Ma gli Iracheni vogliono che gli USA rimangano?

Un sondaggio commissionato dalla rete ABC del 15 marzo fa risultare che il 70 % degli iracheni pensa che l cose vanno bene e che l'esercito USA non deve andare via. Ma puo' essere attendibile un sondaggio fatto sotto occupazione militare dalle stesse forze occupanti?
5 aprile 2004
Sharon Smith - trad. Patrizia Messinese
Fonte: Socialist Worker Online

www.socialistworker.org

"Sette iracheni su dieci dicono che le cose vanno bene, nel complesso. Un
risultato che potrebbe sorprendere chi, vedendo le cose dal di fuori, pensa che
la vita in Iraq sia oggi peggio di prima" riferiva il notiziario dell'ABC il
15 marzo pubblicizzando i risultati di un sondaggio, in occasione
dell'anniversario dell'invasione USA.

I titoli di testa dei giornali hanno sbandierato il risultato del sondaggio
dichiarando che quasi metà degli iracheni crede che gli USA abbiano fatto bene
ad invadere l'Iraq, mentre solo il 15% vuole che le forze d'occupazione se ne
vadano subito. La stragrande maggioranza preferirebbe quindi che l'esercito
rimanesse a dare una mano durante la transizione verso un nuovo governo
iracheno. Questi articoli dovrebbero quindi fornire le prove necessarie a
sostenere le ragioni di quei pacifisti che si dimostrano riluttanti a chiedere
una fine immediata dell'occupazione USA, per paura che l'Iraq possa essere
travolto dal caos.

Milan Rai, dell'organizzazione pacifista inglese "Justice, not vengeance"
("Giustizia, non vendetta") ha così ribattuto ai risultati del sondaggio: "Se
il movimento contro la guerra dovesse ascoltare le richieste del popolo
iracheno (come riportate da alcuni sondaggi) dovremmo accantonare la richiesta
di far andar via l'esercito 'adesso'. Ma sondaggi come questo, sponsorizzati da
ABC, BBC ed altri mezzi di informazione della sempre più sparuta 'coalizione
dei volenterosi', vorrebbero solo restituire legittimità a questa occupazione
disastrosa.

Essendo questo il loro scopo, le loro stime su quello che pensa il popolo
iracheno della propria autodeterminazione sono tutt'altro che accurate. Non
vedo come si possa pensare che degli iracheni che vivono sotto l'occupazione
militare USA, possano esprimere liberamente le loro opinioni ad emissari delle
forze occupanti. Come ha detto Brendan O'Neill del britannico The Guardian,
forse gli intervistati iracheni hanno pensato di "dover esprimere apprezzamento
nei confronti dei poteri in carica".

Questa impressione è senz'altro rafforzata dal fatto che 8.000 iracheni sono
attualmente prigionieri delle forze di occupazione USA, che hanno la facoltà
di arrestare e imprigionare chiunque venga sospettato di "attività
anti-coalizione" senza alcun processo o accuse formali. La maggior parte dei
detenuti si trova ad Abu Ghraib, il complesso carcerario conosciuto come "la
fossa", dove venivano torturati e uccisi i prigionieri sotto Saddam Hussein.

Le condizioni della prigione non sono cambiate di molto durante l'occupazione
militare USA: sei soldati sono stati recentemente accusati di maltrattamenti e
aggressioni nei confronti dei detenuti iracheni. Inoltre l'affermazione degli
sponsor dei sondaggi, secondo la quale questi sarebbero effettuati su un
"campione rappresentativo, preso a caso" è semplicemente falsa. Solo il 33 per
cento degli intervistati si è identificato come musulmano sciita, mentre gli
Sciiti rappresentano circa il 60 per cento della popolazione irachena.

Un resoconto dei risultati, che non è mai riuscito ad essere pubblicato, mostra
una marcata differenza tra i curdi da una parte, ed i musulmani arabi
dall'altra. I curdi che sostengono la presenza delle truppe sono l'82 per cento
e il 30 per cento dei musulmani arabi (sia sunniti che sciiti). Solo il 33
per cento degli Arabi (ed il 21 % di arabi sunniti) vede l'invasione degli USA
come un atto di "liberazione".

Considerato che gli Arabi costituiscono circa l'80% della popolazione irachena,
l' opposizione all'occupazione USA appare essere quindi molto diffusa, molto
più che un semplice gruppo di rabbiosi "nostalgici" del regime di Saddam
Hussein. Inoltre, secondo lo stesso resoconto, il 21 per cento degli arabi (3,3
milioni di iracheni), considera le aggressioni armate alle forze della
coalizione un atto di legittima resistenza all'occupazione.

Quando è stato loro chiesto di fare un nome di un leader iracheno di cui non si
fidano, la maggior parte (il 10,3 per cento) ha fatto il nome di Ahmed Chalabi,
il leader del Governo di transizione scelto dagli USA, poi quello di Saddam
Hussein (3,3 per cento). Solo il 6 per cento degli intervistati ha detto che
l'ONU dovrebbe essere coinvolta nelle elezioni. Senza dubbio i dodici anni
dell'embargo imposto dall'ONU, che ha causato la morte di più di un milione di
iracheni, ha compromesso l'idea di ONU come forza di giustizia.

Chi è sinceramente interessato a conoscere cosa pensino gli iracheni
dell'occupazione, basta che dia un'occhiata alle scritte sui cartelli di
migliaia di sunniti e sciiti che sono scesi a manifestare contro la guerra il
20 marzo, insieme ai dimostranti di tutto il mondo e che chiedevano la fine
dell'occupazione USA il giorno dell'anniversario dell'invasione. "I diritti
umani sono stati cancellati" c'era scritto su un cartello, mentre su altri si
leggevano invocazioni contro le sparatorie indiscriminate e si denunciava "il
terrorismo americano".

Il popolo iracheno ha già parlato: fine dell'occupazione USA. Subito.

Note: Tradotto da Patrizia Messinese a cura di Peacelink

Sharon Smith scrive per il Socialist Worker.

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