Il giornalista scomodo che non piace alla mafia
Vive e lavora sotto scorta da circa quattro mesi, da quando nel giugno scorso, dopo l'uscita del suo ultimo libro «I complici: tutti gli uomini di Provenzano da Corleone al Parlamento», ha ricevuto le prime minacce di morte. Da allora in poi per il cronista dell'Ansa Lirio Abbate non c'è più stato un attimo di tranquillità. Né per lui, né per la sua famiglia. La mafia lo insegue, lo «avverte» con lettere minatorie fatte trovare perfino all'interno del palazzo di via Amari in cui ha sede l'agenzia di stampa. E domenica sera, appena tornato a Palermo dopo un mese di «esilio» nella redazione romana dell'Ansa, è arrivato l'ultimo, pesante avvertimento della serie: una bottiglia incendiaria piazzata sotto l'automobile e collegata a un detonatore. Un attentato sotto casa - in un quartiere popolare e parecchio malfamato di Palermo - sventato in tempo dagli agenti della scorta che ormai «blindano» la vita del cronista «rompicoglioni» (così ha apostrofato Lirio Abbate un boss di Brancaccio in una intercettazione in cui la mafia auspicava se non annunciava la sua eliminazione) e quindi disinnescato dagli artificieri.
Ma cosa ha scritto e che non doveva scrivere Lirio Abbate, primo cronista a dare la notizia un anno e mezzo fa dell'arresto di Provenzano nel covo di Corleone, nel libro all'origine dei suoi guai? Ha ricostruito la mappa del potere politico e mafioso che tra la Sicilia e Roma ha consentito al capo di Cosa nostra quarant'anni di latitanza. Quindi una lunga serie di fatti e nomi (politici siciliani di primo piano), di citazioni processuali e di rivelazioni inedite. Insomma un «libro denuncia», come lo definisce lo stesso Abbate, alla cui uscita nelle edicole attribuisce le minacce di morte della mafia.
«I Complici di Provenzano», scritto insieme al giornalista dell'Espresso Peter Gomez, è giunto già alla settima edizione (40 mila copie vendute), ma secondo Abbate è suscettibile di altri aggiornamenti, perché «attualmente la situazione in Sicilia è in fibrillazione». Ed è questa «fibrillazione» - percepibile nei vari segnali che filtrano dalle carceri in cui sono rinchiusi i boss di Cosa nostra - che ha indotto il giornalista scomodo a interrompere l'esilio romano (deciso insieme alla direzione dell'Ansa) e tornare nei giorni scorsi sul campo a Palermo. «Nel mese in cui sono stato a Roma ho continuato ad occuparmi di mafia - spiega Abbate - ma in Sicilia stanno avvenendo movimenti strani che vanno raccontati in diretta. Ho la sensazione che in questa Palermo silente ci sia molto fuoco che arde sotto la cenere. Ma la mafia esiste eccome e a Palermo la vedi che va a braccetto con la politica».
Ma ieri dal mondo politico è stato un coro unanime di solidarietà che Lirio Abbate ha visto scorrere per tutta la giornata dal suo computer in redazione. Per sabato a Palermo è stata annunciata una manifestazione di giornalisti promossa dai suoi ex colleghi del Giornale di Sicilia, dove ha lavorato prima di approdare all'Ansa. Tra i tanti messaggi di solidarietà anche quello del capo dello stato Napolitano. Messaggi importanti che il giornalista ha apprezzato perché «ti fanno sentire meno soli, così come l'aver avuto la scorta». Ma Abbate confessa di essere rimasto «stupito» quando tra i numerosi lanci di agenzie ha letto quello del presidente della provincia di Palermo, Francesco Musotto, coordinatore politico di Forza Italia, e ne rivela anche il motivo: «Vorrei capire come fa il presidente Musotto, che mi odia e non mi rivolge la parola da dieci anni - esattamente da quando venne arrestato per mafia - oggi a esprimere solidarietà nei miei confronti. Questo proprio non l'ho capito». E forse neanche apprezzato.
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