E' un caso di censura C'è la guerra ma i telegiornali invece ci raccontano che le nostre truppe sono partite per una missione di pace
Nominiamo quella parola che i nostri telegiornali evitano: guerra.
L’abbiamo fatto e che cosa è accaduto, niente. Le agenzie non cambiano, continuano con i loro bollettini di morte, continuano a informarci che la guerra ha un nome solo: guerra.
Questo accade mentre i telegiornali invece ci raccontano che le nostre truppe sono partite per una missione di pace o per una missione internazionale a seconda delle sensibilità, tutti ancora, nonostante l’evidenza, a rimorchio del governo: la guerra in Iraq è finita, andiamo lì per ricostruire. Si è continuato così anche dopo la morte di
2 soldati, 17 carabinieri e due civili, quest’ultimi poi completamente dimenticati anche dalla statistica.
La cronaca racconta che i nostri compatrioti sono morti mentre svolgevano compiti di ricostruzione: portavano l’acqua in una zona nella quale, a tutt’oggi, non è mai arrivata; portavano l’elettricità in una zona dove la luce non si è mai accesa.
Non pensavo che per portare l’acqua e la luce ci fosse bisogno di soldati e carabinieri con in mano un fucile pensavo che ci volessero idraulici ed elettricisti con chiavi e cacciaviti.
Dopo i centosessanta morti e gli oltre trecento feriti di questi giorni non si ha ancora il coraggio di pronunciare la parola guerra, il ministro della difesa, Martino, ieri sera ha duramente ammonito chi si permette di usare la parola innominabile, per definire quello che sta accadendo, di “Irresponsabilità e demagogia” e ha aggiunto per spiegare che non partecipiamo alla guerra: “Non siamo lì per annettere, per conquistare, per sopraffare, ma siamo lì per aiutare tranquillamente e sicuramente un popolo verso un futuro libero”.
Ma il ministro ha mai visto quelle immagini con piazze piene di migliaia di iracheni che urlano ed inneggiano allo sceicco Moqtada al Sadr che guida la rivolta sciita e che ha seguaci in tutte le città dell’Iraq e che è considerato un simbolo dell’indipendenza, figlio dell’ayatollah Muhammad Sadiq ucciso nel 1999 da Saddam?
Quanta solitudine devono vivere i nostri soldati che stanno mettendo in gioco la loro vita a seguito di un ordine irresponsabile e di una politica che li sta usando.
La guerra non è mai finita, così i nostri telegiornali dovrebbero aprire in questi giorni, come hanno fatto invece quelli americani. I nostri inviati hanno usato a commento frasi come queste: “Gli scontri si fanno più accesi…” oppure “Gli scontri si infittiscono…”. Un giornalista di un tg di Mediaset, un po’ spregiudicato, ha usato la parola impronunciabile: “guerra”, ma subito vi ha aggiunto “civile”, come se fosse un problema tra sciiti e sunniti, allora, chi spara ai soldati americani, inglesi … e italiani? Li vogliamo chiamare ancora terroristi?
Stiamo assistendo ad un caso di vera censura.
L’unico telegiornale che si distingue è il Tg Tre di Antonio Di Bella con l’inviata Giovanna Botteri, ma questi non contano sono sovversivi.
Il premier martedì in onda, praticamente in edizione straordinaria, a Porta a Porta prima del Tg Uno di mezza sera, ha per fortuna tranquillizzato, dando la sua solidarietà e quella del governo, ai 3068 soldati italiani, che non è mai voluto andare a trovare e che guadagnano, come lui ha detto, un sacco di soldi.
Chissà a cosa pensavano quelli coinvolti nel conflitto sui ponti di Nassiriya: 12 bersaglieri feriti e 15 iracheni uccisi?
Berlusconi e Martino possono nascondere una parola ma la guerra rimane sempre guerra. Si possono fare false promesse ma i conti nel nostro paese vanno male, la ripresa è sempre più lontana e gli investimenti diminuiscono.
Usciamo di casa e vediamo un’Italia tappezzata di facce di Berlusconi che dà i numeri: “abbiamo diminuito questo, abbiamo aggiunto quello”. Gli italiani, tutti i giorni, però fanno i conti con la borsa della spesa e conoscono bene la realtà.
Tra tanta tristezza e tanta angoscia c’è una buona notizia: i dati di ascolto del Cavaliere a Porta a Porta di Vespa, quello che è andato in onda dopo il Tg Uno, 17 % di share e un milione e settecentomila telespettatori, il minimo storico.
Chissà che il piazzista non abbia finalmente finito la merce.
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