conti.
Ci sono voluti infatti altri dieci anni per mettere la parola fine ai contributi per la carta, mentre continuano altri aiuti compresi i grossi sconti sulle tariffe postali e sulle telecomunicazioni.
Della generosità dello stato, oltre al gruppo Caltagirone, L'Espressoe Rcs- Corriere della Sera, che ormai controllano la maggior parte delle testate giornalistiche nostrane, godono tante altre realtà del mondo della comunicazione quali giornali di partito, settimanali diocesani, testate no profit, quotidiani editi da cooperative giornalistiche, radio e televisioni locali con notiziari giornalistici, nonché le agenzie di stampa, con in testa l'Ansa.
E fu proprio l'Ansa, all'inizio degli anni cinquanta, sull'orlo della bancarotta, a chiedere al governo di allora di intervenire in suo soccorso. Toccò così a Luigi Einaudi firmare la legge che autorizzava il governo a pagare l'Ansa e altri (l'esclusiva non poteva essere consentita) in cambio della promozione della sua attività. L'allargamento del provvedimento ad altri soggetti favorì poi la nascita di altre agenzie di stampa che poterono attingere alle casse dello stato.
Anche la legge 416 e le sue successive proroghe diedero vita a molte iniziative editoriali che contano sulla copertura di almeno il 50 per cento dei costi da parte dello stato. Mentre per quanto riguarda le maggiori realtà editoriali ha consentito una gestione meno stringente sul piano della produttività.
Non basta far pulizia delle cooperative di comodo o degli pseudo-giornali di partito. Oppure tagliare i contributi diretti che vanno a favore anche di chi non ne avrebbe bisogno e selezionare meglio i beneficiari dei contributi indiretti, meritevoli perché vengono discriminati dal mercato pubblicitario.
Occorre che il legislatore anziché continuare sostanzialmente a prorogare a pezzi e bocconi la 416, che appartiene alla cultura della cosiddetta mentalità tipografica ormai definitivamente tramontata, sappia soprattutto aiutare il traghettamento del nostro sistema giornalistico, tanto sul piano imprenditoriale che professionale, nell'era mediale televisiva caratterizzata anche da new media, come internete cellulari o la free pressche fanno i conti soprattutto col mercato. E una strada potrebbe essere quella di favorire attraverso incentivi fiscali o contributi in conto capitale - come si sta già pensando in alcuni ambienti governativi - la concentrazione di alcune storiche testate (sia agenzie di stampa che giornali ) che insieme potrebbero trovare più coraggio per investire nell'innovazione e diventare quindi più competitive. L'avvento di internet, anche se sono ancora in tanti che stentano a crederci, ha avviato una vera e propria rivoluzione nei mediaabbattendo le barriere di attività fra le aziende editoriali: tutti (agenzie di stampa, editori di giornali, providerdi contenuti per internet, etc.) possono essere imprese in grado di realizzare prodotti per l'informazione o l'intrattenimento in formato testo e audiovisivo, che hanno le caratteristiche industriali di ogni altra merce.
Un approccio adeguato al problema potrebbe prendere spunto dal metodo inaugurato da Prodi per affrontare i fronti più caldi del programma di riforme. Si potrebbe infatti costituire presso il Dipartimento per l'informazione e l'editoria un tavolo tecnico dell'informazione al quale far partecipare non solo le rappresentanze sindacali, ma anche i soggetti imprenditoriali e professionali più impegnati nel settore. Ma è essenziale che attorno allo stesso tavolo si discuta tanto del sistema cartaceo che di quello audiovisivo e che sia presente oltre ai sottosegretari Franco Levi ed Enrico Letta anche il ministro delle comunicazioni, Paolo Gentiloni. Obbiettivo: aiutare oggi il sistema dell'informazione a entrare nell'edicola del futuro, come la 416 venticinque anni fa favorì la rivoluzione nelle tipografie dei giornali.
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