L'IMPERO ARROGANTE

traduzione e riduzione di Roberto Bonzio
14 aprile 2003
Fareed Zakaria, direttore di Newsweek International
Fonte: Newsweek

Presto gli Stati Uniti saranno in guerra con l'Iraq.
In apparenza, l'uso della forza militare sembra giustificata. Saddam Hussein gestisce uno dei regimi piu' tirannici della storia moderna. Per oltre 25 anni ha tentato di realizzare armi chimiche, biologiche e nucleari, ed in molti casi documentati ci e' riuscito. Ha gassato 60.000 persone del suo stesso popolo a Halabja nel 1986. Ha dato il via a due guerre catastrofiche, sacrificando circa un milione di iracheni ed uccidendo o ferendo piu' di un milione di iraniani. Ha violato 16 risoluzioni Onu, compresa quella che quattro mesi fa gli offriva una "ultima opportunita'".
Ma nella sua campagna contro l'Iraq, l'America e' virtualmente sola. Mai aveva affrontato un conflitto in un isolamento del genere. Non aveva mai avuto cosi' tanti oppositori della sua politica tra i propri alleati. Non aveva mai provocato tanta ostilita', rabbia e risentimento da parte dell'opinione pubblica. E questo prima ancora che fosse sparato il primo colpo...
Guardando il tumulto in giro per il mondo, e' evidente che quel che sta succedendo va ben oltre questa crisi particolare. Molta gente sia all'estero che in America, teme che si sia ad una svolta, in cui punti fermi dell'ordine globale, l'Alleanza Occidentale, europea, le Nazioni Unite, sotto pressione sembrano infrangersi. Questi strappi vanno ben oltre la questione Iraq, che non e' tanto vitale da provocare dei danni del genere. Infatti in discussione non e' piu' Saddam. Ma l'America ed il suo ruolo nel nuovo mondo.
Per comprendere la presente crisi, bisogna prima capire come il mondo oggi percepisce il potere americano.
E' vero che gli Usa hanno alcuni alleati nel loro sforzo di bloccare Saddam. Ed e' vero che alcuni governi che si oppongono all'azione in Iraq non lo fanno per amor di pace e di armonia internazionale ma per ragioni piu' ciniche.
Francia e Russia hanno una lunga storia di tentativi di indebolimento delle misure per contenere l'Iraq per assicurarsi di avere buoni rapporti commerciali con questo Paese. La Francia dopo tutto ha aiutato Saddam a costruire un reattore nucleare che era ovviamente un punto di partenza per lanciare un programma di armi nucleari (perche' mai il secondo produttore al mondo di petrolio dovrebbe aver bisogno di una centrale atomica?). E le tendenze golliste della Francia sono semplicemente la sua versione personale dell'unilateralismo.
Ma come spiegare che la vasta maggioranza del mondo, con poco da guadagnare da questo, stia con Francia e Russia? ...
Alcuni lo spiegano col fatto che gli europei sono oggi pacifisti, che vivono in un "paradiso postmoderno" al riparo da minacce ed incapaci di immaginare il bisogno di un'azione militare.
Ma allora come spiegare i sentimenti della Turchia, paese ai confini con l'Iraq?
Alleata da tempo, la Turchia ha combattuto con gli Usa in Paesi lontani come la Corea e da allora ha sostenuto ogni azione militare americana. Ma oggi l'opposizione alla guerra tocca il 90%. E malgrado la promessa di miliardi di dollari in nuovi aiuti, il governo non e' riuscito ad ottenere l'appoggio del Parlamento per consentire alle truppe americane di attaccare l'Iraq dalle basi in Turchia.
Josef Josse, uno dei principali commentatori tedeschi, osserva che durante la Guerra Fredda l'antiamericanismo era un fenomeno di sinistra. "A contrastarlo c'era sempre un centrodestra che era anticomunista e filoamericano", spiega. "la Guerra Fredda ha mantenuto filoamericana L'Europa... Ma oggi che una tale minaccia non esiste piu', il sostegno agli Usa e' molto piu' fluido. Partiti di centrodestra possono appoggiare gli Stati Uniti ma molti lo fanno per inerzia e senza molto sostegno popolare...
