Blair: «Niente armi proibite, ma la guerra in Iraq era giusta»
LONDRA - «Assassino»,«Basta con le guerre illegali», «No agli insabbiamenti». Le urla furiose di una pattuglia di contestatori hanno risuonato oggi nella Camera dei Comuni di Londra dove il premier britannico Tony Blair stava cercando di convincere i parlamentari che, armi o non armi, la guerra contro Saddam Hussein era sacrosanta ed andava combattuta.
La contestazione è durata poco: il tempo necessario ai commessi per trascinare via i sette manifestanti, mentre lo speaker ordinava la sospensione di dieci minuti del dibattito per procedere allo sgombero della galleria riservata al pubblico. Un episodio forse marginale, ma di grande effetto e certamente sintomatico della straordinaria pressione a cui Tony Blair è quotidianamente sottoposto a causa dei fantomatici arsenali di morte di Saddam Hussein.
Ieri il premier, sull’onda di un’analoga iniziativa adottata dal presidente George Bush, era stato costretto a nominare una commissione d’indagine incaricata di fare chiarezza sulle informazioni di intelligence ricevute dal governo ed utilizzate per la stesura del dossier sulle armi irachene del settembre 2002. L’ha affidata a Lord Butler, un ex alto funzionario pubblico considerato un fedele ed affidabile servitore dello stato. Se sperava con questa inchiesta - la quarta dopo quelle condotte da due commissioni parlamentari e dal giudice Hutton - di chiudere le polemiche si sbagliava di grosso.
Questa mattina sul quotidiano Independent è apparso un lungo articolo scritto da Brian Jones, che fino al gennaio 2003 quando è andato in pensione, dirigeva un’equipe di scienziati specializzati nell’analisi delle informazioni sulle armi nucleari, chimiche e biologiche all’interno del Dis (Defence intelligence staff), il servizio di intelligence militare. Jones ha sferrato un durissimo attacco all’attendibilità del dossier sulle armi irachene, definendolo fuorviante, sostenendo che le riserve e le preoccupazioni degli esperti furono ignorate e rilanciando i sospetti che il governo fece pressioni per drammatizzare la minaccia degli arsenali iracheni. Sospetti dei quali Blair sperava di essersi liberato con il rapporto del giudice Brian Hutton, che ha concluso l’indagine sulla morte dello scienziato David Kelly assolvendo il governo da ogni disonestà nella preparazione del dossier e definendo infondate le affermazioni fatte dal giornalista della Bbc Andrew Gilligan che aveva parlato di ingerenze di Downing Street.
Conclusioni che hanno suscitato vive contestazioni, e oggi cinque manifestanti travestiti da Lord Hutton hanno lanciato vernice bianca contro le cancellate davanti alla residenza del primo ministro in Downing street. Jones dice che nel dossier le «probabilità» furono trasformate in «certezze» e sfida il governo a pubblicare le informazioni di intelligence originali sulla più controversa, ed ormai palesemente falsa, affermazione contenuta nel dossier, cioè che le armi letali irachene potevano essere attivate in 45 minuti. Immediata la replica di Downing Street su questo punto.
L’ufficio di Blair ha già fatto sapere che quelle informazioni sono riservate e che tali resteranno.
Nel pomeriggio il rapporto Hutton è approdato alla Camera dei Comuni dove il primo ministro, ha dovuto rispondere ad un fuoco di fila di domande dei parlamentari. Dopo aver per mesi invitato ad avere pazienza, ha dovuto riconoscere che gli ispettori americani «non hanno trovato armi pronte ad essere utilizzate», ma ha insistito che comunque Saddam Hussein costituiva un pericolo per l’umanità. «Anche se non dovesse essere trovato altro, saremmo stati degli irresponsabili a non agire contro Saddam», ha affermato il premier.
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