Il provvedimento che cambiò la storia del Paese

Cronaca del “decreto Berlusconi”

Nell’archivio Craxi trovata una lettera di Berlusconi: “Bettino, grazie per il decreto sulle tv”
9 dicembre 2007
Paolo Dimalio


Dal 6 dicembre l’archivio Craxi è disponibile on line. Non una notizia di grido. Non fosse che nell’archivio del Ghino di Tacco sono riposti i segreti inconfessabili della Prima Repubblica. Ad esempio, una lettera firmata Berlusconi che recita così:

“Caro Bettino grazie di cuore per quello che hai fatto. So che non è stato facile e che hai dovuto mettere sul tavolo la tua credibilità e la tua autorità. Spero di avere il modo di contraccambiarti. Ho creduto giusto non inserire un riferimento esplicito al tuo nome nei titoli-tv prima della ripresa per non esporti oltre misura. Troveremo insieme al più presto il modo di fare qualcosa di meglio. Ancora grazie, dal profondo del cuore. Con amicizia, tuo Silvio”.


Monoscopio

Perchè tanta gratitudine? La missiva è datata 20 ottobre 1984. Quel giorno, il governo Craxi varò il famigerato “decreto Berlusconi”, che salvò Canale 5, Rete 4 e Italia 1 dal tracollo economico. Per capire cosa accadde, bisogna tornare ad un martedì di 23 anni fa.

E’ il 16 ottobre 1984. Alle 20 e 20 in Piemonte, Lazio e Abruzzo, sugli schermi Fininvest appare la scritta: “Per ordine del pretore è vietata la trasmissione in questa città dei programmi di Canale5, Rete4 e Italia1, regolarmente in onda nel resto d’Italia”. Poi il buio catodico.

Ad oscurare il video sono i “pretori d’assalto” Giuseppe Casalbore di Torino, Eugenio Bettiol di Roma e Nicola Trifuoggi di Pescara. Le tre toghe hanno ordinato il black-out televisivo nelle regioni di loro competenza. Il motivo è semplice: la Fininvest trasmette su scala nazionale e la legge non lo consente. Le antenne private, fino alla legge Mammì del ’90, non potranno superare l’ambito locale.

Berlusconi se ne infischia e trasmette da Bolzano a Palermo attraverso il metodo del “pizzone”. Prima registra il palinsesto, poi spedisce il nastro (il “pizzone”) alle emittenti locali che mandano in onda lo stesso programma alla stessa ora. In legalese, si chiama “interconnessione funzionale”. E’ illegale. Ma l’avvocato Fininvest Aldo Bonomo ha trovato il cavillo giusto. Dice Bonomo: la legge non vieta la diffusione dei programmi su scala nazionale, ma solo i ponti radio che la consentono. Quindi il Biscione, che utilizza il “pizzone” al posto dei ponti radio, è in regola. Caustico l’avvocato Porta, presidente dell’Anti, l’associazione delle tv locali: “Tanto di cappello Aldo. Hai inventato una diabolica coglionata, ma come avvocato sei straordinario, perchè tutti se la bevono ammirati”. Grazie a Craxi e al “decreto Berlusconi”, la “diabolica coglionata” diventerà legge.

Mentre infuriano le polemiche sul black-out catodico, il tandem Craxi-Berlusconi pensa a come uscire dall’impasse. Il giorno dopo la “serrata”, il Premier ha ricevuto a Palazzo Chigi un Berlusconi preoccupatissimo. I tre pretori potrebbe essere emulati, innescando un disastroso effetto domino. Gli inserzionisti scioglierebbero i contratti. E per la Fininvest, che si è appena svenata per comprare Rete4, sarebbe il tracollo.

Craxi, in visita di stato a Londra, fa sapere che al suo ritorno, sabato 20 ottobre, si terrà un Consiglio dei ministri straordinario sulla questione televisiva. E dichiara sibillino: “Mi ha dato un certo fastidio, come utente televisivo, vedere quegli spazi neri”. Veltroni, responsabile di Botteghe Oscure all’informazione , mostra un’innata vocazione all’inciucio: “Ci sono poi anche le abitudini degli utenti, consolidate in anni di utenza televisiva, che non possono essere ignorate. Non è con il black-out che si risolvono i problemi del mondo televisivo”.