Sotto un particolare aspetto, penso che l'amministrazione Bush abbia ragione: questa guerra sembrera' migliore quando sara' finita. La campagna militare sara' probabilmente meno difficile di quanto pensino gli oppositori di Washington. Rivelera' la natura del barbaro regime di Saddam. Prigionieri e dissidenti politici racconteranno storie di atrocita'. Documenti terrificanti verranno alla luce. ...
Ma l'amministrazione ha torto se crede che una guerra vincente fara' rapidamente dimenticare al mondo l'ampio dissenso e risentimento nei confronti della politica estera americana. Una guerra in Iraq, per quanto vinta, potrebbe risolvere il problema Iraq. Non risolve il problema America. Quel che preoccupa soprattutto la gente nel mondo e' vivere in un mondo modellato e dominato da un Paese - gli Stati Uniti. E loro sono diventati profondamente sospettosi e timorosi nei nostri confronti.

2 L'ERA DELLA GENEROSITA'

La maggior parte degli americani non si e' mai sentita cosi' vulnerabile. L'11 settembre non e' stato soltanto il primo attacco sul suolo americano da 150 anni ma e' stato pure improvviso e inaspettato.... Ancor oggi il ritmo quotidiano della vita americana e' spesso interrotto da allarmi e avvisi sul terrorismo. L'America percepisce una minaccia alla propria sicurezza fisica sconosciuta dai tempi dei primi anni della repubblica.
Inoltre, il resto del mondo dopo l'11 settembre vede qualcosa di diverso. Vede un Paese che e' stato colpito dal terrorismo, come lo sono stati alcuni di loro, ma che e' capace di reagire al terrorismo su una scala che era quasi impensabile. All'improvviso il terrorismo e' diventata la principale priorita' per il mondo, e di conseguenza ogni Paese deve riorientare la propria politica estera.
Il Pakistan ha sostenuto attivamente il regime talebano per anni; nel giro di pochi mesi ne e' diventato il peggior nemico.
Washington ha annunciato un incremento al budget della Difesa di circa 50 miliardi di dollari, molto piu' del totale del bilancio annuale di difesa di Gran Bretagna e Germania. Pochi mesi dopo ha rovesciato un regime a 9.000 chilometri di distanza, quasi completamente dal cielo, un paese nel quale l'impero britannico e quello sovietico, al culmine del loro potere, erano rimasti impantanati.
La posizione odierna dell'America non ha precedenti. Cent'anni fa, la Gran Bretagna era una superpotenza che governava un quarto del mondo. Ma era solo seconda o terza tra i Paesi piu' ricchi ed era una tra tante potenze militari.
All'inizio del Ventesimo Secolo il cuore della potenza militare era la flotta e quella britannica era grande come quella di due altre potenze messe assieme.
Invece, gli Usa spenderanno per la Difesa quanto tutto il resto del mondo messo assieme (si', 191 Paesi). E cosi' facendo devolvera' il 4% del suo prodotto interno lordo, una percentuale bassa rispetto agli standard del dopoguerra.
Il dominio americano non e' semplicemente militare. L'economia Usa e' vasta quanto quella dei tre Paesi che la seguono in graduatoria, Giappone, Germania e Gran Bretagna, messi assieme. Col 5% della popolazione mondiale, questo paese vanta il 43% della produzione economica mondiale, il 40% della produzione di alta tecnologia, il 50% del settore ricerca e sviluppo.
A guardarli, gli indicatori di crescita per il futuro sono tutti favorevoli all'America. Che e' piu' dinamica economicamente, piu' giovane demograficamente e piu' flessibile culturalmente di qualsiasi altra parte del mondo. E' verosimile che la leadership dell'America, su un'Europa attempata e sclerotica, sia destinata a crescere nei prossimi due decenni.
