Inchiesta, siamo pronti per l'arrivo del digitale terrestre? Ultima puntata
Se la tv interattiva è solo uno slogan senza certezze
Nei negozi specializzati in elettronica sono già in vendita i set top box. L'incentivo statale promette un risparmio di 150 euro. Ma, a parte qualche sondaggio a cui si può partecipare da casa o qualche quiz, perché dovremmo acquistarlo adesso?
25 aprile 2004
Donatella Della Ratta
Fonte: Il Manifesto
Roma. Un grande negozio di elettronica del quartiere Prati,
zona elegante della capitale, sede di uffici e di attività commerciali. Chiediamo
a uno degli indaffarati commessi delucidazioni sui set top box, le scatolette
di ricezione della tv digitale terrestre che si posizionano in cima al vecchio
televisore, trasformandolo nella porta d'ingresso al nuovo mondo digitale. «Ce
ne sono di due tipi - spiega il commesso - ma solo uno può usufruire dei finanziamenti
statali, in pratica di uno sconto di 150 euro sul prezzo». Quindi mostra il tipo
«finanziabile», in due modelli: il primo, di una marca molto nota, costa 300 euro;
l'altro, di una meno conosciuta, viene 10 euro di meno. A entrambi andrebbero
scalati i 150 euro degli incentivi statali, previa presentazione di un documento
d'identità, del proprio codice fiscale, e della ricevuta dell'avvenuto pagamento
del canone tv. Ma qual è la differenza con la tipologia «non finanziabile»? «In
questo momento non ne abbiamo di quel tipo. Comunque costano la metà, cioè 150
euro circa, ma lo stato finanzia soltanto i set top box interattivi. E il tipo
da 150 euro non permette l'interattività, quindi non è finanziabile. Praticamente
oggi un set top box interattivo, grazie al finanziamento statale, viene a costare
come un tipo economico e non interattivo», conclude il perfetto sillogismo del
commesso.
Ma cosa vuol dire interattività nel caso di un televisore, cioè di una scatola piazzata in salotto o in cucina, di fronte alla quale l'unico atteggiamento attivo possibile è schiacciare i tasti del telecomando? Il commesso risponde che si tratta della possibilità di interagire con alcuni programmi tv, votando, facendo scommesse, comprando cose. Quali, non sa dire, perché - sottolinea - non tutte le potenzialità del digitale terrestre sono state sfruttate, ma nel futuro, chissà. Per adesso, si possono vedere dei canali nuovi, come la Bbc World, Rai sport, etc. Tutto gratis, con la sola spesa iniziale del set top box? Sì, risponde convinto. Anche l'interattività? «Tutto gratis», conferma. Quanti ne vendete? «Tantissimi, è un gran successo».
Altro negozio di elettronica, stavolta in un quartiere popolare della capitale. Qui addirittura i set top box per la tv digitale terrestre sono esauriti. «Arrivano la prossima settimana», risponde la proprietaria, cinquantenne, perfetto stile romanesco. Quartiere periferico, ancora negozio di elettronica: in vetrina c'è esposto un cartello che annuncia la disponibilità dei set top box per il finanziamento statale sulla tv digitale terrestre. «Solo il tipo interattivo è finanziabile con l'incentivo statale», chiarisce il negoziante, indicando due modelli, attorno ai 300 euro o poco più, una marca molto nota e l'altra meno. «Se si vuole risparmiare, c'è la versione non interattiva», dice mostrando due tipologie, prezzo 150 euro o poco meno, «ma non conviene, con il finanziamento il modello interattivo costa uguale a questo». Alla domanda su cosa significhi interattività, il negoziante parla di come si possa colloquiare via telecomando con la banca per controllare la propria posizione, oppure pagare la posta, e elenca una serie di servizi che tecnicamente vanno sotto il nome di t-government. Tutto gratis, conferma, almeno dopo aver acquistato l'apparecchietto set top box. «Conviene comprarlo ora che c'è l'incentivo statale. Entro il 2006 bisogna avercelo tutti per forza, tanto vale risparmiare ora», conclude, irritato per le troppe domande. Dopo qualche giro nei negozi della capitale, il risultato sono negozianti che danno informazioni precise sui set top box finanziabili con il contributo statale, e chiariscono che quelli non finanziabili, di prezzo decisamente inferiore, non sono interattivi.
