La sua passione per le cause perse
Un mulo. Stefano era un adorabile, inamovibile, irritante, inflessibile mulo. Ricordo che quando arrivò al manifesto, dovevano essere fra la fine degli anni 70 e i primi anni 80, si occupava dell'Ira irlandese che voleva staccare l'Ulster dall'Inghilterra e di non so quali ribelli filippini che combattevano per rovesciare il dittatore Marcos. Già allora era irresistibilmente attratto dalle cause perse. Fu quasi naturale la sua attrazione fatale per la Palestina e più in generale il Medio Oriente. Una passione che non l'avrebbe più lasciato. Cominciò a viaggiare, a ritagliare, a scrivere e anche a pubblicare, come editore, libri generalmente di argomento mediorientale. Ma, come era inevitabile, la sua Gamberetti editore, ebbe vita grama e corta, lasciandogli, oltre i debiti, lo pseudonimo con cui a volte si firmava sul nostro giornale: Steve Shrimps, Stefano Gamberetti.
Nella sua visione e descrizione della lotta palestinese e delle vicende mediorientali, Stefano suscitava grandi amori e grandi odi, non solo fuori dal manifesto. Non si faceva smuovere - mai - dalle tentazioni e sollecitazioni ad ammorbidire una visione spesso giudicata troppo radicale. Era ostinato nelle sue convinzioni e nei suoi articoli ma era un'ostinazione che gli veniva dal fatto di conoscere come pochi - generalmente molto di più e meglio - gli argomenti di cui parlava e scriveva. In molti l'accusavano di essere troppo «estremista» e troppo «sensibile» all'integralismo islamico. Ed essere «estremista» su temi caldi come Israele e la Palestina, l'Iraq di Saddam e il Libano degli hezbollah, il fondamentalismo islamico e il terrorismo non gli ha reso la vita facile. Anche se lui rispondeva con una certa risatina e sciorinando conoscenza e dati che sosteneva con i suoi articoli come inviato e con la maniacale cura della documentazione estratta dall'immancabile zaino che si portava sempre dietro, pieno e pesante come una valigia o un pozzo di san patrizio. Ostinato come un mulo, quando si buttava su un argomento non lo mollava più. Sia sul giornale sia fuori. Le manifestazioni che organizzava a nome del Comitato Palestina suscitavano furiose polemiche, che però non lo smuovevano. I suoi pellegrinaggi annuali nei campi palestinesi di Sabra e Chatila alla testa del suo Comitato per la memoria facevano sorridere qualcuno, ma lui non se ne curava e andava avanti per la sua strada.
Credo che il momento più glorioso della sua storia umana e giornalistica sia stata la prima guerra del Golfo. Per più di un mese restò sotto le bombe americane su Baghdad, lui solo con Peter Arnett, anche se la fama se la prese tutta l'inviato della Cnn e anche se poi saltarono fuori altri improbabili «inviati di guerra». Quello, dalla guerra irachena del '91, fu anche, fra l'altro, un momento in cui il manifesto vendette a più non posso, il doppio di prima e di dopo. Questo lo dovemmo a Stefano, anche se forse non gli demmo il merito che gli era dovuto. Magari più attenti agli aspetti che lo rendevano «diverso» e, a volte, irritante per noi, suoi compagni nella sezione internazionale, presi dal grigiore quotidiano della routine: gli arrivi sempre in ritardo in redazione, le chiusure sempre troppo tardi, l'impossibilità di convogliarlo su altri temi che non fossero i suoi o su qualsiasi altro lavoro di «cucina. Ma Stefano era Stefano. Lo ricorderò sempre come un adorabile, inamovibile, irritante, inflessibile mulo e credo che tutti noi del manifesto gli dobbiamo molto.
Diceva che dal manifesto aveva avuto tanto, ed era vero. Ma al manifesto Stefano Chiarini ha dato di più.
Articoli correlati
Il nostro uomo a Baghdad
L'università, la politica, poi Londra, gli irlandesi, il manifesto, gli arabi, Sabra e Chatila, l'Iraq sotto le bombe, il Libano, il rapimento di Sgrena. Ma tutto cominciò quando mio padre e suo padre, nello stesso campo di concentramento ai piedi dell'Himalaya...4 febbraio 2007 - Tommaso Di Francesco
Sociale.network