Libertà di stampa ed elezioni in maggio
Menaces sur l'information è il titolo dell'editoriale del Monde diplomatique di gennaio, uscito in questi giorni in Francia. Lo ha scritto il direttore, Ignacio Ramonet. L'edizione italiana sarà in vendita con il manifesto il 16 prossimo venturo. Quello di Ramonet è un francese facile da capire e perfino noi del manifesto lo abbiamo imparato. L'articolo comincia così: «La stampa scritta attraversa la peggiore crisi della sua storia». Dopo aver spiegato le forme principali dell'accerchiamento, Ramonet prosegue: «Le recenti difficoltà del quotidiano francese Libération, ad esempio, sono sintomatiche di una condizione allarmante della stampa in generale». Libé, insomma, è l'esempio di quello che avviene e che sarebbe meglio non avvenisse. Ma che assomiglia molto alla situazione italiana.
Qui da noi i giornalisti non riescono a discutere il loro contratto. Niente contratto, finché non rinuncerete alla pretesa di essere liberi. In Francia invece è il più libero dei quotidiani che diventa un obiettivo per cordate di capitalisti. I lavoratori, giornalisti e tecnici, rifiutano dapprima di cedere i propri diritti, poi sono presi per la gola e costretti a farlo. Il diktat è durissimo: 76 di loro, su 276, usciranno di produzione. Ma, dicono i padroni, vecchi e nuovi, un giornale si può ben fare con un quarto del personale in meno. E se ne ricava un insegnamento duplice per tutti gli altri giornali, per tutto il resto dell'informazione: si può fare in tre il lavoro di quattro; ogni posto di lavoro è dunque a rischio: siate cauti, abbassate la testa, non date fastidio.
Non date fastidio ai potenti. Dopo che negli ultimi giorni le difese sono venute meno, proprio oggi il capitale del quotidiano francese si trasforma. La società del giornale si ricapitalizza, il barone Rothschild investe ancora, con l'assicurazione di più miti consigli da parte della redazione e degli altri lavoratori. In realtà basta questo segnale perché le banche, gongolanti e strapiene di soldi, si facciano avanti. Non serve neppure che si incarni un padrone dove prima vi erano soltanto dei pari; ma tanto meglio.
A fianco del barone Rothschild si innalza il tasso di nobiltà. Entra con un 33% il principe Carlo Caracciolo, gran cognato del «vicere di Torino» Gianni Agnelli e socio storico dell'altro Carlo, l'ingegner De Benedetti. Caracciolo deve aver goduto del boom immobiliare. E' pieno di soldi, forse anticipa gli interessi dell'Exor, filiale degli Agnelli in terra di Francia. In Italia Caracciolo è così lungo di soldi che compra pacchetti dell'Espresso, con la Repubblica dentro; in Francia aggiunge il 33% di Libé. I francesi, poveri ingenui, non sono scontenti: tutto o quasi è meglio del nostro barone, pensano. Ma presto si accorgeranno che due terzi del loro quotidiano resteranno immobilizzati in un patto coperto, un cosiddetto accordo parasociale, dal quale scaturiranno le decisioni principali, le nomine, la linea politica. Certo, in teoria, i redattori potranno bloccare la nomina di un direttore sgradito, ma perfino in Italia questo non avviene più.
Libé, a quattro mesi dalle elezioni presidenziali francesi, è un formidabile organizzatore del voto. E' un giornale che si rivolge ai giovani e alla sinistra, senza esclusioni. Una sinistra quanto mai divisa sul voto, con probabilmente troppi candidati e che dà per scontato di essere influenzabile dai media: da Libé appunto. Un primo compito che potrebbe esserle affidato sarebbe allora quello di mettere un po' di ordine, appoggiare una scelta, o almeno un indirizzo, spingere qualcuno, tirare le redini a qualcun altro. Ora facciamo il caso che il candidato o se si preferisce la candidata di Libé vinca le elezioni, oppure le perda, ma sempre con l'aiuto del giornale che per il 33% appartiene a uno che nel paese vicino ha molti amici e molto onore.
Un caso importante, che darebbe prestigio al nobiluomo - o al nido di nobili - che lo portasse a termine.
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