Vista la situazione, quel che e' piu' sorprendente e' che il mondo non si sia ancora compattato contro l'America. Dall'inizio del sistema degli stati, nel Sedicesimo Secolo, la politica internazionale ha avuto un chiaro motivo ricorrente: la formazione di equilibri di potere contro il piu' forte.
Paesi con immensa forza economica e militare possono provocare sospetti e paura, cosi' gli altri si alleano contro di essi. E' accaduto all'impero asburgico nel 17° secolo, alla Francia tra 18° e 19° secolo, due volte alla Germania nel 20° secolo, poi all'Unione Sovietica nella seconda meta' dello stesso secolo.
A questo punto, molti americani protesteranno: "Ma noi siamo diversi!". Gli americani - compreso chi scrive - pensano a loro stessi come ad una nazione che non ha mai tentato di occuparne altre e che negli anni e' stata una forza progressista e liberatrice.
Ma gli storici ci dicono che tutte le potenze dominanti pensavano d'essere speciali. I trionfi erano per loro conferma d'essere "benedette", ma quando diventavano ancor piu' potenti, il mondo iniziava a guardarle in modo diverso.
"Quando il popolo eletto diventa troppo potente, la giusta causa alla lunga diventa sbagliata", ha scritto il poeta satirico inglese John Dryden.
La potenza dell'America ha fatto diventare sbagliata la sua giusta causa? L'America dovra' imparare a vivere in uno splendido isolamento dai risentimenti del resto del mondo? Questo e' sicuramente il modo in cui alcuni americani vedono le cose...Ma c'e' una fragilita' storica nel pensare che "Ci odiano perche' siamo forti". Dopo tutto, la supremazia Usa non e' un fenomeno recente. L'America e' la potenza dominante ormai da quasi un secolo...
Eppure, per cinque decenni dopo la seconda guerra mondiale, non c'e' stata una rincorsa generale a far gruppo contro l'America. Al contrario, Paesi si sono alleati all'America contro un Paese molto piu' povero, l'Unione Sovietica (al suo massimo tocco' il 12% del prodotto interno lordo mondiale, un quarto di quello Usa).
Come spiegarlo? Come ha fatto sinora l'America a realizzare la tendenza piu' consistente nella storia internazionale?
Per rispondere a questa domanda, occorre andare indietro nel tempo, al 1945. Quando l'America aveva il mondo ai suoi piedi, Franklin Delano Roosvelt ed Harry Truman decisero di non creare un impero americano ma di costruire un mondo di alleanze e di istituzioni multilaterali. Formarono le Nazioni Unite, il sistema di cooperazione economica Bretton Woods e dozzine di altre organizzazioni internazionali.
L'America aiuto' il resto del mondo a rimettersi in piedi pompando grosse quantita' di aiuti e investimenti privati. Il fulcro di questo sforzo, il Piano Marshall, ammonto' a 120 miliardi di dollari attuali.
Non inferiore a questi aiuti fu la speciale attenzione destinata alla diplomazia. Considerate cosa abbia significato per Fraknlin Delano Roosvelt, allora all'apice del suo potere, andare a meta' strada, nel mondo, a Teheran e Yalta nel 1943 e 1945 per incontrare Churchill e Stalin. Roosvelt era un uomo malato, paralizzato dalla vita in giu', con le gambe imbragate da stecche d'acciaio. Viaggiare per 40 ore per il mare ed in aereo gli succhio' fuori la vita.
Non era obbligato ad andarci. Aveva diversi vice, Marshall, Eisenhower, che avrebbero potuto compiere la missione. E sicuramente avrebbe potuto convocare i suoi interlocuotori in una localita' piu' vicina. Ma Roosvelt capi' che la potenza americana andava abbinata ad una generosita' di spirito. Insistette sul fatto che a comandanti britannici come Montgomery fosse data la loro parte di gloria in guerra. Porto' la Cina nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu, anche se quella era una povera societa' contadina, perche' credeva importante che fosse propriamente rappresentato in un'istituzione mondiale il piu' grande Paese asiatico.
