La guerra parallela dell'informazione
Lo show bellico dato ieri mattina dagli americani nel cuore di Baghdad e' stato piu' mirato - e probabilmente molto piu' efficace - di qualsiasi arma intelligente. Perche' fa parte di quella guerra dell'informazione che, almeno dal conflitto del Golfo del 1991, ogni esercito sa di dover condurre parallelamente a quella sui campi di battaglia. Ormai l'informazione crea la realta', modifica il consenso e influenza le decisioni sia per chi attacca sia per chi difende. La propaganda e' la vera arma segreta del nostro tempo. L'incursione americana alla luce del sole potrebbe avere avuto diversi obiettivi.
1) Paradossalmente, il primo messaggio di forza non e' stato tanto per l'esercito iracheno o per la Guardia Repubblicana. Le truppe regolari di Saddam Hussein non sembrano avere opposto una resistenza davvero tenace di fronte all'accelerazione del conflitto imposta dagli americani nell'ultima settimana. Questo per una sproporzione di mezzi che pero' ha fatto il paio con strani eventi, strategicamente rilevanti quanto per ora inspiegati: l'avanzata degli Abrams sui ponti del Tigri e dell'Eufrate ha avuto un vero stop soltanto quando uno di questi ha ceduto sotto il peso del mezzo. In una guerra che parte delle forze irachene ha trasformato in guerriglia, non si e' avuta notizia di un ponte fatto saltare per rallentare l'avanzata nemica. Ne' parrebbe che le piste del principale aeroporto di Baghdad siano state minate a dovere, se e' vero che un C-130 e' atterrato l'altro ieri, cioe' poco dopo la presa dell'area da parte degli americani. E ne' (sempre che la notizia sia vera) si permettono decolli e atterraggi se nel raggio di diversi chilometri non si ha la certezza che il nemico sia cancellato; non sono necessarie tecnologie sofisticate per tirare giu' un aereo da trasporto a bassa quota. 2) La dimostrazione di forza americana dentro Baghdad dovrebbe dunque avere avuto come destinatari le truppe irregolari di Saddam Hussein - forse piu' disposte a morire per il regime di quanto siano i soldati - e soprattutto lo stretto entourage politico-militare che circonda ancora il rais. Perche' la speranza del Pentagono e' sempre la stessa, coltivata dal primo giorno di guerra: un tradimento, una fuga, una delazione ai danni di Saddam. E una capitolazione negoziata con un "nuovo" vertice. 3) L'incursione americana e' efficace (dal loro punto di vista) perche' mostra forza e nasconde il fatto che la coalizione non ha in realta' ancora i numeri per circondare e controllare davvero una citta' enorme. Anche senza doversi battere con intere divisioni irachene, ognuna delle quali viene stimata forte di 8000 uomini, gli americani rifuggono il combattimento casa per casa, troppo rischioso per le proprie truppe e politicamente pericoloso perche' allungherebbe inevitabilmente i tempi della guerra, rendendola piu' impopolare di quanto dicano i sondaggi. 4) I marines che filmano i palazzi vuoti di Saddam hanno un effetto di relazioni esterne sul mondo mediatico di grande impatto. La guerra sta per finire - no, non e' vero frenano i generali dal comando centrale e da Washington - e mentre ci si interroga sul senso di questi stop and go, intanto lo si fa un po' credere e le borse risalgono, il clima di attenzione forse un po' cala e il missile che cade sui civili fa meno notizia. Torniamo all'informazione che crea la realta'. In fondo anche Saddam Hussein ci prova, con continue apparizioni televisive: solo che la maggior parte degli abitanti di Baghdad non ha piu' l'elettricita' per vederlo.
Fin qui i possibili obiettivi dell'incursione americana dentro Baghdad. Ma la guerra dell'informazione ha tanti buchi difficilmente riempibili sia dai 600 giornalisti embedded, cioe' aggregati con le truppe, sia da chi sta a Baghdad o dai free lance in giro per l'Iraq. Quanti sono stati finora, per esempio, i soldati iracheni uccisi in battaglia? Saddam tace per motivi ovvi, il Pentagono fa sapere circa 2300 - benche' poi parli di "divisioni annientate". L'altro giorno il Financial Times ha aperto del "fuoco amico" su come gli embedded stanno raccontando la guerra, cosi' influenzati - dice il quotidiano inglese - da quel che i comandi militari dicono o vogliono sapere da incappare in "notizie" cancellate nel giro di poche ore. Un giudizio che probabilmente puo' essere agitato in qualsiasi guerra moderna, tale e' l'attenzione che gli strateghi militari dedicano ormai allla gestione dei media sul campo di battaglia e oltre. Ma le maglie, per fortuna, non sono ancora chiuse. E' stato un giornalista a raccontare una strage di civili iracheni da parte dei marines, impegnati poi a nascondere l'avvenimento. Uno del Washington Post, un quotidiano schierato a favore della guerra.
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