Tg e Gr, la fabbrica delle notizie che non disturba il governo
Tg e Gr, la fabbrica delle notizie che
non disturba il governo
Suggerisco la lettura attenta di questo articolo di Sebastiano Messina, apparso
su La Repubblica del 6 Novembre scorso. E’ un modello di analisi dell’informazione
politica che andrebbe inserito in ogni corso di giornalismo.
Vi sono praticamente mostrati tutti i “trucchi” che direttori disonesti possono mettere in atto per deformare, distorcere, o cancellare le notizie. Vi si evidenziano anche le pressioni, dirette o indirette, che sono esercitate contro i giornalisti, costretti ad agire contro la correttezza professionale. Resta da dire soltanto che questa è la pratica corrente quasi dappertutto, non solo dei telegionali. Anche nelle redazioni giornalistiche questi sono metodi diffusi.
Si può immaginare quale effetto queste pratiche abbiano sui giovani giornalisti, i meno difesi, i più esposti. Il clima di servilismo che si respira ormai dovunque è il risultato diretto di un oscuramento delle coscienze che ormai costituisce la pratica quotidiana. Ecco una delle ragioni dell’esistenza di Megachip: cercare di costruire nella società civile una “spalla” una protezione, un aiuto e un sostegno, anche morale, a quei giornalisti che vorrebbero reagire, ma che, da soli non possono, o possono farlo solo a prezzo di grandi rinunce, quando non addirittura del posto di lavoro.
Aggiungo un’ultima considerazione, a sostegno del finale dell’articolo di Messina: è esattamente la mia stessa preoccupazione. Quello che qui è descritto non è soltanto malcostume, ignoranza, prepotenza fini a se stessi. Siamo di fronte al tentativo di abolire le regole della professione e di un’informazione corretta. In vista dei prossimi appuntamenti che, in tal modo, non saranno più appuntamenti democratici.
Su questo dovrebbero riflettere tutti gli ottimisti anticipati
che già misurano i giorni che ci separano dalla caduta del governo Berlusconi.
Troppo presto. E molto ingenuo. Perché presuppone appunto (contro ogni evidenza)
che le regole saranno rispettate
Giulietto Chiesa
Tg e Gr, la fabbrica delle notizie che non disturba il governo
Roma - Cosa sta succedendo alla tv italiana? Ha ragione Francesco Rutelli, quando
accusa il centro-destra di aver "messo sotto controllo politico l'informazione
televisiva" e di star trasformando la democrazia italiana "in una oligarchia
mediatica dominata dal monopolio berlusconiano"? Alla vigilia della delicatissima
battaglia delle europee di primavera - e mentre il governo spinge verso il voto
finale, con tutte le sue forze, la contestatissima legge Gasparri - la questione
dell'equilibrio dell'informazione torna al centro dello scontro politico. Con
una novità non di poco conto: per la prima volta nella sua storia, il principale
telegiornale italiano - il Tg1 di Clemente Mimun ? è contestato sia dalla maggioranza
che dall'opposizione, bersagliato da attacchi convergenti, accusato dall'Udc
di essere diventato "un monumento al servilismo" e dai Ds di praticare addirittura
"un giornalismo marchettaro".
Mimun ha risposto con querele e richieste di danni. Ma ormai non si tratta più
di casi isolati, di polemiche personali, di episodi sporadici. Più del fondamentalismo
militante del Tg4, del cerchiobottismo apparente del Tg5, delle romantiche divagazioni
del Tg2, del clima da riserva indiana del Tg3 e della furba latitanza del Tg
di Italia Uno, la vera novità dell'anno terzo del berlusconismo è proprio la
normalizzazione del Tg1. Una testata che non è mai stata antigovernativa, certo,
ma che oggi è diventata il luogo dove la politica viene metodicamente sminuzzata,
frullata e bollita per cucinare ogni giorno un minestrone dolciastro dall'effetto
soporifero, un bollettino perennemente ottimista e fiducioso nelle magnifiche
sorti, e progressive, del governo Berlusconi.
Mettiamo, per esempio, che il governatore della Banca d'Italia accusi il governo
di aver peggiorato i conti pubblici, di aver fatto salire il deficit statale,
di non aver ridotto il debito. Come si fa a ignorare una così autorevole bacchettata?
