Dai giornali in cooperativa le proposte per «fare pulizia»
Non è stato facile finora. Non lo sarà fino alla fine. Ma qualcosa forse si sta muovendo. Parliamo del piccolo grande mondo dell'informazione «non profit», riunita ieri mattina nell'assemblea di Mediacoop per fare il punto sia per quanto riguarda il «sostegno pubblico» al settore, sia per quanto concerne i criteri legislativi che regolano quel sostegno.
La Costituzione riconosce la natura speciale della «merce informazione», e prevede che vadano sostenute quelle voci essenziali che il mercato - per sua natura - soffocherebbe. Lo stato lo ha fatto finora con un fondo «a ripartizione» tra tutti i soggetti ammessi, che però è stato ridotto - nella finanziaria 2006 - da 170 a 140 milioni di euro. Il Dpef di luglio (col «decreto Bersani») lo aveva inopinatamente ridotto a soli 98. Un ordine del giorno del parlamento ha impegnato il governo a riportare la cifra almeno al livello originale - e in tal senso è intervenuto anche il sottosegretario Riccardo Levi, titolare della delega all'editoria, assicurando che «ora è stata riportata coerenza tra le cifre previste in bilancio e le erogazioni effettive».
Strano modo di procedere, fin qui, da parte dello stato. Alle imprese «non profit» (compresi gli organi di partito) vengono assicurati «contributi diretti», mentre alla stampa in genere vengono concessi quelli «indiretti», come il risarcimento delle spese postali per le copie vendute in abbonamento o per la carta. Capita così che testate «quotate in borsa», o appartenenti a gruppi industriali leader, percepiscano soldi pubblici in quantità assai superiore a quella concessa a piccole testate indipendenti come la nostra. Salvo poi ammannire la predica sulla necessità di «tagli alla spesa pubblica».
La situazione è aggravata da diverse testate che accedono ai fondi sfruttando le maglie troppo larghe e vaghe della legislazione attuale. La trasmissione Reportha mandato in onda una puntata illuminante; e la riprova la si è avuta, pochi giorni dopo, con l'arresto del proprietario del Giornale d'Italia.
Mediacoop perciò non si è limitata a lanciare un appello a favore del ripristino della vecchia cifra (140 milioni) per il fondo dell'editoria, ma ha portato quattro proposte di modifica della legge proprio per «fare pulizia» in un comparto popolato in massima parte di «editori veri» che fanno informazione con pochi soldi. In primo luogo, va rispettato il «principio di mutualità»: tutte le cooperative editoriali devono avere almeno il 51% dei dipendenti giornalisti come soci. Attualmente ci sono «cooperative» con pochi soci proprietari che non lavorano, mentre a farlo sono dei dipendenti a tutti gli effetti. In secondo luogo andrebbe introdotto un tetto massimo ai contributi rapportato al numero dei giornalisti assunti con contratto a tempo indeterminato (per esempio, 150.000 euro). Finora i contributi sono proporzionali alla tiratura, senza neppure distinguere tra giornali di 20 pagine (come quello che avete fra le mani) oppure solo quattro. Terzo: le copie «vendute» devono essere considerate tali solo se pagate almeno il 50% del prezzo di copertina. C'è infatti un trucco cui alcuni ricorrono: vendere alcune migliaia di copie a un solo compratore, magari al prezzo di un centesimo l'una. In tal modo si fanno risultare «vendite» più alte e si incassano contributi pubblici superiori a quelli cui si avrebbe diritto. Infine, i quotidiani ammessi ai contributi debbono essere presenti in almeno il 40% delle edicole del territorio di riferimento (molte delle testate di cui parliamo sono locali, non nazionali).
Se queste indicazioni fossero immediatamente inserite nel dispositivo della legge finanziaria si potrebbe raggiungere il doppio obiettivo di risparmiare ancora qualcosa (anche se rispetto al 2005 il taglio subito dal fondo per l'editoria è già stato del 18%) e di fare giustizia, «ripulendo» il comparto dai pochi furbi che sottraggono troppe risorse. «Inaccettabile», invece, secondo il presidente Lelio Grassucci, il modo di procedere provato finora, con «tagli a pioggia» che colpiscono percentualmente in parti eguali tutti, ma che proprio per questo finiscono per svantaggiare ulteriormente gli «editori veri».
Proposte che hanno colpito positivamente sia il sottosegretario Levi che Alfiero Grandi, pari carica al ministero dell'economia; sia Pietro Folena (presidente della commissione cultura della Camera) che Luigi Vimercati, sottosegretario alle comunicazioni. Parole di grande apprezzamento sono giunte anche da Giuliano Poletti, presidente di Legacoop, che ha rimarcato come sacrosanto il rispetto del «principio di mutualità: una cooperativa o è di chi lavora o non è». Basterebbe poco, insomma - per «mettere in sicurezza» questo fondamentale anello del pluralismo nell'informazione. Anzi: si risparmierebbe.
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