Incontro con Ryzsard Kapuscinski

Reporter in estinzione?

Grande maestro del giornalismo nomade, venti libri tradotti in oltre 10 lingue, Kapuscinski racconta a VpS il futuro della professione di reporter e i nuovi conflitti. Con una previsione: il corrispondente non morira' mai.
9 aprile 2003
Tiziana Montaldo
Fonte: Volontari per lo Sviluppo - aprile 2003

Ryzsard Kapuscinski e' considerato uno dei piu' grandi reporter del XX secolo soprattutto per le sue indimenticabili corrispondenze dall'Africa, molte delle quali diventate best seller tradotti in tutto il mondo come Il Negus (1983), Imperium (1994) e Lapidarium (1997), in Italia editi da Feltrinelli. Alto giornalismo di percorsi "alternativi" si potrebbe definire la sua scrittura, intessuta di vita nelle favelas africane per raccontare la luce, gli odori, la gente, ma soprattutto di condivisione, in coda con donne e bambini, unico bianco, per prendere l'acqua. Volontari per lo Sviluppo lo ha incontrato in un albergo torinese in occasione dell'assegnazione del Premio per la lettura del Grinzane Cavour.
Polacco, classe 1932, nato a Pinsk, Kapuscinski appare un signore molto serio e tranquillo, completo grigio chiaro, camicia e cravatta, un'eleganza semplice, quasi dimessa. Nulla, ma proprio nulla che faccia pensare al grande viaggiatore, protagonista di tante avventure. "Sono molto timido nelle conferenze stampa, non sono un politico ne' un attore - dice - ma cio' che mi da' coraggio e' sapere che sono tra amici. Quello del giornalista e' un mestiere che ho fatto per moltissimi anni ed e' anche per questo che mi sento meglio". Conclude arrossendo ed e' subito evidente che non e' una frase di circostanza.

Il pensiero non muore

La Storia, per Kapuscinski, e' fatta di due forze in costante tensione: quella del palazzo del potere (la politica) e quella della massa. Nelle rivoluzioni acquista maggior potere la seconda, ma e' la prima a gestire la vita dei paesi per lunghi anni. In questo complesso rapporto sta cio' che avviene nel mondo, un rapporto complicato di cui i mezzi di comunicazione sembrano spesso non curarsi. "Esiste un problema tecnico nei media, oggi, ed e' quello dello zoom. È attraverso questo meccanismo che si manipolano i fatti. Si riprendono le scene troppo da vicino, ignorando tutto quello che sta intorno e slegandolo dalla storia, dalle societa', dalle tradizioni, in una parola, dal contesto".
Nella narrazione dei fatti si inseriscono anche le differenze tra i mezzi di comunicazione, e in particolare il difficile rapporto tra la carta stampata (giornali e libri) e l'elettronica (televisione e Internet). Uno scontro tra nuove e "vecchie" tecnologie. Che non preoccupa lo scrittore giornalista polacco. "C'e' stata la paura che la televisione, Internet e tutti i nuovi mezzi tecnologici di comunicazione avrebbero eliminato la parola scritta, dunque i giornali e i libri. Se fosse stato vero avrebbe significato la morte della riflessione, l'uccisione del pensiero. Ma per fortuna questa profezia non si e' verificata. Esiste invece un fenomeno contrario per cui, nel mondo contemporaneo, vedo un grande sviluppo della parola scritta e una grande richiesta di informazione. I media elettronici ci offrono una visione molto superficiale e limitata: la loro qualita' e' la velocita' e la brevita'. Ma le persone che pensano e vogliono conoscere, riflettere, non si accontentano: la news accende l'interesse e poi si cerca di capire quali sono le forze che governano i fatti, che cosa c'e' dietro la notizia. E allora si comprano i giornali e i libri". Senza demonizzare la modernita', Kapuscinski ribadisce di credere nella cooperazione e nella complementarieta' di questi diversi mezzi.

Reporter in estinzione?

È nei resoconti sui conflitti che pero' i media mostrano spesso il piu' alto grado di manipolazione. Una situazione che sembra peggiorare anche grazie al fatto che giornali e televisioni sono sempre meno disposti a inviare giornalisti "sul campo". Per motivi economici. Ma non solo. "La vita del corrispondente di guerra e' cambiata in modo drammatico: e' un mestiere destinato a scomparire, a diventare inutile e obsoleto, perche' sono cambiate le guerre. Dopo il Vietnam, la Somalia e Panama, gli Stati Uniti d'America avevano capito un concetto fondamentale: mai piu' l'opinione pubblica avrebbe accettato di veder morire i figli della sua nazione, e allora ha dovuto inventarsi un nuova guerra: quella senza morti. È una strategia molto costosa che possono permettersi solo loro. Il meccanismo e' semplice: si disegna una regione sulla cartina, la si "sigilla" e la si bombarda senza sosta fino ad annientarla, annichilendo qualunque forma di vita esistente nell'area. Non esiste piu' un "fronte". Non c'e' altro scopo che la distruzione totale di tutto il territorio". Con buona pace dei missili "intelligenti" e delle "operazioni chirurgiche". "All'interno di quell'area non si puo' lavorare e cosi' i giornalisti vengono tenuti fuori, lontano. Negli alberghi, ad aspettare le informazioni preconfezionate delle fonti ufficiali, ma questo e' un lavoro da ufficio postale, non da giornalisti. Per questa ragione dal Kosovo all'Afghanistan non ci sono piu' state vere notizie".

Cinici, no grazie

Ma Kapuscinski si dimostra per il futuro concretamente positivo. "In tutto il mondo sono numerose le scuole di giornalismo in cui i giovani possono imparare a fare questo mestiere. Il XXI secolo e' quello dell'informazione e io sono convinto che per il giornalismo di qualita' ci sara' sempre un posto. In America Latina insegno in una scuola per reporter con Garcia Marquez e ho potuto vedere molti giovani talenti. Quanto piu' a lungo ci saranno persone che sentono la curiosita', il fascino di questo mestiere, e saranno pronte anche a correre molti rischi, tanto piu' la professione sopravvivra'. Certo sono consapevole che esiste anche una commercializzazione delle notizie. Non ignoro il fenomeno, ma mi oppongo, noi non dobbiamo vendere prodotti, ma pezzi di verita'". Non a caso, il giornalista sta scrivendo un libro su Erodoto, che per lui e' stato il grande inventore del reportage.
E si dichiara, nonostante tutto, fermamente convinto che quello del giornalista non e' un mestiere adatto ai cinici. "In tutta la mia vita non ho mai incontrato un vero reporter che fosse una persona cattiva o corrotta. Dopo tutto, in questo mestiere c'e' anche un po' del missionario: non si puo' raccontare qualcosa senza avere dentro di se' una grande umanita'. Ogni anno ci sono persone che muoiono o sono pronte a farlo per fare bene questo lavoro, non si comporterebbero cosi' se fossero cinici". Dimostra la sua teoria raccontando commosso: "Un paio di mesi fa sono stato invitato da una televisione spagnola a parlare in una trasmissione notturna. Gli studi di registrazione erano in un piccolo paese fuori citta' e sono arrivato verso mezzanotte in un edificio semideserto. Ad attendermi c'era un gruppetto di persone con in testa una donna. Era la madre di Gilberto Gill, giovane giornalista spagnolo morto in un'imboscata in Sierra Leone. Voleva incontrarmi e stringermi le mani, perche' suo figlio, fino alla partenza, le aveva parlato spesso di me. Per questa donna era come se una parte di lui fosse sopravvissuta nella mia persona. E' un meraviglioso esempio della solidarieta' che ci lega dentro".

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