Guardie private per la Cnn, l'informazione è militarizzata

La polizia dei giornalisti

15 aprile 2003
Amedeo Ricucci
Fonte: Il Manifesto

Solo poche righe sono state dedicate ieri, dalla stampa italiana, alla notizia che a Tikrit una troupe della CNN ha risposto al fuoco di un gruppo di fedayn che ne ostacolava, armi in pugno, l'ingresso in citta'. E' passata infatti sotto silenzio la scelta fatta dal network di Atlanta di ricorrere ad una societa' privata per garantire la sicurezza in Iraq dei propri giornalisti non "embedded". La societa' in questione si chiama Ake Group ed e' un'agenzia inglese di body-guard molto speciali, specializzati nella sopravvivenza "in ambienti ostili" e reclutati soprattutto fra ex- marines, Delta Forces e Sas. Sono stati i mercenari della Ake, armati di tutto punto, a garantire alla CNN il passaggio clandestino della frontiera fra la Turchia e l'Iraq. E sono stati sempre loro ad organizzare il convoglio della CNN e di altri grandi network americani che ha attraversato qualche giorno fa la frontiera giordana, in direzione di Bagdad. Ufficialmente, solo a Tikrit la scorta della Ake Group avrebbe aperto il fuoco, per "leggitima difesa". Non si sa se ci sono stati morti o feriti da parte irachena, mentre si sa che e' rimasto ferito l'autista curdo della vettura su cui viaggiava l'inviato della CNN, Brent Sadler.
Reporter Sans Frontieres ha gia' duramente stigmatizzato questo comportamento, che inaugura di fatto un nuovo modo di fare giornalismo, contrario a tutte le regole della professione. "E' un precedente molto pericoloso - ha dichiarato il segretario di Rsf, Robert Menard - che rischia di mettere in pericolo tutti gli altri giornalisti che stanno coprendo la guerra". "Una cosa e' indossare giubbotti anti-proiettili e muoversi in auto blindate - ha aggiunto - altro e' ricorrere a societa' private che non esitano a sparare. In questo modo si finisce per non distinguere piu' i giornalisti dai combattenti".

A pensarci bene, in realta', la scelta della CNN e' del tutto omogenea alla logica del Pentagono, che ha fatto di tutto per "militarizzare" l'informazione su questa seconda guerra in Iraq. Incastonando i giornalisti nella propria macchina militare, il Pentagono ha dato infatti all'opinione pubblica internazionale l'illusione di una guerra "in diretta", che pero' veniva vista tutta dalla parte della coalizione anglo-americana. Telecamere e macchine fotografiche sono state sempre accuratamente posizionate sui tank oppure dietro i soldati a stelle e striscie, mai dietro gli iracheni, generando in noi spettatori un'efficacissima quanto ineludibile sensazione di partecipazione alla "liberazione" del Paese. E non a caso, quando la prospettiva si e' invertita - come per i giornalisti indipendenti, non "embedded", rimasti a Bagdad sotto i bombardamenti - la cronaca di questa guerra si e' fatta piu' realistica, a volte drammatica (e piu' fastidiosa per i governi occidentali belligeranti). Con tutti i rischi del caso, vedi le cannonate finite "per errore" sui giornalisti che stavano all'Hotel Palestine.

A guerra finita, ci sara' molto da riflettere sulla copertura che hanno offerto i media e, soprattutto, su come rischia di cambiare il loro ruolo. Ma e' significativo che il Pentagono si dichiari gia' "molto soddisfatto" della sua nuova politica di "apertura", dopo che per anni i media erano stati tenuti il piu' possibile lontani dal campo di battaglia. Come ha spiegato alla AFP il numero due dell'Ufficio Stampa del Pentagono, Bryan Whitman, "grazie ai quasi 600 giornalisti che sono stati incorporati nella macchina bellica siamo riusciti a far vedere come sono ben equipaggiate, addestrate, dirette e motivate le forze armate americane". "Questi giornalisti - ha poi aggiunto - hanno lavorato in nome della verita', contro le menzogne di Saddam Hussein". Sara', ma l'impressione e' che in questo modo molti giornalisti siano diventati dei soldati, e non solo perche' vittime della censura (o dell'auto-censura). La "militarizzazione" della CNN, con le sue guardie del colpo che sparano a destra e a manca, e' da questo punto di vista solo la punta dell'iceberg, in un meccanismo complesso che rischia di stravolgere le regole dell'informazione, minacciandone l'indipendenza e l'autonomia. A farne le spese, come sempre, e' l'opinione pubblica, cui la guerra viene servita sempre di piu' come uno spettacolo pre-confezionato, destinato soprattutto a non turbare le coscienze.

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