Due bei titoli de La Stampa
Molti anni fa, in queste pagine, Sandro Medici, Astrit Dakli e il sottoscritto compilavano una rubrica intitolata «Mattinale», una lettura quotidiana dei giornali con l'occhio allenato di chi, come noi tre allora, faceva di mestiere il caporedattore, e l'ironia di chi fa il giornalista irregolare. Non ho mai perso questo vizio. Così, ieri mattina ho pensato che vorrei tanto conoscere i titolisti della Stampa, per capire se fanno sul serio e hanno la faccia di chi è convinto - come ho sentito dire a Enrico Mentana in una tavola rotonda su media e migranti organizzata da Paolo Ferrero - che «noi parliamo della realtà». Oppure se sono consapevoli, quelli della Stampa intendo, di quel che fanno, e se la ridacchiano. Questa seconda possibilità mi parrebbe la più confortante.
Il titolo di apertura della prima pagina della Stampa di ieri dice: «Br: un modello la lotta no-Tav». Tradotto, quel titolo significa: «Le Br, che agiscono a mano armata, pensano di dover adottare, affinché le loro azioni diventino più efficaci, i metodi del movimento contro la Tav». Il passo successivo, se la logica ha un senso, è: «I metodi di lotta dei valsusini sono utili a condurre una lotta armata».
Conclusione: «Non c'è poi gran differenza tra Br e no- Tav». Come vedete, le pallose lezioni di retorica, al liceo classico, non sono state inutili. Poi uno va a leggere l'articolo (di Susanna Marzolla) che sostiene quel titolo, e legge che nel loro bollettino definito dalla stessa cronista «(semi)clandestino», della primavera 2006, i brigatisti scrivono che «la lotta di popolo può diventare autonoma e incontrollabile»: un giudizio che si può probabilmente trovare anche nella Stampa di quel periodo, magari in una intervista a Mercedes Bresso. Ma, soprattutto, Marzolla aggiunge un giudizio, su questi brigatisti, di un giudice bolognese: «Giapponesi su un'isola deserta». Da cui si ricava che tra questa gente e i valsusini non c'è alcun rapporto, e che La Stampa e tutti gli altri hanno sprecato tonnellate di buona carta parlando di un fenomeno magari autentico (vigerebbe la presunzione di innocenza, ma a chi frega?), ma marginale, fuori tempo e senza alcuna possibilità di influenzare movimenti comunitari come quelli della Val Susa o di Vicenza.
Infatti La Stampa di ieri dedica un bel titolo anche alla manifestazione di sabato prossimo. Testatina: «Reportage». Occhiello: «L'attesa in città». Titolo: «La grande paura. 'Qualcosa succede'». Scusate i termini gergali, ma la lettura dei quotidiani è un processo complicato.
In questo caso, ciò che si ricava da queste diverse funzioni della titolazione è che un giornalista (Pierangelo Sapegno), è stato «inviato a Vicenza», e dunque possiede informazioni di prima mano sul clima in città («L'attesa»), e quel che ne ha concluso è che «in città» c'è una «grande paura» e si pensa che «qualcosa succede»: succederà certamente, non forse o c'è il rischio che. Le virgolette, in quel titolo, esprimono il senso comune dei cittadini di Vicenza. Un lettore sul tram si fermerebbe qui. Peccato, perché se si va a leggere il pezzo si trova che i soli a pronosticare problemi sono: l'ambasciatore degli Stati uniti, il presidente della Regione Galan e il sindaco di Vicenza.
Chi invece dice che non succederà niente è, insieme ai cittadini del Presidio permanente e a Luca Casarini, la questura. Pensa un po'.
Cosa si ricava da questi titoli? Il messaggio è banale, già visto ad ogni occasione di questo genere: non salire sul treno, non andare a Vicenza, guardati dai valsusini, resta a casa a guardare Prodi in tv.
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