Spagna: La disfatta delle TV - Urdaci, il grande manipolatore delle bugie televisive

La disinformazione sistematica del sistema televisivo spagnolo al servizio del governo di Aznar ha avuto il suo culmine nei giorni precedenti le elezioni , ma e' stato un boomerang che forse avra' un effetto educativo su tutto il sistema dell'informazione
17 marzo 2004
Vittorio Dell'Uva

Aveva solennemente promesso di ispirarsi «al modello televisivo anglosassone per restare lontano anni luce dal potere politico». Ma al «giuramento», Alfredo Urdaci, laureato in giornalismo all’università di Navarra, non sembra sia rimasto troppo fedele sin dal momento del suo insediamento sulla poltrona di direttore di Telediario, il più importante telegiornale della televisione di Stato spagnola
Per lui l'informazione «scomoda» andava non soltanto filtrata, ma servita in «salsa dolce» a favore del governo di Josè Aznar e dei popolari. Al suo cospetto i giornalisti televisivi più che disponibili a fare da stampelle al potere, che pure in tutto il mondo occidentale non mancano, potrebbero essere definiti anarco-rivoluzionari.
Alfredo Urdaci, la cui carriera ha i giorni contati, è oggi considerato come una delle pedine del grande complotto della menzogna che è seguito al massacro di Madrid. È dal suo ufficio che sarebbe partito l'ordine per il corrispondente da Londra di evitare di soffermarsi sul messaggio di rivendicazione di Al Qaida arrivato al giornale in lingua araba «Al Quds». Suoi sono i tagli al servizio trasmesso da Washington in cui si faceva riferimento ai sospetti sulla organizzazione di Osama. Il governo voleva che il dito accusatore fosse puntato sull'Eta nella speranza che a fronte di un pericolo interno il conservatorismo del centro-destra apparisse come la sponda più sicura per gli elettori.
È facile immaginarlo mentre rispondeva «obbedisco» ai ministri che gli suggerivano la linea. Bastava ignorare, fin quando era possibile, le notizie sul ritrovamento di un furgone a bordo del quale c'erano i timer e una cassetta con i versetti del Corano. Delle smentite che arrivavano dall'Eta poco bisognava tenere conto. Dopo tutto bastava nascondere la verità per 72 ore in attesa che si aprissero i seggi.
Farlo non gli doveva costare troppa fatica. Si dice di Urdaci che quando era chiamato ad intervistare Aznar si comportava come un vespa felicemente attirata da un piatto di dolci. In occasione di uno sciopero generale antigovernativo un suo commento, atto di fede verso la «causa», lo aveva già fatto condannare dalla Audienca national.
Senza riserve giustificava la guerra in Iraq. «Da Baghdad raccontavo che Saddam distruggeva gli Scud per scongiurare l'attacco, Urdaci faceva precedere il servizio da valutazioni del tipo: ecco un'altra prova del fatto che l'Iraq dispone di armi di distruzione di massa», ricorda Angela Rodisio per sette anni corrispondente della Tve dal Medio Oriente.
La squadra dei «manipulatores», chiamata alle armi subito dopo il massacro, era fedele e selezionata. Ma soprattutto, dominando le grandi centrali della informazione pubblica, poteva influenzare una platea molto vasta e non soltanto in Spagna. La Efe, l'agenzia statale di notizie, che pure gode buona fama per il suo rigore, è stata tanto piegata al volere del governo da far gridare allo scandalo.
Denuncia il sindacato dei giornalisti: «Persino quando la polizia aveva già arrestato cinque persone e le connessioni con il terrorismo islamico erano apparse evidenti, noi abbiamo trasmesso un dispaccio di cento righe che sulla base di informazioni di fonti ufficiali inesistenti attribuiva la responsabilità all'Eta ecludendo quella di Al Quaida».
Così aveva voluto nell'«interesse del partito popolare», il direttore Miguel Platon in contatto con il palazzo della Moncloa, spintosi anche ad «ordinare la censura preventiva su tutte le informazioni relative alle indagine».
Telemadrid, legata al potere regionale dei popolari, ha fatto se possibile ancora di più andando oltre le omissioni per trasmettere un messaggio subliminale subito fatto suo dalla Tve. Nella notte di venerdì in onda è stato messso il film «Morte a febbraio» ricostruzione fedele di uno dei tanti delitti dell'Eta.
Al servilismo funzionale dei fedelisismi, il governo ha cercato di affiancare l'apporto di altri media che contano senza rendersi conto che stava costruendo la propria debacle. Antonio Franco direttore di «El periodico» di Barcellona può denunciare di avere avuto pressioni da parte di Aznar che gli diceva: «Ricordati che responsabile è l'Eta». Il direttore del «Mundo» conserva la registrazioni di due telefonate dello stesso tenore arrivate dal primo ministro.
E su false piste raccontano di essere stati avviati molti dei corrispondenti stranieri. Visto il risultato elettorale, la disinformazione ha avuto un effetto boomerang incontrollabile. Educativo, si spera, almeno in Spagna.

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