An apology, scusateci le scuse
Tutti a leggere la rivista medica inglese The Lancet. Da ieri mattina l'annunciato articolo sulle droghe era leggibile da tutti. E per fortuna dunque che c'è il web, grazie al quale chiunque può rendersi conto di quanto poco documentata fosse la sparata in prima pagina del supplemento domenicale dell'Independent (che ha una redazione e un direttore diversi dal quotidiano): «Ci scusiamo perché dieci anni fa chiedendo la decriminalizzazione della cannabis ci eravamo sbagliati». Il domenicale, a sostegno della sua tesi citava tra gli altri un articolo di imminente pubblicazione su The Lancet, sinonimo di autorevolezza nel campo delle scienze mediche e delle politiche sanitarie: «una nuova ricerca mostra come la cannabis sia più pericolosa dell'Lsd e dell'ecstasy». Quella frase era vera, ma era soltanto un pezzo delle verità, volutamente scelto per trarre in inganno i lettori e le trasmissioni televisive come l'ingenuo Otto e Mezzo che infatti si è infilato come un pesce nella rete della disinformazione.
Leggiamolo allora questo studio (http://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140673607604644/fulltext), intitolato «Una scala razionale per valutare il danno dell'abuso di droghe». Lo scopo è di offrire alle autorità un metodo più sensato rispetto a quelli attuali che suddividono le droghe in tre categoria A, B,C in ordine decrescente di danno. Oggi, dicono gli studiosi, sono disponibili maggiori conoscenze sulle 20 sostanze prese in esame, relative a tre fattori: il danno fisico per chi le assume, immediato o nel tempo, il rischio di assuefazione e il danno sociale che chi le consuma può provocare. Per ognuno dei tre danni i ricercatori hanno individuato dei parametri con cui riclassificare le singole sostanze (per esempio danno acuto o cronico, dipendenza psicologica e/o fisica, danno sociale e costi sanitari), poi hanno sottoposto la loro griglia sia a degli specialisti del ramo, essenzialmente psichiatri, che a studiosi sociali e ricercatori medici. Agli esperti non è stato chiesto soltanto di esprimere un punteggio di pericolosità, ma anche di discutere assieme sia il metodo che le valutazioni in sessioni comuni e ripetute; questa tecnica, usata anche in altri campi, si chiama metodo Delphi. I voti che era possibile attribuire a ognuna delle venti sostanze erano 0 (nessun rischio), 1 (qualche rischio), 2 (rischio moderato), 3 (rischio estremo).
Queste valutazioni incrociate e ripetute hanno portato a una tabella riassuntiva, che è anche una classifica. In essa al primo posto continuano a esserci, com'è persino ovvio, eroina e cocaina, seguite dai barbiturici, a loro volta tallonate da metadone di strada e alcol. Il tabacco, la cui vendita e consumo è lecita in Inghilterra come altrove, si merita a tutti gli effetti un bel nono posto in dannosità e lo stesso studio fa notare che proprio ad alcol e tabacco, ufficialmente non-droghe, si deve il 90% delle morti per droga.
Lo studio pubblicato da The Lancet si chiede a questo punto se le attuali classificazioni ufficiali, in tre fasce, abbiano ancora senso, sia ai fini delle politiche sanitarie che per i provvedimenti di legge (divieto di produzione, detenzione, vendita, consumo). La risposta è che effettivamente tali tabelle non riescono a dar conto del fenomeno droghe oggi. Problematico, dicono i ricercatori, è segnare dei punti di discontinuità tra l'una e l'altra categoria quando il fenomeno è complesso e il rischio di una sostanza differisce numericamente di poco da quelle vicine in classifica. Comunque, aggiungono, se proprio si vuole usare le tre classiche fasce di droga, allora un salto netto si riscontra tra le buprenorfine, oppiacei di sintesi (rischio fisico 1,60) e la cannabis (0,99). La seconda dovrebbe dunque restare nella classe C, la più bassa, dove dovrebbero scendere anche Lsd ed ecstasy, che producono poca dipendenza e poco danno sociale. Quanto all'erba dello Yemen, il quat (o khat), foglie leggermente euforiche usate nel Corno d'Africa, essa risulta praticamente innocua in tutti i casi, ma in Italia andrà ricordato che la sua importazione per consumo delle comunità immigrate, è proibita e criminalizzata. La proposta di riclassificazione allora è questa: in fascia A tutto quanto sta dall'alcol in su. In fascia C tutto quello che va dalla cannabis in giù, e le sostanze intermedie, tra cui il tabacco, nella fascia B. Naturalmente sempre di schemi si tratta: per esempio il danno fisico associato alla cannabis può risultare più alto per il fatto che viene fumata insieme al tabacco, che danni polmonari ne provoca di peggiori. Così come quando si usino più droghe contemporaneamente è difficile discriminare tra i diversi componenti dei cocktail.
In tutto lo studio la parola skunk, tanto sbandierata dai media in questi giorni, non compare mai. Skunk è una variante di cannabis ottenuta dall'incrocio di diverse varietà della pianta, con il risultato di alzare la percentuale di principio attivo contenuto: dal 5% della cannabis usuale al 25%, sembra. Per così dire è come passare da una birretta a un superalcolico; sempre di alcool si tratta ma con una concentrazione più alta. Diversamente da come è stato scritto erroneamente in questi giorni non è una nuova droga, ma la stessa potenziata. Non c'è evidentemente alcun bisogno di riclassificare nulla, se l'approccio vuol essere scientifico e razionale. Al Tar del Lazio che ha annullato il decreto Turco per carenza di documentazione scientifica basterà spedire copia di questa ricerca assai seria e accademica.
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