La carica dei "mediattivisti"
http://www.larena.it:80/storico/20030325/cultura/D.htm
"Non riesco a capire cosa stia succedendo al mondo e all'Italia: bin Laden riesce ad andare in tv mentre io non posso" (Daniele Luttazzi). Oppure: "La terza guerra mondiale sarà una guerriglia dell'informazione, alla quale parteciperanno militari e civili senza alcuna distinzione" (Marshall McLuhan). La prima citazione è una delle tante gag che il comico italiano bandito dalla Rai spara durante lo spettacolo che sta portando in giro per l'Italia in questi giorni di guerra, e la seconda è una frase del più grande studioso dei media; prese assieme danno un unico significato: conflitti e poteri si stanno misurando e combattendo sempre più spesso sui media. E i combattenti, grazie ad Internet, possono essere anche i cosiddetti cittadini della strada. La rete oltre ad essere usata infatti dai grandi network giornalistici mondiali è diventato un'arma impropria anche in mano a chi vuole fare le pulci ai grandi poteri.
È con questo spirito che il popolo di Seattle, dei no-global, si sta trasformando in un esercito di "mediattivisti".
Dopo quasi una settimana di guerra e di immagini registrate in diretta dai videotelefoni dei vari corrispondenti presenti in Iraq, abbiamo già assistito alle prime bufale mediatiche: come quella della presunta scomparsa o morte del vice di Saddam, Tareq Aziz. Bufala messa in giro, dicono gli osservatori appositamente dal Pentagono, per obbligarlo a uscire allo scoperto ed essere poi "seguito" dai satelliti americani per scoprire il rifugio dei capi del governo iracheno. Vero o falso?
Un sito italiano, peacelink.org, ha scelto di aprire un servizio online in cui tutti, operatori dell'informazione e non, possono segnalare eventuali "bugie" o "bufale" ad opera dei media nazionali e internazionali sulla guerra (http://www.peacelink.it/mediawatch). Il sito è un osservatorio sulla guerra e sui media, una sorta di commissione di vigilanza popolare che promette di documentare i casi in cui l'informazione italiana si trasforma in propaganda.
Un altro sito che si propone di diventare il guardiano della prima vittima della guerra, la verità, è www.informationguerrilla.org. Il "Corriere della Sera" lo definisce come "il più raffinato tentativo italiano di sfruttare la formula del weblog per dotare il movimento new global d'un organo di controinformazione potente, flessibile e costantemente aggiornato in tempo reale" (www.corriere.it/ Rubriche/Mondo-Internet/2003/03-Marzo/14/bl og.shtlm). Qui si può trovare la mappa dell'informazione indipendente italiana e internazionale: fonti non ufficiali e informali offrono un punto di vista in quache caso alternativo, in altri complementare a quello dei media "ufficiali".
Un altro blog, una sorta di tavola rotonda virtuale dove ognuno può offrire riflessioni e notizie, è www.bloggerdiguerra.splinder.it. Come tutti i blog i contributi e le discussioni vengono pubblicate in forma semplice e cronologica.
E intanto anche nell'opinione pubblica più mediatica, quella americana, sta crescendo il desiderio di avere un'informazione più "critica". In questi giorni gli americani stanno prendendo d'assalto i siti informativi europei di lingua inglese come il "Guardian Unlimited" (www.guardian.com.uk) e la Bbc (www.bbc.co.uk). Già in gennaio un'indagine della Nielsen/NetRatings aveva scoperto che il 49 per cento dell'1,3 milioni di visitatori dell'edizione online del Guardian erano americani.
Ma cosa vengono a cercare gli americani nei siti d'informazione europei? Secondo Jon Dennis, uno dei responsabili del Guardian online, "sono in cerca di opinioni più critiche, diverse, probabilmente più obiettive sul tema della guerra". "Come giornalista- precisa Dennis- trovo molto strano che non ci sia nei media americani un modo critico di fare informazione sull'amministrazione Bush". Ma se si va a rispolverare le ultime leggi anti-terrorismo volute da George W. Bush dopo l'11 settembre, una risposta c'è, ed è quella data da alcuni esperti di comunicazione vicini ai Repubblicani: gli americani, giornali e media compresi, mai come in questa guerra devono essere "obbedienti".
Ma si sono levate anche alcune voci critiche. Tra queste spicca quella del guru dell'informazione, il veterano della Cbs, Dan Rather, il quale ha puntato il dito sul pericolo di "Milatainment" di quei programmi tv in cui vengono mostrate le storie vere, filmate e raccontate in diretta dai soldati impegnati sui vari fronti di guerra (vedi http://abc.abcnews.go.com/primetime/profiles e www.vh1.com/shows/dyn/military-diaries/series.jhtml ). Le armi vissute come spettacolo, ecco l'accusa che Rather rivolgera ai network poco prima della guerra.
Ora in Iraq Dov'è guerra? Nei media o nel deserto? I media diventano il campo di battaglia.
pbitta@libero.it
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