Come funziona l'interattività?
Il punto poco chiaro è come funziona l'interattività e, soprattutto, chi la paga. Il set top box è una spesa una tantum, e probabilmente i canali ricevuti con la televisione digitale terrestre, anche in futuro, resteranno gratuiti come sono ora. Ma l'interattività, l'invio di una richiesta a un centro servizi, a una banca, o di un voto a un programma tv - operazione che ha bisogno del cosiddetto «canale di ritorno», la linea telefonica oggi, forse l'adsl domani -, è un costo a carico di chi interagisce, cioè dell'utente. La cosa, purtroppo, non sempre viene chiarita. Proprio su questo punto, lo scorso marzo l'Adiconsum, associazione di difesa dei consumatori, ha denunciato la scarsa trasparenza dei punti vendita nell'informare che il sistema interattivo non è gratuito, poiché prevede costi di collegamento alla rete fissa o alla banda larga: costi che possono variare dal prezzo di una semplice telefonata, fino a comprendere tariffazioni premium. La tv digitale terrestre (Dtt) è gratuita e universale. Però, nel momento in cui, per promuoverla, si decantano i servizi interattivi, non è più gratuita ma, in qualche modo, finanziata direttamente dall'utente che di quei servizi usufruisce.
Basteranno i costi sostenuti dai consumatori per interagire con programmi tv o centri servizi a sostenere la nuova economia digitale, cioè un sistema ben più complesso dell'attuale televisione analogica, che oggi si finanzia tramite la pubblicità - per gli operatori privati - o nella combinazione di questa con il canone, come avviene nel caso Rai? Gli esperti sono di parere diverso. Sebastiano Trigila, ingegnere capo progetto per la transizione al digitale terrestre per la Fondazione Ugo Bordoni, che collabora con il Ministero delle comunicazioni per la sperimentazione dei servizi interattivi, è convinto che «se l'offerta di programmi aumenta e il pubblico si segmentizza, il mantenimento economico del sistema non può venire soltanto dalla pubblicità, ma ci vuole una forma diversa di introito. I servizi interattivi possono svolgere questo compito, chiaramente quelli in cui il consumatore vede un valore aggiunto, come pagare il bollo Aci via telecomando invece che sopportando una fila». «L'interattività - precisa - è un valore aggiunto importante della tv digitale terrestre: senza di essa si permette soltanto di vedere più canali gratuitamente e con migliore qualità, ma si rischia di porre le premesse per una non sostenibilità del sistema televisivo». La questione sull'interattività, d'altra parte, è spinosa. Dopo un test sui servizi interattivi disponibili sui multiplex Dtt, il risultato è piuttosto deludente: qualche sondaggio a cui si può partecipare da casa, qualche quiz che però non incide direttamente sull'andamento del programma tv e, persino su un grande evento live come il festival di Sanremo, giochi di scarso rilievo che, oltretutto, agiti via telecomando, risultano complicatissimi (come un puzzle da ricomporre con le facce dei tre presentatori, evidentemente disegnato in barba alle regole dell'usabilità). La mancanza di un'offerta reale di servizi interattivi sul Dtt secondo l'ingegner Trigila è attribuibile a diversi fattori: «finché non c'è una vera richiesta, una reale diffusione dei set top box, tutti gli investimenti sull'offerta rischiano di non avere un chiaro ritorno. E per questo che esiste una certa esitazione a partire subito con i servizi interattivi; d'altra parte, è anche vero che quelli esistenti svolgono l'importante funzione di familiarizzare l'utente con un nuovo modo di fruire la televisione».