Il modello inaugurato da Roosvelt e dalla sua generazione e' stato duraturo.
Quando George Marshall ideo' il Piano Marshall, insistette sul fatto che l'America non avrebbe dovuto imporre il modo in cui spendere quel danaro, ma che invece le iniziative ed il controllo dovessero spettare agli europei. Da allora per decenni gli americani hanno fornito aiuti, conoscenze tecnologiche, e assistenza in tutto il mondo. Hanno costruito dighe, fondato riviste e mandato studenti all'estero in modo che la gente conoscesse l'America e gli americani...
Ovviamente, tutti questi sforzi servivano anche i nostri interessi. Hanno prodotto un mondo filoamericano che era ricco e sicuro. Hanno gettato le fondamenta per un'economia globale in forte crescita, in cui l'America prospera. Ma era un interesse illuminato che teneva in considerazione gli interessi degli altri. Soprattutto, rassicurava i Paesi, attraverso parole e azioni, stile e contenuti, che la potenza del gigante America non aveva bisogno di far paura.

3 DOVE HA SBAGLIATO BUSH

George W. Bush e' arrivato al potere con poche chiare idee sulla politica estera. Non sembrava molto interessato al mondo.
Durante gli anni in cui il padre e', stato ambasciatore presso le Nazioni Unite, direttore della Cia e vicepresidente, Bush ha viaggiato all'estero solo due o tre volte.
Il punto di vista di Bush candidato mirava piu' che altro a ritagliarsi posizioni che lo differenziassero dal suo predecessore. Molti conservatori pensavano che Clinton si fosse impegnato eccessivamente in faccende mondiali, in particolare nella costituzione di nazioni, che fosse stato un gradasso in campo diplomatico. Cosi' Bush penso' che l'America dovesse essere una "nazione umile", dovesse ridimensionare il suoi impegni all'estero e non essere coinvolta nella ricostruzione di altri Paesi.
Tuttavia altri conservatori, alcuni dei quali sono diventati potenti in questa amministrazione, avevano progetti di piu' vasta portata. Dall'inizio degli anni Novanta, hanno sostenuto che il panorama planetario era segnato da due realta'.
Una era la potenza americana. Il mondo del dopo guerra fredda era straordinariamente unipolare.
L'altra era la diffusione di nuovi trattati e norme internazionali.
La fine della guerra fredda aveva dato una spinta agli sforzi per creare un consenso globale su temi cruciali quali crimini di guerra, mine e armamenti biologici.
Entrambe le osservazioni erano appropriate. Da esse tuttavia, questi funzionari di Bush hanno tratto la strana conclusione che l'America avesse poca liberta' di movimento in questo nuovo mondo. "L'immagine delineata nei primi mesi era quella di un gigante che si dibatte per liberarsi da costrizioni che solo lui vede", ha rilevato lo scrittore neoconservatore Robert Kagan.
Per la maggior parte del mondo era mistificatorio sentire la maggior potenza nella storia del mondo parlare come se fosse una nazione assediata, intrappolata da tutti i lati.
Nel primo anno, il governo ha rigettato cinque trattati internazionali, e l'ha fatto nel modo piu' brusco che poteva. Si e' ritirato in pratica da ognuno degli sforzi diplomatici in cui si era impegnata l'amministrazione Clinton, dalla Corea del Nord al Medio Oriente, spesso smentendo le dichiarazioni pubbliche con cui Colin Powell li aveva invece sostenuti. Ha sviluppato un linguaggio ed uno stile diplomatico che sembrano studiati apposta per offendere il mondo. (Il presidente Bush ha piazzato alla Casa Bianca un ritratto di Theodore Roosvelt. Val al pena di ricordare che il suo consiglio piu' celebre era: "Parla gentilmente e porta un grosso bastone").
Le figure chiave dell'amministrazione viaggiano di rado, gli ospiti stranieri sono ridotti a visite formali, e non ci sono notizie di cene di Stato.
