Afghanistan, se i giornalisti si aiutano da soli
Un appello di reporter italiani e afghani è stato consegnato ieri al mullah Dadullah, che tiene ancora prigioniero l'interprete del giornalista italiano Mastrogiacomo. Il mediatore di quel sequestro, Rahmatullah Hanefi di Emergency è stato invece arrestato dai servizi afghani, e Gino Strada - sentito dai pm romani che indagano sul rapimento - ha minacciato: se non torna, Emergency potrebbe lasciare il paese. Ieri inoltre il presidente della commissione difesa del senato De Gregorio ha parlato di «centinaia di kamikaze» infiltrati in Afghanistan, e il capo di stato maggiore Di Paola ha suggerito un possibile «incremento del livello di rischio» (leggi: più mezzi, più uomini, altre regole) in Afghanistan. Se i governi non si muovono, a volte lo fanno quelli che un tempo erano considerati i loro «cani da guardia». Le associazioni dei giornalisti di Afghanistan e Italia hanno indirizzato ieri un appello ai taleban perché liberino il giornalista afghano Ajmal Nashkbandi, catturato nel sud del paese lo scorso 5 marzo insieme al collega italiano con cui lavorava come interprete, Daniele Mastrogiacomo di Repubblica, e all'autista Sayed Agha. I talebani hanno detto che i tre erano stati catturati «per essere entrati nel nostro territorio senza autorizzazione» e accusati di essere spie al servizio delle forze armate britanniche, impegnate in un'offensiva contro il movimento integralista musulmano che controlla la provincia di Helmand.
Agha è stato decapitato il 13 marzo, Mastrogiacomo è stato liberato alcuni giorni dopo con la liberazione di quattro dirigenti talebani in carcere a Kabul, ma il comandante talebano mullah Mohammad Dadullah ha deciso di prolungare il sequestro di Nashkbandi, pretendendo in seguito che il governo afghano tratti con lui la liberazione di altri tre talebani. Giorni fa, Dadullah ha dato una settimana di tempo prima di uccidere il prigioniero. Dall'inizio di questo caso, Dadullah pretende soprattutto la liberazione di un talebano, Hanif, del quale si sospetta che, dopo la cattura nel gennaio passato, abbia collaborato con il governo.
Secondo indiscrezioni non confermate, Hanif si rifiuta di lasciare il carcere perché Dadullah lo ucciderebbe come traditore. «Noi giornalisti non ammettiamo di essere considerati prigionieri di guerra, la nostra missione è di informare oggettivamente sui fatti dell'Afghanistan», dice l'appello italo-afghano. L'appello è indirizzato ai taleban «e in particolare al comandante Dadullah, che ha nelle sue mani il nostro giovane collega», perché lo liberi «immediatamente». Nashkbandi ha 25 anni. Il testo fa sua la raccomandazione che «tutte le parti coinvolte nel conflitto armato devono proteggere e rispettare la libertà dei giornalisti...e nello stesso tempo liberare immediatamente quelli tenuti sotto sequestro», formulata dal recente Forum dei mezzi di comunicazione e della società civile di Afghanistan, realizzato a Kabul il 28 marzo e organizzato da The Killid Group afghano e dall'agenzia internazionale Ips. Nella guerra in atto nel paese, che coinvolge soprattutto il sud, i taleban e altri ribelli affrontano 40mila soldati di Nato, Stati uniti e esercito afghano. I talebani hanno governato l'Afghanistan fino al novembre del 2001, quando è stato abbattuto dalle forze armate degli Stati uniti in risposta all'attacco alle torri gemelle di New York. Nella conferenza di chiusura del Forum, il ministro degli esteri Rangin Spanta aveva dichiarato che non avrebbe «mai accettato di trattare con i taleban per liberare terroristi in carcere». La liberazione dei dirigenti talebani è stata criticata da politici e parlamentari locali, e dagli Stati uniti, anche se nessuno lo ha fatto mentre il negoziato era in corso. Sabato scorso membri della camera dei deputati hanno criticato il governo per la sua «indifferenza» nell'assicurare la liberazione di Nashkbandi. In ciò che viene interpretato come una risposta all'accusa di parzialità lanciata dal comandante Dadullah contro i media occidentali, nell'appello si afferma che «noi giornalisti afghani e italiani resteremo aperti e disponibili a informare dal terreno sul conflitto in corso». Letto dall'inviato del Corriere Lorenzo Crenonesi, l'appello è stato trasmesso a Dadullah attraverso uno dei suoi portavoce e sarà diffuso da tutti i media afghani, italiani e internazionali. L'inviato della Rai Duilio Gianmaria ha anche preteso che il governo dia informazioni su Rahmatullah Hanefi, il responsabile afghano dell'organizzazione italiana Emergency a Lashkargah, vicino a Kandahar, che ha mediato nel negoziato. Hanefi è stato arrestato dai servizi di intelligence afghani all'alba dello scorso 20 marzo, poco dopo la liberazione di Mastrogiacomo, e da allora nemmeno i suoi familiari hanno potuto vederlo. L'iniziativa si iscrive nel contesto del malessere provocato in Afghanistan dal fatto che negoziati del governo italiano e di quello afghano abbiano avuto come unico obiettivo la liberazione del giornalista italiano. «Come hanno potuto il governo afghano e la comunità internazionale permettere questo?», ci ha detto Shahir Zahine, presidente di The Killid Group, che pubblica due settimanali e gestisce due radio. «I taleban stanno perdendo credibilità perché hanno liberato uno straniero mentre hanno ucciso un afghano e minacciano di ucciderne un altro», ha aggiunto. «Negli ultimi cinque anni i taleban non avevano toccato i giornalisti, c'erano state solo minacce. Adesso sanno che possono scambiarci per denaro o prigionieri», ci ha detto Danish Karokhel, direttore di Pajhwok. «Durante il sequestro abbiamo fatto tutto il possibile: conferenze stampa, lettere ai talebani... la nostra speranza era che il governo italiano aiutasse anche il giornalista afghano, non era una cosa difficile. Perché hanno accettato di recuperarne solo uno, in cambio di quattro?» ha detto Rahimullah Samander, presidente di un'associazione di giornalisti. Ora si attende la reazione del comandante Dadullah all'appello italo-afghano.
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