Il vento pro-Berlusconi che spira a Palazzo Chigi spinge una quarantina di emittenti locali ad inviare un telegramma al governo: “Preoccupati dalla grave situazione creata dal gruppo Berlusconi in aperta violazione legislativa, le nostre emittenti autonome si appellano all’autorità governativa per la tutela della propria sopravvivenza”.

L’appello cade nel vuoto. Il 20 ottobre il consiglio dei ministri approva il “decreto Berlusconi”, che legalizza in via provvisoria l’interconnessione funzionale, ossia la tecnica del “pizzone”. Tanta solerzia da parte del governo non si era vista nemmeno per alluvioni e terremoti. La “diabolica coglionata” dell’avvocato Bonomo è diventata legge. “Sua emittenza” esulta e il 21 ottobre si riaccendono i palinsesti Fininvest in Piemonte, Lazio e Abruzzo.
L’Anti, l’associzione delle tv locali, parla di “attentato alla costituzione, un autentico golpe” volto “a salvare il monopolio di Berlusconi”. Il decreto però deve essere approvato dal Parlamento entro 60 giorni. E al primo ostacolo (l’esame di costituzionalità alla Camera del 28 novembre ‘84), il provvedimento inciampa subito, impallinato dai franchi tiratori della sinistra democristiana. A bocciare il decreto è la “cricca degli avellinesi”, cioè gli uomini di De Mita, nemico giurato del duo Craxi-Berlusconi.

I pretori di Torino e Roma minacciano un nuovo black-out. Ma stavolta fanno i conti con l’ira di Craxi. Ricorda il pretore di Torino Casalbore: “Mi impressionò il fatto che, decaduto il decreto Craxi, io notificai alle tre emittenti Fininvest di Torino di non trasmettere oltre la scadenza. Ebbene, non ho mai visto che a una diffida fatta a un imputato rispondesse con un comunicato durissimo la presidenza del Consiglio”. E’ l’inizio della guerra senza quartiere tra le toghe e il Cavaliere. Che insieme al sodale Craxi, si rimette subito al lavoro per legalizzare l’illegale monopolio dell’etere.

Per far passare il decreto, a Craxi non resta che la trattativa con De Mita e i comunisti. L’accordo si trova in un amen. Il 6 dicembre il consiglio dei ministri vara il “Berlusconi-bis”. Noto alle cronache come "decreto Berlusconi-Agnes". Alle norme che legalizzano la tecnica del “pizzone”, infatti, si aggiunge un capitolo sulla Rai molto gradito a De Mita. Aumentano i poteri del direttore generale, che diviene il padre padrone del video. Sulla poltronissima di viale Mazzini siede Biagio Agnes, amico d’infanzia del politico irpino. De Mita è soddisfatto. Per scongiurare l’ostruzionismo, ora bisogna concedere le briciole ai comunisti.

Agnes ha un’idea. Dividere in quattro Raitre e spartirsi il bottino: ai repubblicani il dipartimento scuola ed educazione; alla Dc l’informazione regionale, che dispone di un esercito di giornalisti; al Pci il telegiornale nazionale e la direzione di rete. All’idea di un canale tutto per loro, i comunisti si leccano i baffi. Botteghe oscure accetta e rinuncia all’ostruzionismo. E pazienza se il “decreto Berlusconi-Agnes” consegna al Cavaliere il monopolio della tv privata.

In senato, il capogruppo comunista Maurizio Ferrara lancia segnali di pace a Craxi: “Vorrei dire che, di fronte a questo decreto, la nostra opposizione non si è chiusa a riccio in modo pregiudiziale […] Per la parte riguardante la Rai, il decreto in esame reca indubbiamente i segni di un confronto relativamente positivo. A questo proposito, come abbiamo già fatto nell’altro ramo del parlamento, tengo a dire che, se il decreto fosse limitato a questo ambito, probabilmente il nostro voto, che oggi è contrario, avrebbe anche potuto essere diverso”.

