Editoria, la macchia nella Finanziaria

Cancellato il diritto soggettivo ai finanziamenti dei giornali non profit e di partito. Una battaglia in Parlamento per eliminare una misura distruttiva
4 ottobre 2006
Giancarlo Aresta
Fonte: Il Manifesto (http://www.ilmanifesto.it)

In una Finanziaria, che pure contiene qualche positiva innovazione, gli articoli che riguardano l'editoria rappresentano una pesante macchia. Se il governo avesse avuto l'intenzione di far chiudere qualche decina di giornali - e tra essi diverse testate storiche, di partito e non profit non avrebbe potuto inventarsi nulla di meglio, o di peggio, di quanto è contenuto al primo comma dell'art. 26 del Decreto legge collegato alla Finanziaria. Si abolisce, infatti, il carattere di diritto soggettivo dei contributi diretti, che verrebbero, invece, erogati pro-quota alle diverse testate (veri e falsi giornali, vere e false cooperative, veri e falsi giornali di partito) sulla base dello stanziamento disponibile. Se questa norma non verrà prontamente cancellata dal Parlamento, i giornali non potranno appostare in bilancio i contributi - essendo incerto il loro importo - e vedrebbero gravemente destabilizzati i rapporti con le banche. Insomma, sarebbero spinti fuori dalle edicole da un governo che ha fatto del pluralismo e della democrazia dell'informazione una sua bandiera. Se il governo Prodi avesse deciso di copiare il governo Berlusconi non avrebbe potuto fare niente di diverso dal proporre questa norma, presente anche nella Finanziaria 2006, e cassata lo scorso anno da una forte battaglia delle forze allora all'opposizione e dalla decisione di tutti i gruppi parlamentari. Un ordine del giorno della Camera dei deputati - approvato in luglio, al termine della discussione della «manovra d'estate», che prevedeva un consistente taglio - chiedeva al governo, che a sua volta lo aveva fatto proprio, di «prevedere nella prossima Finanziaria lo stanziamento dei fondi necessari alla copertura del fabbisogno di spesa dei contributi diretti», tenendo conto «della rilevanza che la difesa del pluralismo dell'informazione ha per la crescita della democrazia nel nostro paese e del valore particolare che hanno le testate autogestite da parte di società cooperative e non profit». Se il governo avesse voluto dare uno schiaffo al Parlamento, non avrebbe potuto fare diversamente. Infine, il testo della legge sembra smentire compiutamente gli orientamenti più volte espressi - per ultimo, al Convegno di Mediacoop del 28 settembre - da Riky Levi, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all'editoria, che si fondavano, invece: a) sulla neutralizzazione degli effetti della Legge Bersani e sull'adeguamento del fondo per l'editoria al fabbisogno effettivo di spesa; b) su una politica di risparmi, legata all'introduzione di misure di maggior rigore nell'erogazione dei contributi, accogliendo anche i suggerimenti avanzati in tal senso da Mediacoop; c) sulla definizione delle condizioni necessarie per dare certezze e stabilità all'editoria cooperativa e ai giornali di partito. Insomma, siamo di fronte a un esito inatteso e paradossale, dopo un lungo e pubblico - e perciò trasparente - confronto, da cui sembravano emergere la consapevolezza del governo della delicatezza della situazione del settore e i rischi per il pluralismo impliciti nei tagli già effettuati e, insieme, la volontà delle testate politiche e non profit che effettivamente vivono dell'edicola e del rapporto con i lettori di contribuire a liberare il campo da presenze abusive e giornali fittizi. La norma contenuta nell'articolo 26 spinge tutto indietro: alla profonda iniquità dei tagli uguali per tutti tra giornali autogestiti e altri che hanno alle spalle grandi famiglie o grandi imprese; al riprodursi e amplificarsi delle condizioni di precarietà, che si traducono in una minaccia diretta alla sopravvivenza di testate come il manifesto , il Corriere mercantile , l'Unità o il Secolo ; alla profonda ingiustizia, per cui si tagliano i contributi diretti, mentre si lascia inalterato il ben più consistente flusso di risorse dei contributi indiretti, che costituiscono una parte rilevante degli utili ripartiti agli azionisti dai grandi gruppi editoriali. Sono paradossi troppo grandi, perché possano passare indenni dal filtro del confronto parlamentare, che siamo fiduciosi possa cancellare la macchia dell'articolo 26, reintegrare il fondo e sollecitare il governo a stabilire un rapporto di coerenza tra le manifestazioni di volontà e il testo legislativo. Questo passaggio è indispensabile per fermare un processo altrimenti distruttivo e riguadagnare le condizioni per una riflessione comune sulle linee di riforma del settore, su cui peraltro ci sono indicazioni interessanti nell'articolo 24 dello stesso decreto legge. Ma anticipare i tagli all'introduzione di misure di maggior rigore e ad indicazioni di riforma è una strada impercorribile, perché finirebbe con il cancellare le esperienze più significative, contraddicendo la motivazione stessa di qualsiasi innovazione.

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