Nessun problema: basta trovarci il lato positivo. Il Tg1 di venerdì 31 ottobre
presenta la vicenda con un titolo insapore: "A confronto sull'economia". Poi,
nel sommario, il conduttore spiega con voce profonda: "Fazio: risanamento e
riforme perché l'Italia riparta". Tutto qui? No. Almeno un accenno, ai conti
pubblici, bisogna farlo. Così: "Sui conti pubblici, dice Tremonti, andiamo meglio
di Francia e Germania". Del gelo tra i due, della "fredda stretta di mano" su
cui titola il Tg5, non c'è traccia nel sommario del Tg1.
Insomma, l'allarme di Fazio diventa un incoraggiamento al governo e il ministro
dell'Economia tira già le conclusioni: siamo tra i migliori d'Europa. Un piccolo
capolavoro.. Mettiamo che il centro-sinistra vinca le elezioni in Trentino Alto
Adige. Come si fa a nascondere la notizia? Semplice: la si elimina dai titoli
e dal sommario, riducendola a una notiziola. Mettiamo, infine, che la riforma
dei tribunali minorili venga clamorosamente affondata in Parlamento. Come si
fa, di fronte a una simile sconfitta, ad addolcirne l'impatto? Basta usare le
parole giuste: e così, ieri sera, il Tg1 titolava: "Confronto nella Cdl". Come
se invece di un agguato dei franchi tiratori ci fosse stato un convegno di accademici.
E' un lavoro di forbici e colla, il cui esempio massimo rimangono l'aggiunta
di un uditorio posticcio al discorso del presidente del Consiglio all'Onu meritoriamente
smascherato da "Striscia" - e il taglio al sonoro di Berlusconi che prometteva
all'eurodeputato tedesco Schulz un posto di kapò in un film sui nazisti. Unico
telegiornale europeo insieme a quello svedese, per essere precisi a negare ai
suoi ascoltatori l'audio di quella gaffe, il Tg1 ricevette allora gli ironici
complimenti del Financial Times: "Il telegiornale sovietico di Breznev non avrebbe
saputo fare di meglio".
Tagliare e cucire, troncare e sopire. Non è solo Berlusconi, l'oggetto delle
premurose attenzioni del Tg1. Quando Bossi straparla, per dire, si dà il minimo
indispensabile, possibilmente la frase meno spinosa, quella più commestibile.
Mercoledì 22 ottobre, il giorno in cui il ministro leghista definisce il mandato
di cattura europeo "criminale", frutto nientemeno che di una "follia nazista",
il Tg1 cancella queste parole dal suo servizio, e già che c'è anche la durissima
risposta del segretario dell'Udc Marco Follini: "I ragionamenti, se vogliamo
generosamente chiamarli così, dell'onorevole Bossi?". La sera stessa, il partito
degli ex dc quelli che un tempo erano gli "editori di riferimento" del Tg1 bolla
il telegiornale di Mimun come "un monumento al servilismo".
Ma il vero segno della nuova stagione più del brusco ridimensionamento dello
spazio per l'opposizione - è nella mutazione genetica del giornalismo televisivo.
Una volta i telegiornali intervistavano i politici: il giornalista faceva delle
domande, e il ministro (o il segretario di partito) rispondeva. Oggi l'intervista
è scomparsa dal Tg1: è un lusso concesso solo al direttore.
Il contraddittorio è stato abolito. I cronisti sanno che non devono fare domande
a nessuno. "Quando c'è da far parlare un politico, per esempio Schifani racconta
un cronista parlamentare - parte una sola persona: il telecineoperatore, l'uomo
della telecamera. A fare la domanda ci pensa il suo addetto stampa, Edy Benedetti.
E noi mandiamo in onda la risposta del capogruppo al suo portavoce". Ai ministri
sta bene così. Non a tutti, però. L'ultima volta che Gianni Alemanno ha visto
arrivare il telecineoperatore ha chiesto: "E il giornalista, dov'è?". "Ma lei
sa già tutto, mi hanno detto" ha risposto l'altro, imbarazzatissimo. "No, io
non so niente. E non mi piace farmi le interviste da solo" è sbottato il ministro.