Il Pci ha deposto le armi, e si è accomodato con l’acquolina in bocca al banchetto della lottizzazione. Certo, i comunisti votano contro. Ben sapendo però che il decreto passerà, e che solo l’ostruzionismo potrebbe scongiurare il monopolio berlusconiano dell’etere. A dar battaglia resta il drappello della sinistra indipendente, tra cui diversi ex giornalisti Rai: Peppino Fiori, Raniero La Valle, Ettore Masina e Andrea Barbato.

Durissimo il giudizio di Peppino Fiori sulla scelta di Botteghe Oscure: “Non si può, in cambio di una qualche direzione in terza rete, abbassare il livello di attacco ad un decreto-legge che è doveroso combattere per un’esigenza vitale, la difesa della normalità democratica: esso infatti condona l’arroganza, l’abuso, la sfida della legalità, legittima un monopolio privato che, drenando pubblicità senza alcun limite schiaccia le antenne locali rispettose delle leggi e persino mette in crisi l’editoria stampata”.

Il “decreto Berlusconi-Agnes” viene convertito in legge il 4 febbraio (legge n. 10, 1985). Per scongiurare il rischio dell’ ostruzionismo, il presidente del Senato Cossiga ha contingentato i tempi del dibattito. Se Botteghe Oscure fosse scesa con la sinistra indipendente nella trincea dell’ostruzionismo, probabilmente il decreto non sarebbe passato.

Il Pci, furbescamente, pensa di aver vinto la partita. Il provvedimento infatti è valido “sino all’approvazione della legge generale sul sistema radiotelevisivo, e comunque non oltre sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto” (art. 3 comma1). O il governo fa la legge entro giugno, oppure il decreto cadrà, col risultato che le tv Fininvest torneranno ad essere illegali e alla mercè dei “pretori d’assalto” . In entrambi i casi il Pci ha vinto. In più, porta a casa Raitre. Craxi non è dello stesso avviso.

A giugno dell’85 della legge televisiva non c’è traccia, e sul Biscione torna ad aleggiare lo spettro del black out. Niente paura. Ghino di Tacco lancia al Cavaliere l’ennesima scialuppa, con un terzo decreto che proroga la validità del “Berlusconi-Agnes” fino al 31 dicembre ’85. Ma non è tutto. A fine anno si replica l’identico copione: la legge generale sulla tv non si vede e il governo concede un’altra proroga, la terza. Questa, però, è una proroga sui generis: è a tempo indeterminato, non deve essere rinnovata. Il “decreto Berlusconi- Agnes” infatti è “transitorio”, non “provvisorio”. E nella patria del “diritto e del rovescio”, fa tutta la differenza del mondo. I legali Fininvest spiegano che “provvisorio” significa a termine, con data di scadenza. “Transitorio” è a vigenza illimitata. Craxi annuisce.

Così, il 3 gennaio 1986 Giuliano Amato, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, dirama un comunicato in cui si dice che il provvedimento resta in vigore senza bisogno di proroghe. E’ il battesimo del duopolio, che ha ricevuto la benedizione della partitocrazia.

Il pentapartito ha prima lasciato campo libero alle scorribande del Cavaliere (nessuna legge, nessuna norma antitrust, nessun tetto pubblicitario) spianando la strada al monopolio Fininvest. Poi lo ha legalizzato. In via “transitoria” e non “provvisoria”. Resta da chiedersi cosa sarebbe accaduto se la sinistra cattolica di De Mita e il Pci non avessero mercanteggiato col governo Craxi. Forse l’impero televisivo berlusconiano sarebbe affondato sotto i colpi dei pretori. Senza quel mercimonio, forse il duopolio non sarebbe mai nato. Invece ci fu il baratto, la spartizione globale del potere televisivo: Viale mazzini a De Mita e al Pci (cui andranno le briciole di Rai3); le antenne di “Sua emittenza” a Craxi (che conservò pure Rai2) e alla destra Dc.

Il “decreto Berlusconi-Agnes” viene bocciato dalla Consulta nell’88. Per la Suprema Corte, il duopolio è la negazione del pluralismo. Il pentapartito fa spalluce e nel ’90, dopo 14 anni di “far west” dell’etere, partorisce la legge Mammì, che fotografa il duopolio. Il resto è storia da Seconda Repubblica.

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