Il Pinocchio d'Egitto (parte prima: i sosia)
Diciamoci la verità. La Repubblica è nel giusto, quando va fiera della qualità dei suoi corrispondenti di guerra in Iraq. Non ci sono solo Bonini & D'Avanzo, capaci di descrivere in ogni dettaglio una serie di insurrezioni a Bassora che la gente del luogo non ha notato (forse perché distratta dalle bombe). C'è anche un intellettuale vero, per di più egiziano, per di più musulmano: Magdi Allam. Sociologo, scrittore, opinionista, una passione sfrenata per la verità. Cosa si vuole di più? Non è un caso se, ogni volta che un TG ha bisogno di un parere competente, interpella lui. Febbrile, emaciato (si capirà dopo perché metto in rilievo queste caratteristiche fisiche), è garanzia vivente di informazione sicura e di valutazione ponderata.
Nessuno potrebbe scambiare Magdi Allam con uno di quegli scalzacani
intenti a bombardarci con quelle che Stefano Benni (sul manifesto
del 5 aprile) chiama le “bombe al panzanio”. Allam è autore
di libri e saggi di notevole valore scientifico. L'ultimo, appena
uscito, si intitola Saddam, storia segreta di un dittatore (Mondadori,
2003). Non voglio anticipare troppo di questo libro, che si legge con sbalordimento
crescente via via che si procede. Magari gli dedicherò una recensione apposita.
Però un breve commento si impone, per capire la coerenza dell'Allam
saggista con l'Allam reporter.
Anzitutto il libro ha una peculiarità che lo differenzia da tanti altri:
la bibliografia (contenuta nelle note). E' forse la più breve che
la saggistica abbia mai conosciuto: due sole facciate, roba da Guinness
dei primati. In tre capitoli su sette, poi, si fonda su un semplice articolo
di giornale. Memorabile la base documentaria del secondo capitolo, che non
ha che un'unica fonte: un pezzo su Gente intitolato Sono
stata per trent'anni l'amante di Saddam. Mai avevo visto
Gente divenire fonte di uno studio storico e psico-sociologico. Siamo
di fronte a una vera svolta nella metodologia delle scienze sociali.
Non provo nemmeno a riassumere il contenuto del libro. Dirò che tesi di
fondo dell'autore è che Saddam Hussein sia diventato cattivo a causa
del nome (che vorrebbe dire “disgrazia”) e per via della madre
che lo maltrattava. Le dimensioni di questa cattiveria le scopriamo con
orrore già a pagina 7: “Un suo ex compagno di scuola ha ricordato
che Saddam rubava la merenda dei bambini. Se loro tentavano di riprendersela
attaccandolo in più di uno, lui buttava il cibo per terra e lo calpestava
con il piede”. Terribile. Il resto è un crescendo drammatico: Saddam
che sorride in pubblico ma sta serio quando è solo, Saddam che detesta portare
gli occhiali e che si tinge i capelli, Saddam che è un donnaiolo impenitente
ecc. Non mancano i dati d'altro tipo, ma sempre accompagnati da un'insistita
analisi fisionomica, e sorretti da pochi articoli di giornale. Magdi Allam
opera così una felice sintesi tra la storiografia di Svetonio e la
sociologia di Lombroso. Il risultato non servirà molto all'analisi
di una dittatura, però non può essere tacciato di mancanza di coraggio:
era da più di un secolo che non si leggeva roba del genere.
Ma a questo punto è il Magdi Allam corrispondente dall'Iraq che aiuta
a spiegare il Magdi Allam sociologo. Emerge infatti il motivo della sua
passione per la fisionomica. Fin dal primo giorno di guerra, il suo problema
è soprattutto uno: individuare sotto quali panni si nasconda effettivamente
Diabolik… pardon, Saddam. Ecco dunque che subito ci avverte: “Dalla
sua mente diabolica è nata l'idea di rimodellare chirurgicamente e
psicologicamente tre uomini per farne dei sosia” (La Repubblica,
20 marzo 2003; d'ora in poi riporterò solo la data, perché il giornale
resta lo stesso). Cavolo, un Frankenstein moderno! Da questo momento, ci
si può aspettare davvero di tutto.
Non bisogna attendere troppo. Passa un solo giorno e Saddam Hussein appare
in Tv. Magdi Allam è lì che spia ogni suo tratto somatico: “Potrebbe
essere proprio lui il vero Saddam Hussein. (…) Mostra i tratti appesantiti
di chi fa una vita sedentaria nel chiuso della clandestinità a cui si è
auto-relegato. Il volto gonfio e il corpo flaccido tradiscono l'uso
costante del litio, che serve a regolare l'umore nei soggetti colpiti
da crisi maniaco-depressive” (21 marzo 2003).
