Editoria, un colpo di accetta e si ricomincia da zero
Non credo che il manifesto e Liberazione (magari insieme a Carta) siano oggetto di una rappresaglia del governo Prodi, perché hanno organizzato la manifestazione del 20 ottobre, come ipotizzava Sansonetti nel suo articolo di mercoledì 4 ottobre su Liberazione («E' una vendetta contro noi e il manifesto?»). O, almeno, non sono convinto che abbia questa motivazione il fatto (sinceramente sconcertante), che nel decreto collegato alla Finanziaria, che si intitola Misure urgenti di finanza pubblica, di sviluppo e di equità sociale e che ripartisce 7,5 miliardi di nuove risorse originate dalle maggiori entrate fiscali, all'editoria a stampa sia riservato un trattamento singolare: lì si attua uno dei pochissimi tagli di un provvedimento di spesa: cosa ancor più rilevante, in quanto interviene dopo un anno di continue contrazioni (dalla Bersani alla Finanziaria 2007) dello stanziamento. Questo colpo di accetta, infatti, colpisce molti, non solo i quotidiani politici: e, tra di essi, non solo testate che hanno avuto accesso abusivamente ai contributi di legge (false testate di partito, cooperative solo di nome o, più ancora, giornali che non hanno mai visto l'edicola), ma, insieme, decine di cooperative (editrici di giornali locali, o periodici), in cui i lavoratori hanno dato con i loro sacrifici continuità a testate anche storiche (un esempio per tutti, Il Corriere mercantile), che rischiavano di essere messe in liquidazione dalla loro proprietà.
Si tratta di altro. Il governo nella sua collegialità (e il Tesoro) sono totalmente sordi - anche contro le sollecitazioni del Parlamento e le richieste del sottosegretario con delega all'Editoria, Riky Levi -, di fronte ai rischi che per il pluralismo dell'informazione derivano dai processi di concentrazione che sono in atto nella carta stampata, e che si sommano alla insostenibile situazione di oligopolio delle Tv. Non si può spiegare diversamente il fatto che mentre i fondi per lo spettacolo passino giustamente dai 441 milioni del 2007 ai 487 del 2008 ai 543 del 2009, e quelli per le Tv locali (anche commerciali) dai 98 del 2006 ai 128 del 2007 ai 153 del 2008 (e vengono, nello stesso decreto, incrementati i fondi per il cinema), lo stanziamento dell'editoria scenda dai 450 del 2006 ai 412 del 2007 ai 330 del 2008, mentre il fabbisogno - coperto dai diritti soggettivi supera nettamente i 500 milioni di euro. E' come se il governo (di centrosinistra) ignorasse il valore sociale dell'informazione, che pure ha una tutela costituzionale nell'articolo 21. E si proponesse di tenere questo settore in uno stato di eterna precarietà, senza per altro avere il coraggio di scelte risolutive, che provocherebbero la chiusura di decine di testate.
Ma, andiamo ai fatti. Nel decreto allegato alla Finanziaria si prevede un taglio del 7% dei contributi sia indiretti (rivolti a tutte le testate, compresi i grandi gruppi, per contributi postali), che diretti, che vanno ai giornali cooperativi, di fondazioni e di partito. In quest'ultimo caso, però, per aggiungere al danno la beffa, la riduzione non riguarda il 2008, ma interviene retroattivamente anche sul 2007. Ma, quel che è persino più grave, a questa sforbiciata non si accompagna né lo stanziamento necessario a corrispondere agli impegni già assunti per il 2006 e il 2007 (mancano 48 milioni per pagare i soli contributi diretti 2006, che dovranno per legge essere liquidati entro dicembre) né una dotazione di risorse in Finanziaria per il 2008 e gli anni successivi pari a quella degli anni precedenti, se non al reale fabbisogno (è necessario, infatti, integrare il fondo per 70 milioni di euro per il 2008 e di 120 per il 2009 e il 2010). Insomma, colpi di accetta e nessuna garanzia di sicurezza e di tranquillità. E questo malgrado le richieste del dipartimento Editoria e del sottosegretario Levi andassero in questa direzione.
E' chiaro che in Parlamento bisogna invertire radicalmente questa linea di marcia. Nessuna misura retroattiva. Una sensibile riduzione dei tagli per il 2008, con l'adozione di una scelta di progressività per i contributi indiretti (è giusto e ragionevole che Il Sole - 24 Ore, di proprietà di una società che si sta quotando in Borsa, controllata da Confindustria riceva dallo Stato circa 15 milioni di contributi postali, destinandone una parte al riparto degli utili tra gli azionisti?). Un pieno recupero delle risorse necessarie ad onorare gli impegni assunti per legge, che rappresentano un diritto soggettivo delle testate beneficiarie; e il necessario adeguamento dello stanziamento per gli anni successivi.
Su questa base sarebbe possibile evitare situazioni critiche, che potrebbero portare al collasso di tante testate non profit politiche e di idee - con un danno irreparabile per il pluralismo - e creare le condizioni per una discussione serena della Legge di riforma dell'editoria, già presentata al consiglio dei ministri dall'on. Levi, che ha bisogno di profonde modifiche (in quanto ora penalizza tutti in modo troppo rilevante, insostenibile, giornali veri, di partito e non profit, con una diffusione tra le 20.000 e le 50.000 copie), ma accoglie l'idea di un intervento selettivo e di risparmi da promuovere non con misure uguali per tutti, ma iniziando a selezionare secondo un criterio di merito, che guarda alla natura dei soggetti e punta a scoraggiare furbizie e posizioni abusive. Un'altra strada oggi non si intravede. Solo il rischio di un rapido approfondimento della crisi di un settore in difficoltà, la cancellazione di voci originali e un conflitto di tutti contro tutti, senza sbocchi e senza speranza. Il contrario, cioè, di ogni idea di riforma. E la negazione delle condizioni indispensabili per aprire una riflessione sulla prospettiva.
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