Processi penali, intercettazioni e leggi bavaglio sulla stampa
L’8 luglio 2008 si tenne una manifestazione a piazza Navona, organizzata con successo in pochissimi giorni. Il decreto-legge che il governo Berlusconi appena insediatosi stava per adottare era al limite dell’accettabilità in uno Stato di diritto. Il “decreto sicurezza” prevedeva infatti il blocco per un anno di tutti i processi penali in corso per reati punibili con meno di dieci anni.
Come costruire percorsi a ostacoli
Le cancellerie sarebbero state impegnate in un immane e probabilmente inutile e frustrante lavoro (cancellazione di udienze, notifiche di avvisi a tutte le parti, nuove date da fissare e comunicare appena possibile), certamente non senza incidenti e disguidi. Un immenso meccanismo di intralcio in una macchina già piena di problemi, che avrebbe bloccato, secondo i magistrati, forse 100.000 processi. Risultava incomprensibile anche per le parti coinvolte, le vittime dei reati e le parti civili costituite in giudizio, magari ormai alla vigilia della sentenza. Tutto questo, si disse, era giustificato dall’esigenza di privilegiare i nuovi procedimenti penali (mai prospettata da nessun operatore e tecnico del settore, fino ad allora), anche se a discapito di procedimenti in cui si stava già lavorando e arrivando a una sentenza. L’unica spiegazione plausibile per una proposta del genere e la sua tempistica sembravano non avere niente a che vedere con l’efficienza del sistema giudiziario penale. Anche esponenti della maggioranza di governo ammisero che occorreva salvaguardare il Presidente del Consiglio rinviato a giudizio in alcuni processi.
Anche il testo del 2008 prevedeva un divieto di pubblicare notizie pesantemente sanzionato, e perfino il carcere per i giornalisti. Anche allora ci furono sorpresa, sbigottimento, occhi da stropicciare per sapere di essere svegli. Infine, il coro di indignazione e di allarme e le molte proteste determinarono un dietro front del governo.
Il disegno di legge in corso di approvazione e i precedenti
Nel giugno 2009 la Camera dei deputati ha approvato un disegno di legge sulle intercettazioni presentato un anno prima (nello stesso periodo in cui era stato concepito il decreto-legge “blocca-processi”). Il DDL è ora al Senato e sarà esaminato in Aula, dopo una discussione in Commissione Giustizia conclusasi il 24 maggio scorso. Ancora un giro di vite sulle intercettazioni e sull’informazione.
Lo sfinimento è dietro l’angolo e minaccia tutti i protagonisti della precedente battaglia, tra cui i giornalisti. Ma ci sono anche forze fresche, persone che hanno deciso di essere più presenti e giovani che prestano attenzione all'attualità, leggendo e utilizzando siti web, blog e altri strumenti di comunicazione
Può darsi che siano argomenti complicati, da specialisti. Intanto però si può partire da osservazioni molto semplici utili per ricostruire il contesto di questi interventi negli anni, ricordando che nel 2005 un precedente governo Berlusconi aveva già deciso di intervenire sulle intercettazioni con un decreto-legge. Anche quella proposta limitava la possibilità di dare notizie e stabiliva pesanti sanzioni a carico dei giornalisti. Il Presidente della Repubblica fece notare l’inadeguatezza di un intervento in via di urgenza in questa materia senza un passaggio in Parlamento, e almeno sulla tipologia del provvedimento ci fu un ripensamento. In quella occasione, il Presidente del Consiglio dichiarò di essere intervenuto personalmente per fare eliminare dal testo la sanzione del carcere per i giornalisti, ritenendola “un’ipotesi eccessiva”.
Ma il carcere è sempre un argomento riutilizzabile. In questi 5 anni – e ora in questo ultimo disegno di legge - lo si è fatto. Poi magari, dopo proteste e trattative estenuanti, la proposta può essere ritirata, ma naturalmente al prezzo di irrigidimenti su altri contenuti.
