«Caro George W., sciolgo il Baath». «Caro Paul, Washington è con te»

Uno scambio di lettere tra Paul Bremer e il presidente smentisce quanto affermato nel libro intervista da Bush
5 settembre 2007
Martino Mazzonis
Fonte: Liberazione (http://www.liberazione.it)

Baghdad, 20 maggio 2003, «Caro presidente, dopo una settimana quaggiù ho pensato che fosse utile darti un'idea delle mie prime impressioni...Dobbiamo far capire a tutti che facciamo sul serio: Saddam e il regime baathista sono finiti. La risposta allo scioglimento dello strumento di dominio politico (di Saddam, ndr ), il partito Baath, è stata favorevole. C'è chi mi ha detto di aver aspettato questo momento per 30 anni. Certo, il licenziamento di alcuni funzionari sta causando alcune inefficienze e lagnanze, ma nella maggior parte dei casi i giovani impiegati hanno espresso favore, persino gioia. Io darò vigore a questa scelta con una misura ancora più sostanziosa, sciogliendo tutta la struttura militare e di intelligence di Saddam proprio per dimostrare che facciamo sul serio...Combineremo queste misure con l'imposizione della legge e dell'ordine...ma abbiamo anche bisogno urgente di rimettere in funzione i servizi essenziali».
Crawford, Texas, 23 maggio 2003, «Caro Paul, la tua leadership è netta.Hai subito avuto un impatto positivo quanto significativo. Hai tutto il mio sostegno e la mia fiducia». Uno scambio di lettere come un altro tra un presidente all'apice del successo e il suo proconsole in Iraq che il giorno successivo alla missiva di Bush sciolse l'esercito iracheno per decreto. Due lettere nelle quali viene a galla che il buon Paul Bremer, che pure non sembra avere una visione lucida di quanto gli stava capitando davanti al naso, non è l'unico a cui si debba imputare la politica catastrofica che ha portato al disastro umanitario iracheno e alla palude politica nella quale vive oggi il Paese mesopotamico. Nelle decisioni annunciate dall'uomo di fiducia mandato a governare il Paese appena occupato c'è il cristallo di neve che con il tempo diventerà una valanga: lo scioglimento del Baath e l'espulsione dalla vita civile (e dal percepimento di un salario pubblico) di decine di migliaia di soldati, funzionari, poliziotti. Come George Tenet, direttore della Cia prima dell'11 settembre, anche Bremer è stato indicato da tutti come l'uomo sbagliato al momento sbagliato. Lo scambio di lettere - che per prassi passa attraverso il Segretario alla Difesa, allora Donald Rumsfeld - mostra come la scelta di colpire duro tutti quelli collegati al Baath non sia stata presa esclusivamente nella Zona Verde di Baghdad ma sia stata quanto meno condivisa.
Il presidente americano, insomma, sapeva che il suo inviato stava per sciogliere l'esercito iracheno. Lo ha affermato lo stesso Bremer, mostrando al New York Times le lettere. Scaricato da tutti e incolpato di tutto si deve essere stufato.
L'ultimo episodio che lo mette alla berlina è quello dell'uscita di Dead Certain (Certo come la morte) il libro di prossima pubblicazione di cui si è parlato molto negli ultimi giorni a proposito degli scontri interni all'amministrazione e delle lacrime del presidente «sulla spalla di Dio». Il volume è il frutto di un'intervista con Bush e un suo virgolettato afferma che la politica americana «era di mantenere intatto l'esercito», ma che questo «non è accaduto».
La prova esibita da Bremer non autorizza a dire che fu l'amministrazione a decidere, ma di certo, l'amministrazione sapeva, non fermò l'operazione e non aveva una chiara linea politica nella direzione opposta. Bremer sostiene di aver inviato una bozza dell'ordine di scioglimento ai vertici del Pentagono il 9 maggio, due giorni prima di assumere il nuovo incarico a Baghdad, e che ne aveva discusso «molte volte» con Rumsfeld. La questione però non sembra essere uscita fuori dai vertici civili del Pentagono. L'allora segretario di Stato Colin Powell ha più volte ribadito che nessuno lo aveva informato e il generale Peter Pace, allora vice capo degli Stati maggiori Riuniti, dichiarò nel febbraio 2004 che nessuno aveva chiesto il parere dei vertici delle Forze armate.
Non c'è niente di clamoroso in questo scambio di lettere: Bremer non ne esce meglio, il suo dipingere la situazione come rosea è un errore grossolano, così come la mancanza di discussione su una scelta tanto importante - per le conseguenze sulle persone coinvolte, ma anche sulla difficoltà successiva di mantenere l'ordine, monitorare il territorio con un esercito e una polizia messi insieme in quattro e quattr'otto. Le due lettere pubblicate ieri dal quotidiano newyorchese non sono che l'ennesimo segnale di come il furore messianico che ha guidato senza contrappesi i primi anni dell'amministrazione Bush impedisse di vedere la realtà sul campo.

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