Messaggi deviati
Da quarant'anni Noam Chomsky fa onore all'intelligenza militante con cui ha
rifondato la scienza linguistica moderna, ma anche investito il suo sapere al
di là dei recinti accademici (insegna linguistica e filosofia al Massachusetts
Institute of Technology), mediante analisi senza sconti del sistema informativo
e politico dominante e un impegno instancabile sui diritti umani. Lo ha fatto
anche dopo la tragedia dell'11 settembre, criticando le retoriche pseudopatriottiche
e vittimarie costruite dai media occidentali obbedienti allo scopo di alimentare
la propaganda a favore della "guerra preventiva".
Recensendo una ingente quantità di casi, egli arriva a concludere che
i media americani, per quanto all'avanguardia nel ruolo di pilastro del sistema
liberale, riproducono un modello informativo strutturato su funzioni di propaganda
degli interessi strategici (politici ed economici). Il rischio è che
la propaganda possa surrogare i metodi violenti di controllo della gente, tipici
delle tirannie, per indurla all'apatia e alla passività, rimuovendo il
popolo dall'arena politica, sia con l'indottrinamento di massa, sia con il consumismo
parossistico.
"Perché no?"
Di qui le ampie zone di buio informativo, vere notti artificiali nelle quali
la gente viene abbandonata con l'illusione beffarda di disporre di un'informazione
obiettiva e superabbondante sui maggiori affari: "Nessuno conosce i fatti.
Conoscere i fatti richiede un'attività di ricerca", che i media
generalmente si astengono dal compiere. Di qui anche la metodologia seguita
dai media, che riproducono passivamente lo stereotipo per cui "se gli altri
fanno qualcosa crolla il mondo. Ma se noi americani facciamo lo stesso agli
altri è del tutto normale: perché mai se ne dovrebbe parlare?:
tendiamo a ritenere che ciò che noi facciamo agli altri non sia importante.
Quanti nel giornalismo e in generale per gli ambienti intellettuali ritengono
che si dovrebbe bombardare Washington a causa della guerra scatenata dagli Stati
Uniti contro il Nicaragua, per fare un esempio, o a Cuba o in Turchia, dove
furono uccisi forse centomila curdi con l'appoggio americano? Se qualcuno proponesse
una cosa del genere sarebbe considerato pazzo. Ma perché? Se un caso
è giusto, perché nell'altro è sbagliato? Non si riesce
a concepire l'idea che dovremmo applicare a noi stessi il metro di giudizio
che applichiamo agli altri".
La Fabbrica dell'opinione pubblica, uscita in America nel 1988 col titolo Manufacturing
Consent (il consenso fabbricato), è un classico per ogni ricerca sulla
costruzione, il funzionamento e il ruolo dei grandi media americani a partire
dalle loro relazioni con le principali strutture istituzionali, le lobbies,
le multinazionali che li avvolgono, li orientano, li controllano. Questi fattori
strutturali, secondo l'autore, dominano le operazioni mediatiche senza potere
di controllo. L'autonomia dei soggetti professionali ed editoriali è
molto relativa, il sistema può anche permettersi una certa dissidenza
su eventi ritenuti inopportuni e fastidiosi, avendo interesse a mostrare di
non essere monolitico, ma vegliando a che queste discordanze marginali non interferiscano
in nulla con il consenso ufficiale.
Il modello di propaganda
Resta il fatto che l'applicazione anche più ortodossa del modello di
propaganda, se mobilita le forze che influiscono su ciò che fanno i media,
non riesce tuttavia a sequestrare in modo deterministico l'opinione pubblica,
malgrado la pressione esorbitante del mercato e la crescente commercializzazione
dei media. Però non c'è dubbio che alcune operazioni hanno raggiunto
gli obiettivi: le vittime oppresse dai regimi alleati degli Usa (ad esempio,
l'arcivescovo Romero assassinato nel 1980 in Salvador) hanno ricevuto una sollecitudine
mediatica di gran lunga meno larga di quella riservata alle vittime dei regimi
ostili(come nel caso del prete Popielusko, vittima nel 1984 dei comunisti polacchi).
