Henry Jenkins è uno studioso eretico dei media. Insegna al Massachusetts Institute Of Technology, il campus di Boston considerato, a ragione, uno dei centri d'eccellenza degli Stati Uniti. Un prestigio conquistato grazie al fiume impetuoso di investimenti ricevuti da privati e dallo stato e dalle possibilità date a molti studiosi eterodossi di poter svolgere le loro ricerche in santa pace. Henry Jenkins ha tratto dai suoi anni di insegnamenti e di ricerca uno dei migliori libri usciti nel 2007. Si tratta di «Cultura convergente» (Apogeo, euro 22) e affronta la crisi dei mezzi di comunicazione dopo la diffusione di Internet . La tesi di Jenkins è presto riassunta. Inutile discutere se i «vecchi» media spariranno a causa della convergenza tecnologica tipica dei computer e del web. La possibilità di integrare, parole, immagine e voce, sarebbe tuttavia poca cose se non ci fosse l'interattività. La bidirezionalità tra emittente e ricevente modifica infatti sia la produzione che il consumo della merce informazione. Ma l'analisi di questa trasformazione del modo di produzione deve introdurre un fatto inedito, cioè quel comportamento da sciame degli utenti della rete, che si aggrega e scompone secondo affinità elettive, interessi, gusti e che ha la forza di non solo condizionare, ma di produrre «autonomamente» la merce informazione. Questo è la grande trasformazione che interessa Jenkins, la quale a sua volta sta condizionando e molto il funzionamento di un media maturo come la televisione. La crisi di qualità dei network televisivi dipende quindi dalla difficoltà di adeguare un media unidirezionale all'interattività. Qui si gioca la grande scommessa della sopravvivenza della tv. Ma è anche nella verifica del potere dello sciame che si gioca la partita dei rapporti di forza nei media.
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