Il giornalismo sociale
Che cos’è il giornalismo sociale? In che modo è stato influenzato da Internet?
Partendo dalla storia del giornalismo sociale in Italia, questo libro raccoglie le più importanti esperienze che hanno visto protagonisti in questi ultimi trent’anni l’associazionismo, il volontariato e i settori più sensibili del mondo dell’informazione: dai “giornali di strada” alle agenzie di stampa, dall’informazione multiculturale e dal carcere al mediattivismo che ha mosso i primi passi a Genova, durante la protesta contro il G8 del 2001, dalla femminilizzazione della professione alle norme della deontologia giornalistica nate per tutelare i “soggetti deboli”, minori, disabili, ammalati. Il testo affronta inoltre i temi dell’accessibilità del giornalismo on line, a cominciare da un’analisi del digital divide.
Mauro Sarti, giornalista, insegna Comunicazione giornalistica all’Università di Bologna.
titolo: Il Giornalismo Sociale
autore: Mauro Sarti
editore: Carocci Editore (2007) www.carocci.it
prezzo: € 9,50
ISBN 978-88-430-4196-1
Estratto dal cap. 2
2. CRONACHE DAL BASSO
2.1. L’“abusivo” del sociale Chi è il giornalista sociale? Qual è il suo percorso professionale? Quale il suo ruolo nell’organigramma della redazione, quali le fonti, le competenze, la deontologia?
Una redazione giornalistica è composta di tante figure professionali in funzione di quanti sono i settori in cui è suddiviso il giornale, e in linea con il suo progetto editoriale. Sono solitamente la cronaca nera, la cronaca giudiziaria, la politica, l’economia, gli esteri, lo sport, la cultura, gli spettacoli, infine la cosiddetta cronaca “bianca”, intendendo con questo termine tutte quelle notizie che non rientrano nelle classificazioni precedenti: la vita politica e amministrativa di una città, la sanità, il traffico, la scuola, l’università e, in genere, tutta l’informazione di servizio.
In un angusto anfratto della “bianca” trova posto il racconto della vita più sociale della città: storie di quotidiana emarginazione, inserimento lavorativo delle persone con disabilità, temi legati all’immigrazione, la psichiatria, il carcere, i nomadi e l’integrazione multiculturale. Tutti argomenti che fanno notizia solo se intrecciano gli altri settori della cronaca, ad esempio se lo sgombero dell’accampamento rom avviene con l’uso della forza (cronaca nera), se il centro per disabili viene realizzato grazie al consistente uso di denaro pubblico (economia locale), se la vittima o il protagonista di quel fatto di cronaca nera può rientrare in qualche modo in una categoria patologica (malato psichiatrico, autistico, depresso) oppure ha a che fare con la sua condizione di cittadinanza (immigrato, clandestino, rifugiato ecc.).
È in questi casi che entra in campo il giornalista sociale, giovane cronista che solitamente ha iniziato da poco tempo a fare praticantato in redazione. E diciamo “praticantato giornalistico”, ovvero citiamo il primo gradino della contrattualizzazione all’interno di una redazione, primo passo che porterà poi all’esame di Stato per diventare giornalista professionista, solo per dare un’idea del tipo di collaborazione in atto: di fatto chi entra in una redazione, oggi più che una ventina di anni fa, deve passare molto tempo in un ruolo indefinito, che va dal volontario (perché non viene pagato per il suo lavoro) all’“abusivo” di redazione, figura di giornalista non necessariamente alle prime armi che, nell’attesa di trovare una qualche collocazione all’interno o fuori del contratto di lavoro giornalistico, svolge le stesse mansioni di un redattore ordinario, secondo gradino della scalata professionale, senza averne né i titoli né la retribuzione. È lui l’anello più debole della catena produttiva all’interno di un giornale, non tutelato dal contratto di lavoro, soggetto ai ricatti di chi in redazione occupa un posto superiore al suo, e poco amato dai colleghi che competono con lui per il raggiungimento dello status di contrattualizzato.
La cronaca “sociale” incrocia spesso il suo lavoro: si parla infatti di notizie che non hanno una loro precisa collocazione all’interno della suddivisione dei servizi in una redazione giornalistica. Chi si occupa di immigrazione non è necessariamente il cronista di “nera” (anche se spesso le fonti da consultare per raccogliere le notizie vengono dalla questura, dunque dalla polizia oppure dai carabinieri); chi si occupa di droga, non è sempre il cronista di “bianca”, anche se molto spesso le fonti da sentire sono i servizi sociali del Comune, piuttosto che l’ufficio tossicodipendenze dell’azienda sanitaria locale. E così vale un po’ per tanti settori della cronaca: nessuno è deputato, e formato, per seguire il “sociale”. Nessuno ha fonti e formazione certa su questi temi. E dunque chi meglio dell’“abusivo” può spendere le sue prime esperienze da cronista in questi “grigi” settori della cronaca?
Un lavoro carico di grande responsabilità, tanto più che “sociale” non vuol dire soltanto parlare di disagio ed emarginazione; scrivere di cronaca nera e di “giudiziaria” richiede un atteggiamento non cinico verso la professione, occorre mettere in campo conoscenze e fonti non sempre facilmente reperibili, trovare le parole giuste per raccontare la morte e il dolore, la disperazione e il suicidio, l’odio razziale e la violenza, la guerra, la mafia. Persino le cronache sportive – a tratti – necessitano della stessa accortezza e sensibilità.
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