Messaggi deviati

14 gennaio 2004
Giancarlo Zizola

Da quarant'anni Noam Chomsky fa onore all'intelligenza militante con cui ha rifondato la scienza linguistica moderna, ma anche investito il suo sapere al di là dei recinti accademici (insegna linguistica e filosofia al Massachusetts Institute of Technology), mediante analisi senza sconti del sistema informativo e politico dominante e un impegno instancabile sui diritti umani. Lo ha fatto anche dopo la tragedia dell'11 settembre, criticando le retoriche pseudopatriottiche e vittimarie costruite dai media occidentali obbedienti allo scopo di alimentare la propaganda a favore della "guerra preventiva".
Recensendo una ingente quantità di casi, egli arriva a concludere che i media americani, per quanto all'avanguardia nel ruolo di pilastro del sistema liberale, riproducono un modello informativo strutturato su funzioni di propaganda degli interessi strategici (politici ed economici). Il rischio è che la propaganda possa surrogare i metodi violenti di controllo della gente, tipici delle tirannie, per indurla all'apatia e alla passività, rimuovendo il popolo dall'arena politica, sia con l'indottrinamento di massa, sia con il consumismo parossistico.

"Perché no?"
Di qui le ampie zone di buio informativo, vere notti artificiali nelle quali la gente viene abbandonata con l'illusione beffarda di disporre di un'informazione obiettiva e superabbondante sui maggiori affari: "Nessuno conosce i fatti. Conoscere i fatti richiede un'attività di ricerca", che i media generalmente si astengono dal compiere. Di qui anche la metodologia seguita dai media, che riproducono passivamente lo stereotipo per cui "se gli altri fanno qualcosa crolla il mondo. Ma se noi americani facciamo lo stesso agli altri è del tutto normale: perché mai se ne dovrebbe parlare?: tendiamo a ritenere che ciò che noi facciamo agli altri non sia importante. Quanti nel giornalismo e in generale per gli ambienti intellettuali ritengono che si dovrebbe bombardare Washington a causa della guerra scatenata dagli Stati Uniti contro il Nicaragua, per fare un esempio, o a Cuba o in Turchia, dove furono uccisi forse centomila curdi con l'appoggio americano? Se qualcuno proponesse una cosa del genere sarebbe considerato pazzo. Ma perché? Se un caso è giusto, perché nell'altro è sbagliato? Non si riesce a concepire l'idea che dovremmo applicare a noi stessi il metro di giudizio che applichiamo agli altri".
La Fabbrica dell'opinione pubblica, uscita in America nel 1988 col titolo Manufacturing Consent (il consenso fabbricato), è un classico per ogni ricerca sulla costruzione, il funzionamento e il ruolo dei grandi media americani a partire dalle loro relazioni con le principali strutture istituzionali, le lobbies, le multinazionali che li avvolgono, li orientano, li controllano. Questi fattori strutturali, secondo l'autore, dominano le operazioni mediatiche senza potere di controllo. L'autonomia dei soggetti professionali ed editoriali è molto relativa, il sistema può anche permettersi una certa dissidenza su eventi ritenuti inopportuni e fastidiosi, avendo interesse a mostrare di non essere monolitico, ma vegliando a che queste discordanze marginali non interferiscano in nulla con il consenso ufficiale.