Trigila aggiunge un elemento di riflessione interessante: «in presenza di interattività remota ci deve essere una struttura, un centro servizi capace di intercettare e gestire le chiamate effettuate attraverso il canale di ritorno. Una struttura del genere richiede investimenti notevoli, perché deve essere in grado di processare anche milioni di chiamate in contemporanea. L'interattività, oltre che servizio gestibile via set top box, è anche tutto il supporto di rete necessario a smistare i segnali del canale di ritorno, ciò che appunto fa sì che il servizio sia realmente interattivo». È il cane che si morde la coda: i servizi interattivi di reale valore aggiunto non partono finché non si diffondono i set top box, quindi non si crea un potenziale bacino di domanda. Ma probabilmente i consumatori per ora non vedono vantaggi nei nuovi servizi e, forse, come faceva notare il negoziante della periferia romana, l'unico motivo per comprarsi il set top box oggi è che, «tanto», nel 2006 per legge si dovranno spegnere le trasmissioni analogiche.
Chi finanzia il sistema digitale?
E la cara, vecchia pubblicità, potrebbe essere in grado di finanziare il nuovo sistema digitale? Antonio Pilati, consigliere dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sostiene che dalla nuova televisione digitale «si guadagna in modo non diverso dalla tv analogica, vale a dire diffondendo programmi che creano ascolti e vendendo l'attenzione degli spettatori agli inserzionisti pubblicitari». «La pubblicità ha avuto un periodo congiunturale di flessione, ma è in ripresa», spiega. «Credo che il mercato pubblicitario per la televisione sia in espansione, se c'è una maggiore offerta di canali può aumentare anche l'investimento delle aziende. Il rapporto fra tv digitale e analogica è di sostituzione, cioè la prima si sostituirà alla seconda, mantenendone in sostanza il modello economico, con una possibilità di rendita aggiuntiva data dai servizi interattivi».
Più scettico Giuseppe Richeri, docente di Strategia dei media presso l'Università di Lugano: «Ammesso che le risorse della pubblicità in chiaro si trasferiscano sul digitale, il pubblico si frammenterà su un'offerta moltiplicata di canali e questo avrà un impatto notevole sui pubblicitari». «Il punto - spiega - è che se i canali con il digitale si moltiplicano per esempio per tre, le risorse finanziarie necessarie a sostenerli non aumentano proporzionalmente. Il monte di investimenti sulla tv digitale può anche crescere rispetto a quella analogica, ma deve ridistribuirsi su più canali: di conseguenza l'investimento medio orario sui programmi tv tende a diminuire e la programmazione diventa più povera».
La conclusione non è certo di quelle che possono far felici i produttori di contenuti, già strozzati dal ribasso dei prezzi dei programmi sui canali tematici. Ma, allora, bisogna scongiurare a tutti i costi l'arrivo della Dtt? Richeri è convinto che «la decisione di andare verso il tutto digitale vada appoggiata, perché fonte di innovazione e di accesso universale ai servizi interattivi. D'altra parte la data di spegnimento dell'analogico nel 2006 è problematica, sarà difficile nel breve e medio termine trovare un equilibrio economico con le risorse ora disponibili, cioè la pubblicità e i servizi interattivi».
Il modello inglese
Giacomo Mazzone, dell'Audit strategica dell'Ebu (o Uer, unione dei broadcaster europei) ricorda che «il modello di Dtt di successo è quello inglese, gratuito, trainato da un'offerta pubblica, sostenuta dallo stato. La Bbc ha ottenuto un aumento di canone per realizzare nuovi canali, che compongono con altri l'offerta gratuita Freeview, oltre 40 reti.
In Gran Bretagna a pagare lo start up del digitale terrestre è lo stato, che aumenta le risorse alla tv pubblica, e il cittadino, disposto a versare più canone a fronte di un'offerta diversificata». Che, ricordiamo (vedi puntata precedente), è possibile perché l'operatore di rete (carrier) e il fornitore del contenuto sono soggetti separati, con interessi concorrenti che contribuiscono ad arricchire l'offerta finale. «In Italia - continua Mazzone - le risorse pubblicitarie conoscono da anni una crescita stentata, non esiste pubblicità aggiuntiva. In Gran Bretagna l'offerta analogica era fatta di cinque canali soltanto, è naturale il successo di una piattaforma come Freeview, che offre gratuitamente oltre 40 canali, e è naturale che si creino nuovi spazi di rendita economica. Ma in Italia la situazione è ben diversa e, non avendo separato l'operatore di rete dal fornitore del contenuto, non esistono interessi economici per creare concorrenza».
