Prendi i clic e scappa
Dilaga la pubblicità internet, segnalando negli Stati Uniti una crescita del 37 per cento nella prima metà dell'anno e arrivando dunque a 7,0 miliardi di dollari. Ci sono i banner, rettangoli colorati da cliccare per saltare sul sito dell'inserzionista, ci sono gli interstiziali, pagine che si inseriscono tra un clic e l'altro, obbligandovi a vedere una pubblicità non voluta. Ci sono le finestre a pop-up, che si aprono senza che l'abbiate chiesto e ci sono delle animazioni colorate che in maniera ancora più implacabile si sovrappongono alle pagine, impedendone la lettura. In tutti questi casi la pubblicità conferma la sua vocazione a imporsi invadente.
Ma il settore della pubblicità online che più sta guadagnando è un altro. Sono quegli «avvisi» che tengono conto del contesto di lettura dell'utente e sono fatte di sole tre righe di testo con un link, senza tanti frizzi. Si provi per esempio a battere nel motore di ricerca Google la sigla «dvd». In risposta Google vi fornirà nella colonna grande i suoi risultati, ordinati secondo il suo criterio di rilevanza, ma in quella di destra, più stretta e separata, proporrà dei «collegamenti sponsorizzati», del tipo: «Comprare DVD / Molti articoli - prezzi bassi. Shopping online facile e sicuro / www.eBay.it» e altri dello stesso genere. Se voi cliccate su uno di questi, verrete trasportati al sito relativo e per ogni clic ricevuto l'inserzionista pagherà una qualche somma, concordata in precedenza con Google, Yahoo! o altri siti. Lo si chiama Ppc, ovvero pay per click.
La differenza è sostanziale: nei giornali e nelle tv l'inserzionista paga in base alla tiratura o all'audience ma non può essere certo che i potenziali clienti abbiano davvero guardato quella pagina colorata o quello spot, e meno che mai che ne siano discese emozioni o voglia di saperne di più. Il clic in arrivo attraverso un altro sito (Click-through) è meglio perché dice all'inserzionista che qualcuno è effettivamente andato sul suo sito. Lui stesso poi, con i suoi software, verificherà quanto a lungo c'è stato e anche se si è trasformato in un acquirente. Memorizzando i suoi dati si potrà anche verificare se quella persona nei giorni successivi è tornata spontaneamente in visita.
La seconda differenza è che questo «cliccare attraverso» è più efficace perché sul web, a differenza che davanti alla televisione, le persone spesso ci vanno per cercare qualcosa, per esempio informazioni di viaggio o di prodotto. Dunque quel potenziale cliente non ha bisogno di essere disturbato, e semmai è contento se qualcuno gli segnala i venditori di Dvd o di pentole.
Tutto bene allora? Proprio per niente, a leggere il voluminoso dossier con cui Business Week, rivista economica americana tra le più influenti, ha scavato in quel fenomeno inquietante (http://www.businessweek.com/magazine/content/06_40/b4003001.htm), di cui gli addetti ai lavori parlano almeno da due anni, ma per lo più in maniera imbarazzata. Si chiama «Frode dei clic» (click fraud), e sfrutta proprio il meccanismo del pay per click. Lo fa in questo modo: un'azienda affida a Google o altri la sua pubblicità, ma, per accrescere la sua visibilità, eventualmente accetta che essa venga smistata (parcheggiata) anche in altri siti «affiliati» a Google. Se il clic arriva da uno di questi, Google dividerà con il sito affiliato che ha generato la cliccata il compenso che riceve dall'inserzionista. Può trattarsi di pochi centesimi di dollaro o anche di diversi dollari, ma quello che conta sono i volumi.
I siti affiliati di primo livello sono autorizzati a loro volta a disseminare le pubblicità in altri siti figli, in una catena in cui tutti guadagnano qualcosa in percentuale e a pagare è sempre l'inserzionista. Sarebbe un meccanismo virtuoso, una piramide dove tutti contribuiscono alle cliccate, ma succede che i gestori di alcuni di questi siti reclutino un certo numero di amici e conoscenti, o anche di sconosciuti, perché vadano sul loro sito e lì clicchino le pubblicità. Anche questi amici verranno ripagati qualche centesimo e per questa attività è stata inventata la sigla PTR, ossia «pay to read», pagato per leggere (ma soprattutto per cliccare, ovvero Ptc). Esistono siti appositi che reclutano i cliccatori e alcuni di loro riescono a guadagnare alcune centinaia di dollari al mese. Altri usano dei software che cliccano da soli e in automatico sui siti indicati e questi vengono chiamati clickbot, robot da clic. I grandi motori di ricerca assicurano che stanno tenendo sotto controllo il fenomeno e di aver attivato degli speciali software per scoprire le truffe.
I più pessimisti valutano tuttavia che anche il 30 per cento del traffico di clic sia fasullo, altri lo stimano attorno al 10, ma in ogni caso il fenomeno è vistoso e la guerra tra guardie e ladri continua. Potrebbe derivarne anche il crollo di questo mercato e alcuni inserzionisti ormai chiedono di pagare solo se il cliccatore ha comprato qualcosa e non già per uno che clicca, sta lì pochi secondi e poi se ne va via. Siti citati:
http://www.eBay.it
http://www.businessweek.com
http://www.well.com
http://www.funzionepubblica.it
http://publicaccess.nih.gov
http://www.dcprinciples.org
http://www.alpsp.org/publications
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