Su base annuale, George W. Bush ha visitato meno Paesi di qualsiasi altro presidente negli ultimi 40 anni. E tuttavia, ha fatto meglio di Dick Cheney, che da quando e' vicepresidente e' stato all'estero una volta sola.
L'11 settembre ha soltanto aggiunto uno strato di risolutezza alla politica estera di Bush. Comprensibilmente sotto shock e alla ricerca di responsabili, il governo ha deciso che aveva bisogno di una liberta' d'azione totale. Quando la Nato, per la prima volta nella storia, ha invocato il diritto all'autodifesa offrendo un appoggio incondizionato all'America, il governo in sostanza l'ha ignorata. Allo stesso modo, ha emarginato la Nato nella guerra in Afghanistan. La Nato ha i suoi limiti, rivelati durante la campagna in Kosovo, ma il segnale inviato ai nostri piu' stretti alleati e' stato che l'America non aveva bisogno di loro. Cosi' come visto dal resto del mondo, l'11 settembre ha avuto un effetto angosciante e paradossale. Ha provocato una mobilitazione della potenza americana ed un consolidamento degli interessi americani. All'improvviso, Washington e' diventata piu' forte e piu' decisa ad agire. Ma avrebbe agito solo per la propria sicurezza ed anche in modo preventivo se necessario...
Dopo tutto, il presidente Bush ha lavorato con l'Onu sull'Iraq, aumentando gli aiuti all'estero del 50%, annunciando un piano da 15 miliardi di dollari sull'Aids e formalmente ha sostenuto uno stato palestinese. Ma nella sostanza nessuna di queste azioni sembra avergli accreditato alcun buon proposito.
La ragione e' chiara. In ognuno di questi casi, il governo e' giunto al multilateralismo brontolando, riluttante e con una chiara mancanza di sincerita'. Per un anno, il presidente Bush ha rifiutato l'idea che avrebbe dovuto fare ogni sforzo per un progresso nel piano di pace per il Medio Oriente, anche se questo avrebbe disinnescato parte dell'antiamericanismo diffuso nella regione mentre si preparava a fronteggiare l'Iraq. All'improvviso, la settimana scorsa, per conquistare alleati contro l'Iraq e su pressione di Blair, Bush ha compiuto un gesto tardivo nei confronti del processo di pace. C'e' da sorprendersi se la gente non ha creduto a questa conversione dell'ultimo minuto?
In nessun altro caso, come in quello dell'Iraq, quest'aspetto di ipocrisia diplomatica e' stato piu' stridente. Il presidente aveva ottenuto forti consensi per il suo ottimo discorso all'Onu lo scorso settembre, sollecitando il Consiglio di Sicurezza a rinforzare seriamente le sue risoluzioni sull'Iraq e tentare le ispezioni un'ultima volta.
Sfortunatamente, quell'appello era stato preceduto da discorsi di Cheney e commenti di Rumsfeld che definivano le ispezioni una messinscena, dichiarazioni che al momento contraddicevano la politica americana, rendendo evidente che il governo aveva deciso di fare la guerra. In discussione era solo se avere o meno il timbro Onu su questa politica.
A peggiorare le cose, settimane dopo la nuova risoluzione Onu invocata dagli Usa che ha imposto nuove ispezioni, il governo ha iniziato il dispiegamento di truppe in larga scala ai confini dell'Iraq. Con diplomazia, ha promesso uno sforzo di buona volonta' per vedere come andavano le ispezioni, ma militarmente si stava preparando alla guerra con truppe che non avrebbero potuto restare in attesa nel deserto per sempre.
C'e' da stupirsi se altri Paesi, anche quelli che avrebbero sostenuto una guerra all'Iraq, hanno avuto la sensazione che la diplomazia fosse soltanto una sciarada, attuata solo per guadagnar tempo per i preparativi militari?
