Liberi di scrivere, liberi di scioperare
Poi dicono che il mercato dei quotidiani è in crisi. Ieri dopo mezzogiorno, nelle edicole non si trovava più una copia di «Repubblica» e del «Corriere della sera». Sarà perché, dopo cinque lunghi giorni di silenzio stampa, gli italiani e le italiane avevano bisogno di notizie come gli assetati dell'acqua? Sbagliato. La verità è che il quotidiano fondato da Scalfari regalava il primo volume (più di 700 pagine) dell'Enciclopedia biografica universale Treccani e il Babbo Natale di via Solferino rispondeva con il primo volume della Universale Garzantina. Oggi i regali li offre direttamente la Confindustria che con il «24 Ore» regala la prima fetta dell'Enciclopedia della musica Einaudi. Le seconde fette delle tre opere bisognerà pagarle, però, perché il gioco dei quotidiani funziona come la droga: il pusher adesca il cliente che, una volta finito nel tunnel, è disposto anche a rubare, pur di garantirsi la dose giornaliera. Il giornale quotidiano serve per incartare la droga (e raccogliere pubblicità), salvo poi finire rapidamente appallottolato nei cassonetti della spazzatura. Lo chiamano dumping.
I giornalisti sono in sciopero per difendere quel che resta di un'ex onorata professione, quando i giornali si compravano e si leggevano per quello che le firme ci scrivevano. Gli editori - titolari di industrie, di banche, di mattoni e di partiti - si muovono nell'informazione come i padroni delle ferriere o dei terminali portuali: minacciano e ricattano i lavoratori, li mettono gli uni contro gli altri, costringono i più deboli a fare i crumiri per sterilizzare la lotta dei più forti. Lo chiamano dumping sociale.
Gli editori danno l'esempio, lo stimolo, a tutto il padronato italiano in una lotta furibonda finalizzata a cancellare i contratti collettivi di lavoro. Si lamentano della crisi ma accumulano fior di utili, grazie allo sfruttamento selvaggio dei precari e al «valore aggiunto» - enciclopedie, ma in qualche caso come in Spagna persino prosciutti - che mettono in edicola insieme ai loro giornali sempre più inutili perché sempre meno liberi.
Ecco perché continuano e crescono di intensità gli scioperi dei giornalisti. Ecco perché un giornale come «il manifesto» che non ha padroni, padrini, partiti, enciclopedie e prosciutti ha aderito al primo dei tre giorni di sciopero della scorsa settimana. Lo ripetiamo ancora una volta, soprattutto ai lettori che ci chiedono che senso abbia scioperare contro noi stessi: è un puro gesto di solidarietà, per una lotta che è tutta politica, e che paghiamo a un prezzo salato. Non è il primo sciopero che facciamo con questo intento, chiediamo scusa a noi stessi e ai lettori che ci capiranno. E' anche possibile che non sia l'ultimo. Ai colleghi e compagni di «Liberazione» che ci chiedono conto della nostra presenza in edicola il secondo e il terzo giorno di sciopero, abbiamo poco da rispondere: pensavamo che almeno a loro fosse chiara la differenza tra un'impresa editoriale capitalista, una di proprietà di un partito e una cooperativa che vive (e rischia di morire) solo del proprio lavoro. Se la nostra impresa collettiva non vende abbastanza, chi ci lavora non prende lo stipendio dal padrone, che sia un palazzinaro o un partito, semplicemente non lo prende; e quando lo prende lo prende uguale per tutti e diverso, ben diverso da quello che prendono i giornalisti delle altre testate. Abbiamo la fortuna di essere una microsocietà libera dai vincoli che opprimono le altre società, è un grande privilegio per noi che ci lavoriamo e, speriamo, un bel regalo di libertà per chi ci legge. La nostra libertà la mettiamo a disposizione di chi ne ha meno, per questo ogni tanto scioperiamo, per solidarietà e con convinzione politica, anche contro di noi.
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