Il modello di propaganda
Resta il fatto che l'applicazione anche più ortodossa del modello di propaganda, se mobilita le forze che influiscono su ciò che fanno i media, non riesce tuttavia a sequestrare in modo deterministico l'opinione pubblica, malgrado la pressione esorbitante del mercato e la crescente commercializzazione dei media. Però non c'è dubbio che alcune operazioni hanno raggiunto gli obiettivi: le vittime oppresse dai regimi alleati degli Usa (ad esempio, l'arcivescovo Romero assassinato nel 1980 in Salvador) hanno ricevuto una sollecitudine mediatica di gran lunga meno larga di quella riservata alle vittime dei regimi ostili(come nel caso del prete Popielusko, vittima nel 1984 dei comunisti polacchi).
I reportages sono asettici quando si tratta di vittime "indegne di compassione", come le suore americane stuprate e assassinate in Salvador, mentre, nei casi inversi, la ricerca delle responsabilità al vertice si fa più diligente e l'indignazione più bruciante.
Analoga la disparità di trattamento nell'uso della parola "genocidio": quando la Turchia, alleata degli Usa, compie la pulizia etnica dei Curdi, con l'aiuto militare di Clinton, i media americani parlano di "repressione", ma quando è Saddam Hussein a sterminare i Curdi iracheni, allora si parla di "genocidio". E Saddam diventa "genocida" solo dopo che gli Usa non lo hanno più considerato un loro alleato. Il milione di morti per agenti nucleari e chimici impiegati in Iraq dopo la guerra del Golfo del 1991 e a causa delle sanzioni, e i massacri dei civili a Timor Est, da parte dell'esercito indonesiano foraggiato dagli americani, non hanno meritato molto di più che delle commiserazioni ("ne valeva la pena" disse Madeleine Albright), a paragone della campagna internazionale sugli orrori inflitti dai Serbi agli Albanesi del Kosovo nel 1998.
Buio pesto decretato dal modello di propaganda sulla guerra chimica americana in Vietnam, sull'appoggio americano a Pol Pot in Cambogia, e sulla repressione militare in Centro America, in particolare sulla guerra americana in Nicaragua.

Il depistaggio
Un capitolo di eccezionale rigore documentario smaschera la "menzogna del secolo", e cioè la cosiddetta "pista bulgara", orchestrata per depistare le ricerche dei mandanti dell'attentato contro il papa nel maggio 1981.
Citando le audizioni del capo della Cia Robert Gates e di ex agenti dinanzi al Senato a Washington, Chomsky indica che "l'analisi della pista bulgara era stata seriamente compromessa e politicizzata per sostenere la campagna di propaganda antisovietica degli anni di Ronald Reagan, allo scopo di assicurare la crescita continua degli armamenti e una politica estera più aggressiva, in particolare nel Terzo Mondo". L'ex agente della Cia Melvin Goodman aveva dichiarato dinanzi alla Commissione che non solo la Cia non aveva trovato la minima traccia di una qualunque implicazione sovietica o bulgara nell'attentato, ma anche che "la buona penetrazione dei servizi segreti bulgari" da parte della Cia "ha permesso a questi professionisti di concludere sull'inesistenza di questa connessione".
La Commissione aveva potuto anche esaminare gli archivi segreti del ministero degli Interni della Bulgaria e non aveva trovato la minima prova dell'implicazione dei Bulgari o del Kgb. Era un colpo brutale alle tesi spacciate da Claire Sterling e dall'ex agente della Cia Paul Henze nell'assenza totale di prove, sul Reader's Digest e su media autorevoli come Newsweek, Time, New York Times e Cbs News.
Nessuno dei grandi organi di stampa che avevano amplificato lo stereotipo propagandistico della "pista bulgara" partecipò ai propri lettori il risultato negativo delle indagini e dello stesso processo di Roma, nel quale vennero scoperti l'attività di Francesco Pazienza e i metodi falsi adottati dal Sismi nel produrre il falso documento che implicava i russi nell'attentato.
"I media furono presi con le mani nel sacco" conclude Chomsky. "E' chiaro che nella loro approvazione entusiasta del complotto, essi hanno seriamente condotto i loro lettori in barca e si sono comportati come meschine fonti di informazione, senza parlare dei loro talenti di analisti. Ma hanno ben servito la propaganda del loro governo. Nessuno di loro si è creduto obbligato ad informare i lettori di questi errori e a scusarsi di aver ridotto il giornalismo al ruolo di agenzia di propaganda".

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