LE TV E LE TESI DI DEBENEDETTI

Se Mediaset rischia non è colpa della (mia) legge

e le Tesi di Debenedetti
29 marzo 2007
Paolo Gentiloni (ministro delle Comunicazioni)
Fonte: Il Corriere della Sera (http://www.corriere.it)

Caro direttore, mi capita un privilegio raro: veder pubblicato un libro (Quarantacinque per cento, Rubettino, di cui ieri il Corriere ha anticipato i contenuti) contro una mia proposta di legge quando sta ancora muovendo i suoi primi passi in Parlamento. L' autore Franco Debenedetti, che comunque ringrazio per l' attenzione, pensa che in Italia non esista una anomalia televisiva. A sistemare le cose avrebbe infatti già provveduto la mano invisibile del mercato, con l' ausilio della legge Gasparri, alla quale il mio «critico liberale» non lesina apprezzamenti. Purtroppo non è così: l' anomalia televisiva italiana esiste eccome e la legge Gasparri l' ha consolidata. Ne parlano le indagini delle Autorità, se ne occupa la Commissione europea, lo ha denunciato la Corte costituzionale. E il presidente Ciampi vi ha dedicato il suo unico messaggio alle Camere. In cosa consiste, questa anomalia? Nel peso eccessivo della tv tradizionale sugli altri media. Nella concentrazione nel duopolio Rai-Mediaset. Nella posizione dominante di Mediaset nel mercato pubblicitario. Nella caotica occupazione delle frequenze che blocca nuovi ingressi nel mercato. Nel deficit di pluralismo che da tutto ciò consegue. Certo, queste malattie non sono nuove, durano da dieci o venti anni. Ma non sono affatto guarite. E non è l' unico caso, in Italia, di mali antichi che, piuttosto che scomparire, incancreniscono. La tecnologia digitale risolverà ogni problema? Sono un deciso sostenitore della «nuova tv», e già diversi anni fa avevo definito i protagonisti del duopolio come «dinosauri siamesi»: sempre più vecchi e sempre più simili. Ma nel lento declino delle tv tradizionali non si determina una spontanea apertura dei mercati. Anzi, a causa dei suoi antichi mali il nostro sistema televisivo si affaccia alla tv digitale in ritardo rispetto agli altri Paesi europei. E si presenta più povero, sia in termini di risorse pubblicitarie - iperconcentrate, ma assai limitate -, che in termini di varietà dell' offerta di programmi nella tv per tutti. Insomma, la concorrenza langue e nelle nostre serate non c' è molto di nuovo da vedere. Dunque, proprio ora che la transizione alla tv del futuro è cominciata servono regole capaci di rimediare alle nostre vecchie malattie. Per questo il governo ha presentato il disegno di legge, per questo chiede al Parlamento un esame accurato ma anche sollecito. Negando l' esistenza della malattia, figuriamoci se Debenedetti può condividere le terapie. Anche se, in verità, delle diverse proposte contenute nel disegno di legge il mio critico liberale ne prende di mira una soltanto: il tetto del 45% della pubblicità che prevede, per chi lo superi, l' obbligo di ridurre l' affollamento degli spot. Sostiene Debenedetti che non si può imporre per legge un tetto ex ante. Non è così, ovviamente. È vero, piuttosto, che i tetti ex ante per legge si giustificano solo in circostanze particolari e per periodi di tempo circoscritti. Essendo evidente che il tetto vale per un periodo transitorio, resta da chiarire se sussistano circostanze particolari - ad esempio il rischio di un insufficiente pluralismo- tali da giustificare limiti fissati per legge. Mi pare difficile negarlo. Le circostanze non sono meno evidenti di quelle che hanno portato a fissare altri tetti per legge, da quello alla tiratura dei quotidiani a quello ai fatturati delle tv, per stare al settore dei media. L' altra accusa al tetto del 45% è che il danno prodotto sarebbe enorme. È la tesi catastrofista di Mediaset, e ad illustrarla nel pamphlet di «critica liberale» sono validissimi economisti che con Mediaset collaborano. Ipotesi legittima, quella del danno catastrofico, ma tutt' altro che condivisa: molti esperti indipendenti, se mai, considerano la misura antitrust insufficiente. Della misura si può discutere, ma è certo che il tetto alla raccolta pubblicitaria assieme alle altre misure stabilite dalla legge favoriranno la concorrenza. Ne verrà fuori un sistema più aperto, e magari un aumento della torta delle risorse tale da non deprimere affatto il fatturato di chi oggi ha una posizione dominante. Un' ultima accusa è quella di voler indebolire Mediaset invece di proteggerla come sarebbe giusto fare per uno dei pochi «campioni nazionali». Non so quanto sia liberale, ma la critica merita attenzione. Se Mediaset corre qualche rischio, più che per il mio disegno di legge che fissa regole certe per il futuro, forse è per l' ostinazione con cui si illude di poter riproporre il suo modello di business. I monopoli domestici, che si tratti di pubblicità televisiva o di altro, non durano all' infinito. Non c' è niente di peggio che non accorgersi degli anni che passano.I mercati hanno chiara la esigenza di una svolta da parte di Mediaset. Quanto a me, non solo non demonizzo nessuno, ma sono fiducioso. Credo che l' azienda saprà imboccare una strada nuova, diversificando il proprio impegno, chiarendo le proprie intenzioni sul digitale terrestre free, reagendo alle difficoltà negli ascolti. Con quel coraggio di sfidare la concorrenza che ha avuto in passato.

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