Sono molti, i giornalisti del Tg1 ai quali non piace questa riedizione tardiva
del collateralismo militante. Ma nulla possono, contro il metodo blindato del
"panino". Cos'è il "panino"? E' il contrario del "bidone", che era il sistema
adottato dai telegiornali dell'Ulivo: ogni giorno un cronista seguiva il centro-sinistra
e un altro si occupava del centro-destra, poi a fine giornata ciascuno dei due
amalgamava le notizie sul suo schieramento (in un "bidone", come fu subito soprannominato
questo contenitore dalla forma elastica) e il Tg mandava in onda i due servizi
affiancati. Con l'arrivo di Mimun l'era del "bidone" è finita. Il nuovo direttore
ha voluto il "panino", ovvero una specialissima nota politica nella quale il
ruolo del pane e quello del companatico sono assegnati in partenza: la prima
fetta di pane spetta al governo, in mezzo c'è la fettina di mortadella dell'opposizione
(che in genere "protesta", "attacca", "contesta" o si produce in altre attività
negative) e poi arriva, puntualmente, la seconda fetta di pane, quella della
maggioranza. Se manca il governo, poco male: l'ultima parola deve toccare comunque
al centro-destra, anzi a Forza Italia, ovvero a Schifani o a Bondi.
Certo, i giornalisti non sono obbligati a rispettare questa direttiva. Possono
anche dare l'ultima parola a un esponente dell'opposizione. Però poi la pagano
cara. Il cdr ricorda il caso di Andrea Montanari, che un giorno doveva montare
una risposta del diessino Calvi all'avvocato Taormina. Lui seguì la logica,
invece di accogliere il ripetuto invito a invertire l'ordine delle dichiarazioni.
"Non posso dare prima la risposta e poi la domanda" spiegò, testardo. Risultato:
il servizio venne sfilato dall'edizione delle 20 e mandato in onda solo a mezzanotte.
Quanto a Montanari, quel servizio se lo ricorderà per un pezzo perché da allora
non gliene hanno più affidato uno, neanche a Pasqua o a Ferragosto.
Il dissenso nella maggioranza è sfumato e addolcito. Le proteste dell'opposizione
sono diventate una sfoglia sottile nel panino quotidiano. C'era ancora uno spazio
incontrollato, nel Tg1. Relegato dopo la mezzanotte, tra Vespa e Marzullo, ma
c'era: la rassegna stampa. Alla fine del telegiornale, ogni sera un ospite diverso
era invitato a commentare i giornali dell'indomani. Capitava che ai titoli dei
quotidiani, qualche volta severi con Berlusconi, si aggiungesse anche l'opinione
dell'ospite, incidentalmente non filogovernativo. Non poteva durare. All'inizio
dell'anno la rassegna stampa è stata ribattezzata "Non solo Italia", le prime
pagine sono state ridotte a una sola (quella del giornale dell'ospite) e le
domande rigorosamente limitate alle notizie dall'estero. Poi, a settembre, la
rassegna è stata definitivamente abolita. Niente più giornali irriverenti, niente
più ospiti impertinenti.
Per una singolarissima coincidenza, la stessa sorte nello stesso momento è toccata
alle interviste ai direttori dei giornali che erano diventare un appuntamento
fisso del Gr3 delle 8,45. Ogni mattina, a turno, i giornalisti che guidano i
sette maggiori quotidiani italiani venivano interpellati dal caporedattore centrale
Licia Conte sulle notizie del giorno. Poi, un giorno, il nuovo direttore del
Giornale Radio, Bruno Socillo, convoca la Conte. "Bisognerebbe allargare la
rosa da sette a quattordici direttori", dice. Lei esegue, però non basta. "Bisognerebbe
registrarle prima, queste interviste, invece di mandarle in diretta". I direttori
si rifiutano. "Bisognerebbe delimitare il tema delle domande e delle risposte"
insiste Socillo. Non funziona: evidentemente si parla ancora troppo di Berlusconi,
in quelle telefonate alla radio. Insomma, da settembre i direttori dei giornali
non vengono più chiamati dal Gr3. La rubrica è "sospesa". Fino a nuovo ordine.
E' in questo campo da gioco desertificato, è con questa informazione militarizzata,
che si combatteranno le prossime sfide tra la Casa delle Libertà e l'Ulivo.
Non si sa come finirà: quello che è certo è che il suo derby decisivo, Berlusconi
lo giocherà in casa.
Sebastiano Messina
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