Il testo del disegno di legge sulle intercettazioni: cosa prevede
I contenuti dell’atto del Senato n. 1611 sulle intercettazioni attualmente in discussione
Il testo del disegno di legge sulle intercettazioni, approvato dalla Camera dei Deputati l’11 giugno 2009 e attualmente all’esame del Senato (atto 1611) ha assorbito le altre proposte presentate, tra cui quella dei deputati dello schieramento di centro sinistra (DDL Tenaglia e altri). Nella versione licenziata dalla Camera, si trattava di un articolo unico, composto di 35 commi.
L’ultima versione non modifica – salvo ripensamenti – l’elenco dei reati e delle indagini nel cui ambito possono essere autorizzate intercettazioni delle comunicazioni o ambientali (oltre ai reati piuttosto gravi indicati espressamente nell’art. 266 cod. proc. pen., quelli sanzionati con una pena massima di almeno 5 anni). Tuttavia in molti casi l’uso delle intercettazioni e di altri strumenti analoghi di controllo è reso molto complicato, e qualche volta impossibile.
Scorrendo alcuni passaggi del testo originario si leggeva che, per porre sotto controllo un’utenza, dovevano già esserci “evidenti indizi di colpevolezza” (solo sufficienti indizi di reato in caso di indagini su alcuni gravissimi reati). Sarebbe stata una novità rilevante, significherebbe fare intercettazioni solo dopo avere già raccolto prove a carico di un colpevole e non poter usare invece questo strumento per cercarle.
Questo presupposto è stato modificato al Senato la scorsa settimana (insieme ad altre parti del testo, modificate in Commissione Giustizia e ancora destinate a novità in Assemblea): è sufficiente quindi che vi siano “gravi indizi di reato”. Tuttavia, per valutare tale gravità, si è stabilito di utilizzare gli stessi criteri che servono per valutare le prove (essendo stato inserito un rinvio agli artt. 192, commi 3 e 4, 195, commi 7, e 203 cod. proc. pen.). Anche questa scelta è stata vivacemente contestata in Commissione, dove è stato evidenziato che non possono sovrapporsi la fase investigativa della raccolta di singoli elementi e prove e quella della verifica complessiva della loro tenuta.
Anche il controllo su utenze in uso a soggetti diversi dagli indagati è reso eccezionale. Sarebbe possibile solo se, “sulla base di specifici atti di indagine" tali persone (ad esempio familiari o dipendenti) risultassero "a conoscenza dei fatti per i quali si procede", sussistendo anche "concreti elementi per ritenere che le relative conversazioni o comunicazioni siano direttamente attinenti ai medesimi fatti ”.
E’ il caso di notare che la norma avrebbe dovuto riferirsi alle utenze di “soggetti non indagati”, mentre in tal modo vi sarebbe - come osservato in Commissione Giustizia dal senatore Li Gotti - una indagine nell'indagine. In ogni caso la norma renderebbe impossibile controllare le conversazioni di tutte quelle persone che, non essendo - o non risultando - a conoscenza dell’esistenza di reati, possano venire inconsapevolmente utilizzate da associazioni criminali. I giudici che svolgono indagini complesse - come quelle su operazioni finanziarie connesse a crimini di matrice mafiosa, o su traffici internazionali di armi o di rifiuti - in molti casi non potrebbero continuare ad investigare efficacemente, non potendo spesso sapere esattamente quali specifici fatti di reato si siano verificati.
Nel caso poi di un'intercettazione tra presenti (ambientale), dovrebbe esserci già un “fondato motivo di ritenere che nei luoghi dove è disposta si sta svolgendo l’attività criminosa”. E’ la condizione richiesta attualmente per introdurre microfoni all’interno di un domicilio privato. Diventerebbe la regola, eccetto che nel corso di alcune indagini su gravissimi reati (comma 9 del DDL della Camera, che sostituisce l’art. 266 cod. proc. pen.).