Il verbo preferito del presidente Bush e' "expect" (aspettarsi). Annuncia perentoriamente che "si aspetta" che i palestinesi mettan da parte Arafat, "si aspetta" che gli altri Paesi siano con lui o contro di lui, "si aspetta" che la Turchia cooperi. Fa tutto parte dell'approccio di base del governo in politica estera, descritto al meglio dalla frase usata dal piano di guerra: "Shock and awe" (colpire e impaurire). Il concetto e' che gli Usa devono intimorire i Paesi con la loro forza e la loro risolutezza, sempre minacciando, sempre accusando, senza mai mostrare debolezza.
Donald Rumsfeld cita spesso le parole di Al Capone: "Otterrai di piu' con una parola gentile ed una pistola che solo con una parola gentile".
Ma la filosofia che guida la principale democrazia del mondo puo' davvero essere ispirata alla battuta di un boss della malavita?
In termini d'efficacia, questa strategia e' stata disastrosa. Ci ha alienato amici ed ha fatto un piacere ai nemici.
Dopo aver viaggiato per il mondo ed aver incontrato funzionari governativi in una dozzina di Paesi, posso dire che con l'eccezione di Gran Bretagna e Israele, in ogni Paese i governi ne hanno tratto una sensazione di umiliazione...
In diplomazia, lo stile e' spesso sostanza. Consideriamo questo fatto: l'amministrazione Clinton ha usato la forza in tre importanti occasioni - Bosnia, Haiti e Kosovo. In nessuna di queste occasioni il tema e' stato affrontato dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu e non ci sono dubbi che sarebbe stato necessario. Tuttavia, Kofi Annan successivamente ha fatto dichiarazioni che sembrano aver legittimato l'azione in Kosovo, sostenendo che la sovranita' dello stato non puo' essere un pretesto per commettere abusi nel campo dei diritti umani.
Quando l'amministrazione Clinton, e quella di Bush senior si sono comportate in modo energico, in diverse occasioni, la gente non ha cercato rassicurazioni sulle loro intenzioni.
L'amministrazione Bush non ha tutte le responsabilita' per questa drammatica svolta nel modo di comportarsi. A causa dell'11 settembre ha dovuto agire forzatamente e imporre la potenza americana. Ma c'erano tutte le ragioni per adottare un atteggiamento di consultazione e cooperazione mentre si faceva quel che c'era da fare. Il punto e' impaurire i nemici, non terrorizzare il resto del mondo.

4: IL MODO DI CONTRADDIRE LA STORIA
Nel 1992, Paul Wolfowitz, poi figura di punta dell'amministrazione del primo Bush, firmo' un documento del Pentagono in cui sosteneva che in un'epoca di crescente dominio americano, la politica estera Usa avrebbe dovuto mirare a mantenere questo vantaggio e scoraggiare la crescita di altre potenze. La premessa dietro a questa strategia e' del tutto sensata. Gli Stati Uniti dovrebbero tentare di allungare l'epoca della propria supremazia il piu' a lungo possibile. Qualsiasi altro Paese farebbe lo stesso (anche se uno piu' attento non sarebbe cosi' stupido da dichiararlo). Per questa ragione, Bush senior ordino' al Pentagono di tener segreto questo documento perche' non sembrasse arrogante.
Come principio, la potenza americana non e' un bene solo per l'America; e' un bene per il mondo. La maggior parte dei problemi che il pianeta affronta oggi - dal terrorismo all'Aids alla proliferazione nucleare - verranno risolti non con un minore bensi' con un maggiore coinvolgimento degli Usa.
La lezione degli anni ‘90 - di Bosnia, Kosovo, Timor Est, Ruanda - e' sicuramente che l'azione americana, con tutti i suoi difetti, e' meglio della non azione. Altri Paesi non sono semplicemente pronti o capaci, a questo punto, di sopportare la sfida e il peso della leadership. La gente nel mondo l'ha capito. In un'indagine globale svolta l'anno scorso, l'aspetto piu' sorprendente emerso, e non riportato, e' stato che la larga maggioranza della gente, nella maggior parte dei Paesi pensava che il mondo sarebbe un posto molto piu' pericoloso se vi fosse una potenza rivale degli Usa. Il 64% dei francesi, il 70% dei messicani, il 63% dei giordani la pensavano in questo modo. (Ironia del caso, la vecchia Europa si e' rivelata piu' filoamericana della nuova Europa, con appena un 27% dei bulgari d'accordo su questo punto).
