Baghdad, fronte del video

Prima dello scoppio del conflitto le televioni hanno tentato di "formare" l'opinione pubblica con ore e ore di trasmissioni. Poi, una volta cominciata la guerra, sono emerse le crepe dell'informazione
28 marzo 2003
Amedeo Ricucci
Fonte: Il Manifesto

La guerra dei media continua a mietere le sue vittime. Ieri, mentre le prime pagine dei giornali italiani riportavano a titoli cubitali la notizia della "rivolta" di Bassora, le immagini e le corrispondenze in diretta di Al Jazeera, confermate dalla stessa Cnn, ci spiegavano invece che le situazione in citta' era molto piu' complessa: innanzitutto che nessuna rivolta era in atto, che i miliziani di Saddam non avevano "sparato sulla folla" e che la vera emergenza era quella umanitaria, per la mancanza di acqua ed il collasso delle strutture ospedaliere. Sempre in mattinata, Al Jazeera e Cnn chiarivano con degli ottimi reportage qual era la situazione reale ad Umm Qasr, data per "caduta" dai media italiani gia' da due giorni. In realta' - come hanno spiegato molto chiaramente gli ufficiali inglesi intervistati - solo il porto di Umm Quasr e' sotto il pieno controllo degli anglo-americani, che non si arrischiano pero' ad entrare in citta' perche' la popolazione resta "troppo diffidente". Ed a conferma ulteriore di questo rapporto difficile e non certo idilliaco, un ufficiale inglese spiegava alla Cnn che anche gli aiuti umanitari non sarebbero stati trasportati in citta', ma ammassati prudentemente sulle banchine del porto, dove gli abitanti di Umm Qasr "potranno venire a ritirarli". In effetti, piu' passano i giorni piu' diventa difficile capire dai media italiani come procede veramente questa guerra. All'inizio e' prevalsa l'euforia: tutti convinti che questa guerra, a differenza dell'Afghanistan o del Kosovo, potesse essere raccontata "in diretta", con tanto di immagini "dal fronte". E cosi' il circo mediatico si e' messo subito al lavoro, riuscendo a sfornare ore e ore di trasmissioni, nonche' pagine e pagine di giornali, in cui le opinioni avevano immancabilmente la meglio sui fatti, e piu' che informare si e' cercato di "formare" l'opinione pubblica. Quando poi la guerra si e' cominciata a farla sul serio, sono emerse le prime crepe in una copertura informativa che si sta rivelando di fatto molto carente, nonostante l'eccezionale dispiegamento di uomini e mezzi.

Il discorso vale soprattutto per la televisione. Da Bagdad, ad esempio, le uniche immagini che ci raccontano la guerra sono quelle di Giovanna Botteri, sul Tg3: suo lo scoop sui primi bombardamenti in diretta, suo l'unico vero servizio sulle vittime civili, con interviste ed immagini molto eloquenti. Per il resto, da Bagdad arrivano soprattutto corrispondenze al telefono, che si susseguono ad un ritmo parossistico, tanto che viene da pensare che i nostri giornalisti non abbiano nemmeno il tempo (o la voglia?) di andare in giro a fare il loro lavoro. Analoga e' la situazione che caratterizza gli altri inviati televisivi "al fronte": chi non e' ufficialmente embedded, "incastonato" cioe' nella macchina da guerra americana - ed ai pochi italiani prescelti non e' stato certo dato un posto in prima fila - trasmette infatti dal quartier generale di Doha oppure da Kuwait City, dove sono sempre gli americani a fornire la stragrande maggioranza delle notizie e delle immagini che arrivano in Italia. Il risultato e' che per giorni si e' continuato a parlare, senza che ce ne fossero prove evidenti : a) prima di missili Scud che piovevano a decine sul Kuwait e poi della scoperta vicinio Najaf di una "fabbrica di armi chimiche"; b) della "caduta" prima di Um Qasr, poi di Bassora, quindi di Al Nassiryah; c) degli iracheni che si arrendevano in massa e dell'imminente "collasso" della catena di comando del regime.

Per quanto riguarda poi gli approfondimenti televisivi, che dovrebbero servire proprio a far chiarezza, "8 e mezzo" di Giuliano Ferrara (su La 7) e' l'unica trasmissione degna di essere seguita, perche' recluta esperti veri, che si sforzano di capire e di spiegare quanto succede sia al fronte che sul campo diplomatico.

Gli altri contenitori deputati all'informazione preferiscono invece il cicaleccio da salotto ed offrono quasi sempre le loro confortevoli poltrone a politici impreparati e sedicenti esperti, per i quali la cosa piu' importante e' farsi vedere dal massimo di pubblico. L'eccesso ci viene quotidianamente offerto dai talk-shows popolari della mattina e del pomeriggio, che sono riusciti a spettacolarizzare e a banalizzare la guerra senza mai farcela vedere.

Fortunatamente c'e' la stampa. Che proprio in questa seconda guerra del Golfo - ma il discorso riguarda soprattutto l'Italia - sta prendendosi la sua rivincita sulla televisione. Forse la copertura non e' adeguata - tant'e' che molti quotidiani sono costretti a tradurre servizi e reportage di testate straniere - ed e' vero anche le firme prescelte non sono sempre prestigiose, competenti e capaci di districarsi nel gioco sporco della reciproca propaganda. Ma sono tutti giornalisti della carta stampata i cosiddetti "unilaterali", gli inviati cioe' che non essendo stati "incastonati" nella macchina da guerra anglo-americana - per scelta o per caso - hanno passato illegalmente la frontiera fra Kuwait e Irak e fanno da qualche giorno un lavoro difficile quanto prezioso, quello di cronista vero, che racconta solo quello che vede. Per capire questa sporca guerra, conviene affidarsi a loro.


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