L’informazione e i confronti sono sgraditi e i problemi della giustizia non vengono affrontati.
In questo disegno di legge ci sono molte disposizioni discutibili sulle procedure e sui limiti nell’utilizzo delle intercettazioni.
Ma ce ne sono altre molto pericolose per la libertà. Per ora nessuno mette ancora in dubbio che si possa parlare di un fatto, di un fenomeno o di un comportamento, che si possano cercare informazioni e fornirle. L’articolo 21 della Costituzione lo conosciamo tutti: libertà di manifestazione del pensiero e libertà di stampa, ci sono dentro la libertà di critica, di cronaca, di informare ed essere informati, condizioni essenziali per poter partecipare alla vita sociale e politica. Ma attenzione: un inquinamento che diventa oggetto di un’indagine penale rischia di scomparire, non se ne può più scrivere, e anche la morte di un operaio in un incendio o per aver inalato gas tossici scompare, non esiste più, neanche “per riassunto”.
Non farsi da parte e chiedere invece più informazione e più giustizia
PeaceLink invita a firmare la petizione
http://nobavaglio.adds.it
Forse non è interesse di un sistema democratico rendere difficili le indagini sui reati più complessi, in cui una pluralità di soggetti, di ruoli e legami possono apparire marginali se considerati isolatamente. E colpisce una così grande preoccupazione per l'invasività della cronaca e per la riservatezza dei cittadini, in tante occasioni ignorati e maltrattati (tra l'altro cittadini tra i meno informati nel mondo).
I meccanismi pensati per limitare intercettazioni e informazioni, il grado di sensibilità dimostrato e il forte intreccio di garanzie voluto per questa normativa, dichiarata essenziale per la libertà della gente comune, sarebbero certamente molto preziosi e apprezzati se applicati a leggi, politiche e azioni destinate a garantire una vita normale a un negoziante campano o a un giovane imprenditore pugliese, a un operaio di un cantiere edile, o di una fabbrica di pesticidi, se servissero a difenderne il lavoro, la libertà e la salute. Sarebbero preziosi se, con la stessa determinazione, riguardassero interventi degli organi pubblici per assicurare aria pulita e alimenti sani, per definire e chiarire competenze e responsabilità di amministrazioni e organi che tardano a svolgere le loro funzioni di governo e controllo in settori essenziali per i cittadini, tra polemiche, alibi e qualche volta minacce.
Ma sembra che dovremo aspettare, liberi di raccontare un po’ delle nostre storie e dei nostri guai, ma senza occupare troppo spazio e magari solo “per riassunto”.
Affinchè sia possibile effettuare controlli per mezzo di riprese visive, le norme del DDL stabiliscono che i luoghi (se non appartenenti a soggetti indagati o non effettivamente e attualmente in loro uso) devono appartenere o essere “effettivamente e attualmente in uso a soggetti diversi che, sulla base di specifici atti di indagine, risultano a conoscenza dei fatti per i quali si procede", e devono sussistere "concreti elementi per ritenere che le relative condotte siano direttamente attinenti ai medesimi fatti”. Significa che nella ricerca di un latitante, per potere sottoporre a controllo i movimenti e i luoghi frequentati da un suo probabile emissario, si dovrebbe già essere certi del ruolo che questi ricopre.
E’ anche previsto che il Tribunale che deve autorizzare uno di questi strumenti d’indagine adotti un decreto in cui deve “con autonoma valutazione, dare conto dei relativi presupposti, che devono essere espressamente e analiticamente indicati e non desunti dai soli contenuti di conversazioni intercettate nello stesso procedimento”. Significa che - anche se sussistono tutti gli altri presupposti per consentire un’intercettazione - l’indagine su un fatto di reato emerso grazie all’ascolto anche di più conversazioni non può proseguire se di quegli stessi elementi non si viene a conoscenza in modo diverso, e che il Tribunale ha stringenti vincoli anche rispetto alla matrice e alla motivazione del suo convincimento.
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