Carta addio, il New York Times si prepara al salto nella Rete
«Davvero, non so se da qui a cinque anni continueremo a stampare il Times. E sapete una cosa? Non mi interessa». Così Arthur Ochs Sulzberger Jr, editore e presidente del New York Times, in un'intervista al quotidiano israeliano Haaretz, che ha scioccato le redazioni di mezzo globo. Nel 2012, a sentire l'ultimo discendente della famiglia che da quattro generazioni lo guida, il quotidiano più importante d'America e forse del mondo potrebbe anche dire addio alla carta per concentrarsi solo sul Web. «Internet è un posto meraviglioso ed è lì che ci stiamo dirigendo», ha proclamato, illustrando per il suo gruppo mediatico un percorso verso il mondo virtuale che appare senza ritorno. È lì, dopo tutto, nell'universo dei bit, che ci sono i numeri (1 milione e mezzo al giorno ormai gli utenti del sito del giornale), i lettori giovani (37 anni la media dell'edizione online contro i 42 di quella cartacea) e la possibilità di risparmiare sui costi («L'ultima volta che abbiamo fatto un investimento significativo sulla stampa - dice Sulzberger - ci è costato almeno 1 miliardo di dollari. Le spese di sviluppo del sito non arrivano a quel livello»).
Si procede dunque, senza nostalgia, in una transizione che, all'interno dell'organizzazione, passa per l'integrazione della redazione web con quella tradizionale. Un processo non sempre facile, vista i delicati meccanismi che regolano la produzione di notizie in un giornale, ma che, secondo Sulzberger, «è stato infine abbracciato e supportato dai giornalisti una volta che hanno capito l'idea».
L'idea, già. Un'intuizione molto popolare di questi tempi visto che le profezie sulla fine dei quotidiani come li abbiamo sempre conosciuti non sono mai state così di moda. L'ultima copia del New York Times, si intitola, per esempio, un recente libro di Vittorio Sabadin (Donzelli editore, pp.166) recensito sul manifesto la settimana scorsa. «Il web ucciderà i giornali?» recita uno studio realizzato presentato questo lunedì a Milano, riecheggiando un titolo di qualche mese fa del settimanale The Economist («Chi ha ammazzato il giornale?»). Il tutto mentre un testo di Philip Meyer fissa addirittura la data del decesso nell'anno 2046 in un libro intitolato Il quotidiano in via di estinzione.
Tra dati di fatto (crisi di circolazione dei giornali e crescita del Web) e sensazionalismo (il morto, anche se di carta, tira sempre), il timore che presto dovremo rinunciare all'amata creatura di cellulosa e piombo non è più una novità. Ma quando alle esagerazioni dei giornalisti e alle analisi degli accademici si aggiungono le affermazioni di uno come Sulzberger, che sui giornali investe i propri denari, l'ipotesi diventa improvvisamente più concreta. Soprattutto pensando che solo una settimana fa Janet L. Robinson, amministratore delegato di Times Company, il gruppo editoriale di cui il News York Times è il fiore all'occhiello, ha rivelato che le entrate delle imprese online della società saliranno del 30% nel 2007, a fronte di una performance complessiva del gruppo non esaltante. Nel 2006, ha aggiunto Robinson, gli asset digitali sono valsi già l'8% del fatturato totale. Insomma, come ha capito da tempo Rupert Murdoch, che nel 2005 sborsò 580 milioni di dollari per MySpace.com, sito di blog e interazione sociale, il futuro commerciale passa per la Rete. Anche se non necessariamente solo per essa.
In questo senso, le parole decise di Sulzberger sono una dichiarazione di intenti per gli investitori più che una profezia da prendere alla lettera. Di fronte a mercati ansiosi di prospettive di crescita, il boss ribadisce la volontà strategica di perseguire la marcia digitale, costi quel che costi e la volontà di reinventarsi. «Il giornale non è più il centro focale della vita della città come era dieci anni fa», ha aggiunto. Alcune informazioni che un tempo erano prerogative dei quotidiani sono infatti ormai disponibili su migliaia di siti Web. Allora la sfida è adattarsi al nuovo ambiente e trovare nuovi modi di relazione coi suoi variegati abitanti, «integrando il materiale provienente dai blogger o da contributi esterni» così da «essere parte della comunità e dialogare con essa».
A patto, però di non dimenticare il proprio punto di forza: l'autorevolezza. «Siamo amministratori delle notizie - ha concluso Sulzberger - la gente non viene sul sito per leggere i blog, ma per trovare news di cui si può fidare». Che è un po' come dire: i supporti passano, il giornalismo, le sue prerogative e la sua funzione, restano.
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