La guerra alla democrazia degli USA

Joihn Pilger intervistato da Pablo Navarrete
6 maggio 2007
Pablo Navarrete
Tradotto da per PeaceLink
Fonte: Znet e Venezuelanalysis.com - 02 maggio 2007
John Pilger è un giornalista pluripremiato, autore e realizzatore di documentari, che ha cominciato la sua carriera nel 1958 nella sua terra natale, l'Australia, prima di trasferirsi a Londra negli anni 60. E' stato corrispondente e reporter di guerra in prima linea, a partire dalla guerra del Vietman nel 1967. E' un critico spassionato delle avventure militari ed economiche all'estero dei governi occidentali.
"E' troppo facile per i giornalisti occidentali - dice Pilger – valutare l'umanità in termini di utilità ai 'nostri' interessi e seguire le agende dei governi che definiscono tiranni buoni e cattivi, vittime degne di nota e non, e presentano le 'nostre' politiche come sempre benevole, quando di solito è vero il contrario. Il lavoro del giornalista, prima di tutto, è guardare la propria società nel suo stesso specchio".
Pilger crede anche che un gornalista dovrebbe essere guardiano della memoria pubblica e spesso cita Milan Kundera: "La lotta della gente contro il potere è la lotta della memoria contro l'oblio". In una carriera che conta oltre 55 documentari per la televisione, il primo film di Pilger per il cinema, "The war on democracy", sarà proiettato a Londra l'11 di maggio. Pilger ha passato diverse settimane a girare in Venezuela e la pellicola contiene un'intervista esclusiva al presidente venezuelano Hugo Chavez.

PN: Puoi cominciare raccontandoci di cosa parla il tuo nuovo film?

JP: Mi è capitato di vedere il secondo discorso inaugurale di Bush, in cui sosteneva di "portare la democrazia nel mondo". Ha detto le parole "democrazia" e "libertà" ventun volte. E' stato un discorso molto importante perché, a differenza della prosa fumosa dei presidenti precedenti (Ronald Reagan escluso), non c'era dubbio che stesse spogliando concetti nobili come libertà e democrazia del loro vero significato - governo per e del popolo. Volevo fare un film che illuminasse questa verità nascosta - che gli Stati Uniti hanno portato avanti una guerra alla democrazia dietro una facciata di propaganda progettata per sviare l'intelletto e la morale degli Americani e del resto di noi. Per molti dei vostri lettori, è una cosa risaputa. Per gli altri occidentali, però, la propaganda che ha mascherato le ambizioni di Washington è una trincea da difendere, con le radici nell'incessante celebrazione della seconda guerra mondiale, la "guerra buona", e poi nella "vittoria" della guerra fredda. Per questa gente, la "bontà" del potere americano rappresenta "noi". Grazie a Bush e la sua cabala, e a Blair, però, i veli davanti agli occhi di milioni di persone si stanno sollevando. Mi piacerebbe che "The war on democracy" contribuisse a questo risveglio.
Il film parla del potere dell'impero e della gente. E' stato girato in Venezuela, Bolivia, Cile e Stati Uniti, ed è ambientato anche in Guatemala e Nicaragua. Racconta la storia del "cortile di casa dell'America", termine dispregiativo per indicare l'America Latina. Traccia il percorso delle lotte indigene prima contro gli spagnoli, poi contro gli immigrati Europei che hanno rinforzato la vecchia elite. Le riprese si sono concentrate nei barrios, dove le "persone invisibili" del continente vivono in baracche sui bordi delle colline che sfidano la forza di gravità. Racconta, alla fine dei conti, una storia molto positiva: quella della sollevazione dei movimenti sociali che hanno portato al potere governi che hanno promesso di affrontare quelli che controllano la ricchezza nazionale e i padroni imperiali. Il Venezuela ha preso la testa, e uno dei punti culminanti del film è una rara intervista faccia a faccia con il presidente Hugo Chavez la cui consapevolezza politica e e senso della storia (e buon humour) sono evidenti. Il film indaga sul colpo di stato del 2002 contro Chavez e lo proietta sul contesto contemporaneo. Descrive anche le differenze tra Venezuela e Cuba, e lo spostamento di potere economico e poltico da quando Chavez è stato eletto la prima volta. In Bolivia, il recente e tumultuoso passato è raccontato attraverso notevoli testimonianze di gente comune, inclusi quelli che combatterono contro il depredamento delle loro risorse. In Cile, Cile, il film guarda dietro la maschera di questa apparentemente moderna e prospera democrazia "modello", trovando potenti ed attivi fantasmi. Negli USA, le testimonianze di quelli che hanno guidato nel "cortile " fanno eco a quelle di chi guida l'altro cortile, l'Iraq; a volte sono le stesse persone. Chris Martin (il mio vice-regista) e io crediamo che "The war on democracy" arrivi proprio al momento giusto. Speriamo che la gente lo veda come un altro modo di vedere il mondo: come una metafora per comprendere una guerra più ampia per la democrazia, la lotta universale della gente comune, dal Venezuela al Vietnam, dalla Palestina al Guatemala.

Come hai detto, l'America Latina è spesso stata descritta come il cortile degli USA. Quanto è importante l'America Latina per gli USA nel contesto globale?