Una frase del genere scatena istintivi sospetti circa il volto gonfio e
il corpo flaccido di Luttwak o di Giuliano Ferrara. Così come
una successiva li indirizza addirittura su Silvio Berlusconi, su
Schifani e su metà del parlamento italiano. “Si sa che [Saddam]
si tinge i capelli. Imitare la pettinatura di Saddam, la sua scriminatura
a sinistra, è diventata una testimonianza di fedeltà al regime”.
Mi figuro Magdi Allam intento a interrogare, dopo i farmacisti che vendono
litio, barbieri e parrucchieri, per scoprire le perversioni del rais.
Oppure a riguardarsi per ore, su uno schermo enorme, il filmato di Saddam
che parla, fino a scoprire il dettaglio che nessuno aveva notato: “Ieri
i baffi di Saddam tradivano dei tratti bianco-grigi che in altri tempi e
altrove non compaiono”. Perbacco, questo sì che è fiuto. Un dettaglio
veramente inquietante, in un uomo di 66 anni dalla peluria vistosamente
tinta. Però Saddam Hussein, nelle immagini, portava gli occhiali, e dagli
studi attenti di Magdi Allam sappiamo che detesta farlo. Come essere certi
che fosse davvero lui? Per fortuna che c'è il litio rivelatore che
lo gonfia. Che sia benedetto.
Altrimenti la confusione sarebbe massima, con due sosia creati ad arte col
bisturi e messi in giro. Sherlock Allam ne individua il primo in
una riunione al vertice di poco successiva. “Questo primo sosia di
Saddam è decisamente più giovane: esibisce la folta capigliatura nera, spiccano
i folti baffi neri e non porta gli occhiali. Ma soprattutto sorride”.
Perché mai non dovrebbe sorridere? La risposta di Magdi è immediata: “Si
sa che durante l'infanzia Saddam ha maturato un profondo sentimento
di solitudine e di diffidenza nei confronti del prossimo, al punto di fargli
esclamare: ‘ero padre e madre di me stesso'!”. Argomento
incontrovertibile, se non fosse che nel suo libro Allam dice che Saddam
Hussein non sorride mai da solo, mentre sorride in compagnia. Però, in fondo,
è una contraddizione minore. Allam avrà semplicemente saltato, mentre scriveva
il suo saggio, la pagina di Gente che la spiegava. Capita anche ai
migliori talenti.
Sta di fatto che, posta la tripartizione dei Saddam, ne resta un terzo da
individuare sotto la complicata chirurgia plastica. Fortuna che abbiamo
Magdi Allam che ci guida alla verità: “(…) Ci pare più credibile
il secondo sosia che è comparso nel corso della recente intervista a Dan
Rather della Cbs. Questo terzo Saddam non sorride. E' irascibile
e scontroso. Sono tratti comportamentali che combaciano con quelli del vero
Saddam. Ma basta mettere a confronto le due foto per rendersi conto che
il Saddam di ieri è una persona diversa dal Saddam intervistato da Dan Rather.
Quest'ultimo è inequivocabilmente più asciutto e più snello”.
Mi metto nei panni dell'infelice secondo sosia di Saddam Hussein.
Costretto per un colloquio di un'ora a imitarne la voce (ma forse
la chirurgia di cui è stato vittima ha riguardato la laringe). Costretto
per la stessa durata a enunciare i medesimi concetti che avrebbe esposto
il rais.
Non mi consola dalla pena il fatto che Magdi Allam, alcuni giorni dopo,
riveli la verità: i cloni pronunciano discorsi già registrati in precedenza.
Il compianto diventa anzi maggiore. Pensate al povero secondo sosia che
deve apprendere a muovere le labbra in sintonia con la registrazione. Pensate
agli sforzi per convincere Dan Rather a porre le domande nella successione
giusta, salvo obbligare il sosia a movimenti labiali sfasati (che certo
gli costerebbero la vita, o il pestaggio della merenda) oppure a risposte
balorde.
Mi fermo qua. Anticipo solo, della prossima puntata, che praticamente ogni
reportage dall'Iraq e dintorni di Magdi Allam, sosia a parte, risulta
smentito dai fatti addirittura poche ore dopo che l'ha scritto.
Cosa importa? Quando si tratta di difendere una “Guerra Occidentale”
con le maiuscole, sotto le apparenze di una falsa obiettività “pacifista”,
La Repubblica non si discosta troppo da Libero e da altri
giornalacci. Ben venga, dunque, il Pinocchio d'Egitto con le
sue amenità lombrosiane. Come dicono gli odiati francesi? A la guerre
comme à la guerre.
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