I diritti degli utenti della rete. E’ l’Italia a volerli scrivere

Progetti ma anche occasioni perse al convegno del governo
13 ottobre 2006
Stefano Bocconetti
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

E’ il metodo che fa la differenza. Per ora. Certo, qualcuno dirà che puntare sulla partecipazione, chiedere pareri, sollecitarli è già molto in un settore dove fino a ieri ci si limitava a registrare le pretese dei “potenti”. Della Microsoft. Ma forse davvero ancora non basta. Comunque sia, si parte da lì: dalla partecipazione. Di che si tratta? Fra pochi giorni, ad Atene, si riunirà il forum mondiale dedicato alla rete. L’Internet Governance Forum delle Nazioni Unite. Segue quello di Tunisi, dove non si riuscì a trovare l’intesa sul tema più controverso: chi avrebbe dovuto controllare l’organismo (si chiama Icann) che assegna i domini. Quelle desinenze finali in fondo agli indirizzi Internet: “it”, “us”, “com”, ecc. Non c’era intesa su chi insomma avrebbe dovuto governare la rete. Fino ad ora, quell’organismo, è stato in mano americana, ha addirittura la sua sede nel Dipartimento del Commercio estero. Il vertice nordafricano su questo fallì, non si riuscì a trovare un’intesa. Da allora le diplomazie hanno lavorato e hanno raggiunto un accordo. Che in realtà, cambia poco o nulla: l’Icann resterà alle dipendenze americane per almeno altri tre anni, poi si vedrà.
L’intesa - la definiscono così - è tutta qui. Ma questo mini-mini compromesso consentirà, almeno, al prossimo forum mondiale di parlare anche d’altro. Di parlare per esempio di una “carta dei diritti” della rete. Diritto all’accesso, diritto di tutti a poter usufruire delle stesse informazioni, diritto a scambiarsi dati senza essere controllati. Diritto a sfruttare le potenzialità della rete. Ad Atene si parlerà anche di questo, grazie soprattutto ad un’iniziativa del nuovo governo italiano. Che, nelle sedi internazionali s’è battuto con ogni mezzo perché questi temi fossero messi all’ordine del giorno del forum. Alla fine, “la carta dei diritti” non sarà nell’agenda della sessione ufficiale ma a questo sarà dedicasto un seminario, un workshop. Con tanto di patrocinio dell’Onu.

Già, ma cosa andrà a proporre il governo italiano in quella sede? E qui, arriva la partecipazione. Proprio per sentire cosa aveva da dire in proposito il “popolo della rete”, il ministero dell’Innovazione ha promosso una consultazione on line. Bastava iscriversi e mandare i propri suggerimenti, le proprie proposte.

Una gigantesca area di discussione, insomma. E ieri, sempre su iniziativa del governo - anzi a voler essere precisi, su iniziativa della sottosegretaria per le innovazioni, Beatrice Magnolfi, visto che il ministro Nicolais è stato 5 minuti e se n’è andato, chiamato da altri impegni - un po’ tutto lo staff che ha promosso la consultazione ha dato vita ad un convegno, per fare il punto della situazione.

Di proposte, dalla rete, non ne sono arrivate tantissime. Forse anche perché - ha notato qualcuno - la partecipazione non si esercita solo “inviando” un parere via e-mail. Ne sono arrivate abbastanza, comunque, per tentarne una sintesi. Sintesi che alla fine, però, è stato un lungo elenco di problemi aperti, più che di proposte. Perché le quattro relazioni - sulla libertà di espressione in rete, sulla sicurezza, sul rispetto delle diversità, sull’accesso alla rete per tutti, sugli strumenti, insomma, per superare il digital divide -, le quattro relazioni, si diceva, hanno elencato cosa e quanto manca ad affermare una vera società democratica digitale. Quando s’è trattato di scegliere, però, non lo si è fatto. Tranne forse Vittorio Bertola che ha denunciato con forza come i tentativi dei giganti del settore di controllare i singoli utenti finiscano per mettere a repentaglio le libertà individuali, per il resto ci si è tenuti sulle generali. Così l’open source, i sistemi operativi a codice aperto, modificabili, sono diventati una chance, solo una chance in più, utilizzabile da chi vuole risparmiare sul costosissimo - per utenti e amministrazioni - monopolio Windows. Così s’è parlato di intervento pubblico a sostegno delle misure contro il digital divide ma non s’è detto se la rete debba o no restare pubblica. S’è parlato dei rischi connessi al monopolio di Bill Gates ma nessuno ha risposto, neanche qui, alla lettera aperta al governo di un gruppo di hacker di Caserta. Che invitando a sostituire i programmi proprietari con quelli open source aveva prospettato un risparmio di 45 milioni di euro. Di più della Finanziaria di quest’anno.

Carenze recuperate in parte nel dibattito, coordinato dal deputato verde Cortiana. Dove però ha avuto spazio anche il dottor Mazza, rappresentante dei discografici italiani. Che non ha usato i toni isterici dei suoi colleghi americani, quelli che passano le giornate a dare la caccia ai ragazzi che si scaricano gli mp3 in rete. Lui ha scelto una via di mezzo: al governo, davanti ad una finanziaria che pure sovvenziona la digitalizzazione dei vecchi e storici archivi musicali, ha chiesto misure a sostegno dei Drm. Quelle tecnologie anticopia che in realtà limitano la libertà d’uso degli utenti. Lui non li vuole nella versione più brutale, quella adottata dalla Sony per capire. Vuole Drm più moderati, quelli per cui una canzone - pagata - potrebbe essere ascoltata anche su computer diversi, ma li vuole. Vuole i lucchetti digitali e vuole l’aiuto del governo a realizzarli.

Bastano queste battute, insomma, per capire che la discussione sul forum di Atene s’è intracciata strettamente all’analisi della situazione della rete in Italia. Dove comunque il governo non sembra voler restare con le mani in mano. La sottosegretaria Beatrice Magnolfi, concludendo i lavori, ha annunciato qualche progetto. Innanzitutto un monitoraggio per sapere davvero cos’è il digital divide in Italia. Dove, in che zone occorre intervenire. E poi ha parlato di una sorta di consulta che studierà le possibilità di utilizzare l’open source. Magari fornendo anche assistenza tecnica alle amministrazioni. Idee, allora. I fatti però raccontano che con questo governo l’“agenzia delle entrate” ha deciso che le tasse, per le partite Iva, si debbano pagare in rete. Con un programma che gira solo su Windows. Di giornate come quelle di ieri, insomma, ce ne vorranno ancora molte.

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