I reportages sono asettici quando si tratta di vittime "indegne di compassione",
come le suore americane stuprate e assassinate in Salvador, mentre, nei casi
inversi, la ricerca delle responsabilità al vertice si fa più
diligente e l'indignazione più bruciante.
Analoga la disparità di trattamento nell'uso della parola "genocidio":
quando la Turchia, alleata degli Usa, compie la pulizia etnica dei Curdi, con
l'aiuto militare di Clinton, i media americani parlano di "repressione",
ma quando è Saddam Hussein a sterminare i Curdi iracheni, allora si parla
di "genocidio". E Saddam diventa "genocida" solo dopo che
gli Usa non lo hanno più considerato un loro alleato. Il milione di morti
per agenti nucleari e chimici impiegati in Iraq dopo la guerra del Golfo del
1991 e a causa delle sanzioni, e i massacri dei civili a Timor Est, da parte
dell'esercito indonesiano foraggiato dagli americani, non hanno meritato molto
di più che delle commiserazioni ("ne valeva la pena" disse
Madeleine Albright), a paragone della campagna internazionale sugli orrori inflitti
dai Serbi agli Albanesi del Kosovo nel 1998.
Buio pesto decretato dal modello di propaganda sulla guerra chimica americana
in Vietnam, sull'appoggio americano a Pol Pot in Cambogia, e sulla repressione
militare in Centro America, in particolare sulla guerra americana in Nicaragua.
Il depistaggio
Un capitolo di eccezionale rigore documentario smaschera la "menzogna del
secolo", e cioè la cosiddetta "pista bulgara", orchestrata
per depistare le ricerche dei mandanti dell'attentato contro il papa nel maggio
1981.
Citando le audizioni del capo della Cia Robert Gates e di ex agenti dinanzi
al Senato a Washington, Chomsky indica che "l'analisi della pista bulgara
era stata seriamente compromessa e politicizzata per sostenere la campagna di
propaganda antisovietica degli anni di Ronald Reagan, allo scopo di assicurare
la crescita continua degli armamenti e una politica estera più aggressiva,
in particolare nel Terzo Mondo". L'ex agente della Cia Melvin Goodman aveva
dichiarato dinanzi alla Commissione che non solo la Cia non aveva trovato la
minima traccia di una qualunque implicazione sovietica o bulgara nell'attentato,
ma anche che "la buona penetrazione dei servizi segreti bulgari" da
parte della Cia "ha permesso a questi professionisti di concludere sull'inesistenza
di questa connessione".
La Commissione aveva potuto anche esaminare gli archivi segreti del ministero
degli Interni della Bulgaria e non aveva trovato la minima prova dell'implicazione
dei Bulgari o del Kgb. Era un colpo brutale alle tesi spacciate da Claire Sterling
e dall'ex agente della Cia Paul Henze nell'assenza totale di prove, sul Reader's
Digest e su media autorevoli come Newsweek, Time, New York Times e Cbs News.
Nessuno dei grandi organi di stampa che avevano amplificato lo stereotipo propagandistico
della "pista bulgara" partecipò ai propri lettori il risultato
negativo delle indagini e dello stesso processo di Roma, nel quale vennero scoperti
l'attività di Francesco Pazienza e i metodi falsi adottati dal Sismi
nel produrre il falso documento che implicava i russi nell'attentato.
"I media furono presi con le mani nel sacco" conclude Chomsky. "E'
chiaro che nella loro approvazione entusiasta del complotto, essi hanno seriamente
condotto i loro lettori in barca e si sono comportati come meschine fonti di
informazione, senza parlare dei loro talenti di analisti. Ma hanno ben servito
la propaganda del loro governo. Nessuno di loro si è creduto obbligato
ad informare i lettori di questi errori e a scusarsi di aver ridotto il giornalismo
al ruolo di agenzia di propaganda".
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