Italia pro-Iraq?
Mentre il primo ministro britannico Tony Blair esulta per essere stato
scagionato dal "caso Kelly", negli Stati Uniti si è aperto il caso "K". Si
tratta delle recenti dichiarazioni al Congresso del capo degli ispettori
Usa in Iraq, David Kay. Prima di rassegnare le dimissioni il funzionario ha
affermato che Saddam si era sbarazzato delle armi non-convenzionali ben
prima dell´intervento armato anglo-americano e che, nonostante il Rais
abbia avuto un programma nucleare nella Guerra del Golfo del ´91, quel
programma - e quello delle armi chimiche e batteriologiche - era sfumato
negli anni per la combinazione delle ispezioni Onu, delle sanzioni
internazionali e per la decisione di Saddam di liberarsi di quelle armi. Il
fatto stesso che, a quasi un anno di distanza, la pattuglia di 1400
ispettori Usa diretta da Kay non sia riuscita a trovare traccia delle "armi
proibite" sta per lo meno a dimostrare - come nota il New York Times -
che "il Rapporto ´National Intelligence Estimate´ prodotto dalla CIA e da
altre agenzie nel 2002 sovrastimava le capacità belliche dell´Iraq". Una
constatazione quest´ultima che in altri frangenti sarebbe stata accolta con
gioia. Se non che, proprio quel Rapporto aveva fornito all´amministrazione
Bush la documentazione necessaria per giustificare l´intervento armato in
Iraq: la famosa smoking gun (pistola fumante).
Nei giorni scorsi, dopo le rivelazioni del libro di Ron Suskind "The Price
of Loyalty" ispirato dalle dichiarazioni e dai circa 30 mila documenti
presentati da Paul O´Neill, l´ex Segretario di stato americano al
tesoro "licenziato" da Bush alla fine del 2002, la questione delle armi di
Saddam è tornata alla ribalta negli Usa e i Democratici stanno chiedendo
un´indagine indipendente su tutta la faccenda.
Secondo la documentazione fornita da Paul O´Neill, infatti, nei primi tre
mesi del 2001 - cioè due anni prima dell´inizio della guerra -
l´amministrazione Bush stava studiando le opzioni militari per rimuovere
Saddam Hussein dal governo e andava già pianificando il dopo-Saddam:
l´organizzazione delle truppe per il mantenimento della pace, i tribunali
per i crimini di guerra e il futuro del petrolio iracheno. Un documento del
Pentagono titolato "Foreign Suitors For Iraqi Oilfields Contracts"
(Compagnie straniere interessate a contratti per i pozzi petroliferi
iracheni) parla di possibili contraenti in 30 o 40 Paesi tutti con vari
interessi per il petrolio iracheno.
Non stupiscono perciò più di tanto le conclusioni di un altro Rapporto
pubblicato in questi giorni negli Stati Uniti secondo cui "non vi erano
prove convincenti che l´Iraq stesse avviando un programma nucleare", "né
che armi chimiche o biologiche stessero per essere consegnate a membri di
Al´Qaeda, un fatto anzi escluso da diverse prove".
Si tratta del Rapporto "WMD in Iraq: evidence and implication" (Armi di
distruzioni di massa: evidenze e implicazioni - disponibile sul sito
www.ceip.org ) del Carnegie Endowment for International Peace.
* * *
Ciò che stupisce, invece, è che nessun clamore abbia suscitato un´indagine
pubblicata dal quotidiano americano Los Angeles Times. Il giornale ha
pubblicato documenti che mostrano come, nonostante le sanzioni
internazionali, alla viglia della guerra in Iraq la Siria rifornì di armi
Saddam Hussein. E la faccenda ha una certa rilevanza anche per l´Italia.
L´inchiesta di fine anno del Los Angeles Times dimostra un traffico di armi
tra Siria e Iraq diretto da una società di proprietà di Bashar Assad,
cugino di Saddam. La società Ses International Corporation, guidata da
Assad e controllata da altri importanti esponenti del partito Baath
siriano, avrebbe regolarmente trasferito armi all´Iraq nel periodo tra il
2000 e il 2003. Nel traffico sono direttamente coinvolti diversi personaggi
di punta del regime di Damasco e gli ultimi 50 contratti, per un valore di
decina di milioni di dollari, sarebbero stati firmati tra la fine di
febbraio e gli inizi di marzo 2003 a pochi giorni dall´inizio dei
bombardamenti su Baghdad.
In particolare l´inchiesta mostra come nei mesi precedenti l´intervento
anglo-americano vi sia stata da parte di Saddam una "disperata ricerca in
almeno una dozzina di nazioni di missili balistici, missili contraerei,
artiglieria, pezzi di ricambio per aerei da combattimento MIG, carro
armati, sistemi radar e esplosivi". E soprattutto ricorda una cosa di
particolare interesse per noi italiani: nel marzo scorso l´amministrazione
Bush aveva accusato la Siria di aver inviato "visori notturni e altro
materiale bellico" all´Iraq, ma che gli stessi ufficiali statunitensi "non
erano a conoscenza delle dimensioni del traffico illecito di armi tra i due
Paesi".
* * *
Ciò che il giornale statunitense non ha investigato è se tra quei "visori
notturni ad uso bellico" passati a Saddam dalla Siria non vi siano anche i
sofisticati sistemi di visori notturni di puntamento per carri armati T72
che lo scorso anno l´Italia ha venduto alla Siria. La Relazione 2003 della
Presidenza del Consiglio sull´export di armi italiane, riporta infatti che
nel 2002 sono state autorizzate da governo italiano vendite di armamenti
alla Siria per un totale di oltre 18 milioni di euro. Si tratta di 17
esportazioni che fanno parte di una megacommessa da 266.379.656 euro (515
miliardi di lire) firmata nel 1998 e mai interrotta nonostante le continue
accuse di violazioni al governo siriano.
E tra queste appunto vi sono i sistemi di visori notturni di puntamento e
di controllo del tiro per carri armati T72 di fabbricazione sovietica,
prodotti oltretutto da un´azienda controllata dallo Stato: le Officine
Galileo della Finmeccanica. Non si tratta di "traffici illeciti", ma di
operazioni autorizzate dal Governo
(http://www.camera.it/_dati/leg14/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/
067/002/pdfel.htm) delle quali però nessuno parla. Mentre gli ispettori Usa
continuano a cercare le armi di distruzione di massa, non guasterebbe
perciò una verifica del Parlamento sulle nostre esportazioni di armi e
particolarmente su quelle a rischio di... triangolazioni.
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