Il vero problema e' come l'America dovrebbe esercitare il suo potere.
Per l'ultimo mezzo secolo, l'ha fatto attraverso alleanze ed istituzioni globali in un modo basato sul consenso. Ora affronta nuove sfide - e non semplicemente perche' l'ha fatto l'amministrazione Bush. Il vecchio ordine sta cambiando. Le alleanze forgiate durante la Guerra fredda si stanno indebolendo. Le istituzioni realizzate nel 1945 - come Onu e Consiglio di Sicurezza - rischiano di diventare anacronistiche. Ma se l'amministrazione desidera indebolire ulteriormente e quindi distruggere tali istituzioni - opponendosi o rinnegandole - deve chiedersi: cosa prendera' il loro posto? In quale modo l'America manterra' la sua egemonia?
Per qualcuno nel governo la risposta e' ovvia: l'America si comportera' come credera' meglio, usando gli alleati che trovera' a seconda della situazione. Come dato di fatto, questo e' a volte l'unico approccio che Washington sara' in grado di adottare. Ma non e' una strategia a lungo termine. Richiederebbe all'America di costruire nuove alleanze e accordi ogni volta che fronteggia una crisi. Cosa piu' importante, agendo con decisione e senza limiti, al servizio di una strategia per mantenere la sua supremazia, produrra' paradossalmente il tipo di forte competizione che spera di evitare. Gli ultimi due anni sono stati sicuramente istruttivi. L'amministrazione Bush ha provocato un'opposizione internazionale ed iniziative concrete per ostacolare i suoi propositi. Anche se Paesi come Francia e Russia non possono diventare potenze concorrenti solo perche' lo desiderano - hanno bisogno di una forza economica e militare - possono usare la loro influenza per far fallire la politica americana, come hanno fatto sull'Iraq. Infatti, meno responsabilita' diamo loro, piu' liberta' avranno le potenze piu' piccole per rendere difficili da raggiungere gli obbiettivi americani.
In molti casi, gli Usa semplicemente non possono "andar avanti da soli". L'attuale crisi con la Corea del Nord, il programma nucleare dell'Iran e la fuga di materiale radioattivo dalla Russia sono tutti buoni esempi. E mentre gli Usa possono tranquillamente agire per conto proprio in alcune particolari circostanze, come l'Iraq, meno alleati, basi e diritti di sorvolo ha, piu' alti sono i prezzi in termini di vite americane e costi. Prezzi che diventano insopportabili, se gli Usa debbono sobbarcarsi da soli gli oneri sia della guerra che della ricostruzione.
La guerra al terrore ha fatto si' che gli Usa abbiano un interesse concreto nella stabilita' delle societa'. Stati che falliscono possono diventare paradisi per il terrorismo. Cio' significa che dobbiamo concentrare l'attenzione e le risorse sulla costruzione di nazioni. Con tutti i suoi difetti, l'Onu sta facendo sul campo il lavoro per creare societa' stabili in Afghanistan, Kosovo, Cambogia e Mozambico - e in gran parte ci sta riuscendo. Unione Europea e Giappone pagano la maggior parte di queste spese. Se Washington decidesse di agire del tutto con un approccio a seconda del caso, perche' il resto del mondo dovrebbe poi accettare di far alla fine le pulizie?