L'importanza strategica dell'America Latina è spesso sottovalutata. Ecco perché è così importnate. Leggi la recente ed eccellente storia di Greg Grandin (lo intervisto nel film) in cui fa l'ipotesi che l'America Latina sia stata per Washington il "workshop" per sviluppare e soddisfare i propri impulsi imperialisti su altri luoghi. Ad esempio, quando gli USA si sono ritirati dal sudest asiatico, dove sono andati a rivendicare la propria "visione" i suoi "costruttori di democrazia"? In America Latina. Il risultato furono i snaguinosi assalti contro Nicaragua, El Salvdor e Guatemala, e le oscure manovre dell'Operazione Condor nella regione meridionale. Era la "guerra al terrore " di Ronald Reagan, che ovviamente era una guerra al terrore che forniva la preparazione di base per quella oggi in corso, la "lunga guerra" Bush/Cheney in Medio Oriente e altrove.

Noam Chomsky ha recentemente detto che dopo cinque secoli di conquiste europee l'America Latina sta riaffermando la propria indipendenza. Sei d'accordo?

Si, sono d'accordo. E' sconvolgente per qualcuno che viene dalla prospera Europa vedere i più poveri assumersi la responsabilità delle proprie vite, gente che raramente si chiede quello che noi in Occidente ci chiediamo tanto spesso: "Cosa posso fare?". Loro sanno cosa fare. A Cochabamba, in Bolivia, la popolazione ha fatto le barricate nella città finchè non hanno avuto il controllo della loro acqua. A El Alto, forse la città più povera del continente, la gente si è sollevata contro un regime oppressivo finché non è caduto. Ciò non vuol dire che l'indipendenza completa sia stata raggiunta. L'economi del Venuezuela, per esempio, è ancora molto "neoliberale"e continua a premiare chi controlla il capitale. I cambiamenti fatti sotto Chavez sono straordinari - nella democrazia dal basso, nelle cure sanitarie, nell'educazione e nel miglioramento dlle condizioni di vita - ma la reale equità e la giustzia sociale e la libertà dalla corruzione rimangono obiettivi lontani. I benestanti venezuelani si lamentqano continuamente che il loro potere economico sarebbe stato diminuito; non lo è stato. La crescita economica non è mai stata più alta, gli affari non sono mai andati meglio. Ciò che i ricchi non possiedono più è il governo. E quando la maggioranza possiede l'economia, la vera indipendenza sarà presto a portata di mano. E' vero dovunque.

Il vice segretario di Stato USA John Negroponte ha recentemente definito il presidente Chavez “una minaccia per la democrazia” in America Latina. Qual è la tua opinione in proposito?

E' orwelliano, come “la guerra per la pace”. Negroponte, il cui ruolo di supervisore del terrorismo di Washington in Centroamerica è ben noto, ha ragione su Chavez in un certo senso. Chavez è una “minaccia” - è la minaccia di un esempio per gli altri che l'indipendenza da Washington è possibile.

Chavez parla di costruire il “socialismo del XXI secolo” in Venezuela. Fino a che punto pensi che questo progetto sia diverso dalle esperienze socialiste del ventesimo secolo?

Nel periodo che ho passato con Chavez, quello che mi ha colpito è come inconsciamente dimostrasse la propria consapevolezza della politica di sviluppo. Ero intrigato nel guardare un uomo che è allo stesso tempo educatore e leader. Qunado arriva in una scuola o in un progetto per l'acqua, ha sotto il braccio una mezza dozzina di libri - Orwell, Chomsky, Dickens, Victor Hugo. Parla citando da essi e collegandoli alle condizioni di chi lo ascolta. Ciò che apertamente fa è costruire la fiducia in loro stessi delle persone comuni. Allo stesso tempo, sta costruendo la propria fiducia politica e la sua comprensione dell'esercizio del potere. Dubito che fosse partito come un socialista quando ha ottenuto il potere nel 1998 – cosa che rende il suo percorso politico ancora più interessante. Chiaramente è sempre stato un riformatore che prestava attenzione alle sue radici nella povertà. Chiaramente l'economia del Venezuela di oggi non è socialista; al massimo è sulla via per diventare qualcosa come l'economia sociale britannica sotto il governo laburista riformatore di Attlee. Lui è probabilmente quello che gli Europei amavano definirsi: un democratico sociale. In fondo questo gioco delle etichette è abbastanza inutile; lui è originale ed ispira; quindi stiamo a guardare dove arriva il progetto boliviano. Il vero potere per un cambiamento duraturo può essere sostenuto solo dal basso, e la forza di Chavez sta nell'aver ispirato la gente comune a credere nelle alternative al vecchio ordine venale. Non c'è niente di simile in Gran Bretagna, dove sempre più persone non fanno piùla fatica di andare a votare. E' una lezione di speranza, in fondo.
Note: 'The War on Democracy' uscirà in Gran Bretagna il 15 giugno prossimo. Ci sarà un'anteprima speciale a Londra venerdì 11 maggio. Per maggiori informazioni visitate http://www.johnpilger.com o http://www.warondemocracy.net

Articolo originale (inglese): http://www.zmag.org/content/showarticle.cfm?SectionID=20&ItemID=12729
Tradotto da Chiara Rancati per www.peacelink.it
Il testo è liberamente utilizzabile per scopi non commerciali citando la fonte, l'autore e il traduttore.

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