Altre osservazioni fortemente critiche hanno riguardato l'abrogazione di una norma che oggi facilita (richedendo solo "sufficienti indizi di reato") le intercettazioni in caso di indagini su delitti di criminalità organizzata anche non mafiosa e di minaccia per mezzo del telefono (comma 32 del DDL della Camera, che abroga l’art. 13 della legge 13 maggio 1991, n. 152). Così come la modifica che non consente una proroga dell'intercettazione superiore a 15 giorni perfino nel caso in cui occorra impedire conseguenze ulteriori dell'attività delittuosa o che siano commessi altri delitti.
Ci sono anche altre limitazioni nell'uso di questo strumento d'indagine: se nel corso di un’intercettazione emergessero “gravi indizi di reato”, se risultasse indispensabile procedere ad altre intercettazioni per proseguire la nuova indagine e vi fossero anche “specifiche e inderogabili esigenze relative ai fatti per i quali si procede, fondate su elementi espressamente e analiticamente indicati …”, non si potrebbe comunque porre sotto controllo un'utenza, se tali elementi siano emersi solo dai "contenuti di conversazioni telefoniche” (comma 10 del DDL, che modifica l’art. 267 cod. proc. pen.). Significa che, pur essendo in presenza di gravi indizi e specifiche e inderogabili esigenze, quegli stessi indizi dovrebbero necessariamente emergere altrove, e non "da conversazioni telefoniche".
Divieti di pubblicazione di atti e obblighi di rettifica per i siti informatici.
In molti casi nel corso di un’indagine viene emessa un’ordinanza cautelare (ad esempio l’arresto di un indagato per corruzione, o la sospensione dell’attività di un professionista). La nuova formulazione dell’art. 114 del codice di procedura penale (divieto di pubblicazione di atti e di immagini) ne vieterebbe “la pubblicazione anche parziale, per riassunto o nel contenuto”. Lo stesso divieto riguarderebbe il contenuto delle richieste fatte al giudice.
La pubblicazione nel contenuto è possibile dopo che l’indagato (o il suo difensore) sia venuto a conoscenza dell’ordinanza, ma è vietato ogni riferimento alle “parti che riproducono la documentazione e gli atti” relativi alle conversazioni (anche telefoniche), ai flussi di comunicazione informatiche o telematiche e ai dati riguardanti tabulati di traffico telefonico o telematico (comma 5 del DDL della Camera che integra l’art. 114 cod. proc. pen.).
Il divieto di pubblicazione riguarderebbe anche atti non coperti da segreto istruttorio. Lo scopo della disposizione, quindi, non sarebbe direttamente quello di evitare di pregiudicare l’indagine. Questa esigenza - che si pone fino alla chiusura delle indagini preliminari, durante la fase in cui non vi è ancora un processo penale e un vero e proprio imputato - è tutelata e sanzionata dall'obbligo di segreto previsto dall’art. 329 cod. proc. pen.. Lo scopo di queste novità e restrizioni sarebbe invece quello di tutelare maggiormente la riservatezza delle persone indagate.
In un'ipotesi di questo genere, il bilanciamento tra valori ed esigenze diverse sarebbe stabilito a priori a favore della riservatezza. In caso di indagini penali, quindi - anche oltre le esigenze legate alla loro efficacia - il rischio per la riservatezza di alcune persone giustificherebbe l’arretramento della tutela di altri diritti, quali il diritto di informarsi e farsi un’opinione. E queste limitazioni interverrebbero in modo così pesante proprio quando siano stati danneggiati beni e valori rilevanti (danneggiati tanto gravemente da esigere la scoperta e punizione dei responsabili, come accade per la lesione di beni come la vita e la libertà personale, l’incolumità pubblica e la salute, il buon andamento della pubblica amministrazione e della giustizia, la libertà economica).
Il testo originario del DDL prevede anche modifiche alla legge sulla Stampa (legge n. 48 dell'8 febbraio 1947), del tutto estranee alla materia delle intercettazioni. Ha provocato numerose critiche l'inserimento all’interno dell’articolo 8 di un generico riferimento ai siti informatici e il loro assoggettamento a nuovi obblighi, come quello di pubblicare “dichiarazioni e rettifiche” entro 48 ore dalla richiesta di un interessato.
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