Anche combattere il terrorismo richiede una costante cooperazione con Paesi attorno al mondo. L'America non avrebbe catturato lo stratega di al Qaeda Khalid Shaikh Mohammed senza l'attiva alleanza col Pakistan. E se chiedete ai pakistani cos'hanno avuto in cambio, loro ribatteranno che le tariffe americane continuano a strangolare la loro industria tessile e che gli aiuti americani rimangono una miseria. Alla richiesta di un contributo per la deislamizzazione del loro sistema educativo - un tema di cruciale preoccupazione per l'America - hanno ricevuto poco. Frattanto, I toni eccessivi dell'amministrazione Bush in politica estera hanno messo in imbarazzo il generale Musharraf nella sua posizione filoamericana.
L'ultimo punto e' forse il piu' importante. Essere filoamericani non dovrebbe essere per i nostri alleati un debito politico. Il fiasco diplomatico con la Turchia e' un buon esempio. Per ben oltre un anno, era evidente per tutti che i turchi fossero profondamente contrari alla guerra in Iraq. Tuttavia, il governo presumeva che bastasse fare i prepotenti o sganciare bustarelle alla Turchia per ottenere il diritto a usare le loro basi. Ma nell'ultimo anno la Turchia e' diventata piu' democratica. I politici sono meno condizionati dai militari. Il nuovo partito al potere l'AK, e' piu' aperto al dibattito interno rispetto agli altri partiti turchi. Ha consentito ai suoi rappresentanti di votare liberamente sulla mozione che apriva le basi agli americani, e che e' stata battuta. Visto che oltre il 90% dei turchi era contrario a concedere le basi agli americani, non avrebbe dovuto essere una sorpresa. Il governo vuole la democrazia in Medio Oriente. Bene, l'ha ottenuta.
Come sempre, lo stile diplomatico ha un suo ruolo.
"Il modo in cui gli Usa hanno condotto il negoziato e' stato in generale umiliante", ha detto un alto diplomatico a riposo, Ozdem Sanberk.
Il costo di questa disgrazia e' concreto. Se la Turchia avesse concesso all'America di aprire un nuovo fronte, avremmo concluso la guerra piu' rapidamente e con meno vittime e la questione curdo-turca sarebbe stata affrontata con meno complicazioni.
Ma la lezione piu' generale e' sicuramente che in un mondo in cui cresce la democrazia, la potenza americana deve esser considerata come legittima non solo dagli altri governi ma dagli altri popoli.
L'America vuole davvero un mondo in cui va per la sua strada fronteggiando un costante risentimento pubblico, solo torcendo braccia, offrendo tangenti ed alleandosi con dittatori?
Ci sono molti modi specifici in cui gli Stati Uniti possono ricostruire le loro relazioni con il mondo. Possono sintonizzare la loro crescita militare con sforzi diplomatici che dimostrino il loro interesse e coinvolgimento nei problemi nel mondo. Possono smettere di dare eccessivi sussidi ad acciaierie, aziende agricole e tessili americane ed aprire i propri confini alle merci dai Paesi piu' poveri.
Ma soprattutto, devono fare in modo che il mondo si senta a proprio agio col loro potere, guidandolo attraverso il consenso.
Il ruolo speciale dell'America nel mondo - la sua abilita' di contraddire la storia - e' basata non solo sulla sua forza, ma su un convincimento globalizzato: che il suo potere sia legittimo. Se l'America lo dissipasse, la perdita sara' superiore a qualsiasi beneficio in termini di sicurezza interna. E questo prossimo secolo americano potrebbe dimostrarsi solitario, brutale e breve.

Fonte: Newsweek 18/3/2003
http://bulletin.ninemsn.com.au/bulletin/EdDesk.nsf/All/B298B433C42175FCCA256CEB0082A529

traduzione e riduzione di Roberto Bonzio

Note: Fareed Zakaria (www.fareedzakaria.com), 39 anni, nato in India e formatosi a Yale ed Harvard, e' stato definito dalla rivista "Esquire" "il piu' influente commentatore di politica estera della sua generazione" e "una delle 21 persone piu' importanti del 21° secolo".
Ha appena pubblicato "The Future of Freedom-Illiberal democracy at Home and Abroad" (Il Futuro della Liberta'. Democrazia illiberale in patria e all'estero).
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