Conclusione, secondo Mazzone, è che «data la non separazione fra carrier e fornitore del contenuto, considerata l'assenza di un mercato pubblicitario televisivo che non sia già stato esplorato, non esistono le condizioni perché la tv digitale si sviluppi in Italia, a meno che non vi siano massicci trasferimenti di denaro pubblico. Senza questi strumenti di intervento pubblico, la Dtt non ha adesso le condizioni di mercato per svilupparsi». E, di fatto, gli strumenti di intervento pubblico - ricorda Mazzone - ci sono. La finanziaria 2004 riporta gli incentivi all'acquisto dei set top box, i famosi 150 euro di sconto. Ma forse sono nel posto sbagliato. A valle, piuttosto che a monte. Cercano di diffondere la domanda, piuttosto che incentivare l'offerta. Si finanzia a pioggia l'acquisto di un apparecchio che per adesso dà troppe poche cose e troppo uguali a quelle che già si trovano sull'analogico: il risultato è aiutare i cosiddetti «early adopters», chi già sta un passo avanti rispetto alle tecnologie, non certo le fasce «deboli» per reddito e cultura. Di risorse pubbliche che supportino la produzione, in modo da creare un'offerta di qualità, non se ne parla. Aumentare il canone, poi, in tempi in cui si teorizza la privatizzazione della tv pubblica, sarebbe un'eresia... (3/fine. Le precedenti puntate sono uscite martedì 20 e venerdì 23)
Ma cosa vuol dire interattività nel caso di un televisore, cioè di una scatola piazzata in salotto o in cucina, di fronte alla quale l'unico atteggiamento attivo possibile è schiacciare i tasti del telecomando? Il commesso risponde che si tratta della possibilità di interagire con alcuni programmi tv, votando, facendo scommesse, comprando cose. Quali, non sa dire, perché - sottolinea - non tutte le potenzialità del digitale terrestre sono state sfruttate, ma nel futuro, chissà. Per adesso, si possono vedere dei canali nuovi, come la Bbc World, Rai sport, etc. Tutto gratis, con la sola spesa iniziale del set top box? Sì, risponde convinto. Anche l'interattività? «Tutto gratis», conferma. Quanti ne vendete? «Tantissimi, è un gran successo».
Altro negozio di elettronica, stavolta in un quartiere popolare della capitale. Qui addirittura i set top box per la tv digitale terrestre sono esauriti. «Arrivano la prossima settimana», risponde la proprietaria, cinquantenne, perfetto stile romanesco. Quartiere periferico, ancora negozio di elettronica: in vetrina c'è esposto un cartello che annuncia la disponibilità dei set top box per il finanziamento statale sulla tv digitale terrestre. «Solo il tipo interattivo è finanziabile con l'incentivo statale», chiarisce il negoziante, indicando due modelli, attorno ai 300 euro o poco più, una marca molto nota e l'altra meno. «Se si vuole risparmiare, c'è la versione non interattiva», dice mostrando due tipologie, prezzo 150 euro o poco meno, «ma non conviene, con il finanziamento il modello interattivo costa uguale a questo». Alla domanda su cosa significhi interattività, il negoziante parla di come si possa colloquiare via telecomando con la banca per controllare la propria posizione, oppure pagare la posta, e elenca una serie di servizi che tecnicamente vanno sotto il nome di t-government. Tutto gratis, conferma, almeno dopo aver acquistato l'apparecchietto set top box. «Conviene comprarlo ora che c'è l'incentivo statale. Entro il 2006 bisogna avercelo tutti per forza, tanto vale risparmiare ora», conclude, irritato per le troppe domande. Dopo qualche giro nei negozi della capitale, il risultato sono negozianti che danno informazioni precise sui set top box finanziabili con il contributo statale, e chiariscono che quelli non finanziabili, di prezzo decisamente inferiore, non sono interattivi.
Come funziona l'interattività?
Il punto poco chiaro è come funziona l'interattività e, soprattutto, chi la paga. Il set top box è una spesa una tantum, e probabilmente i canali ricevuti con la televisione digitale terrestre, anche in futuro, resteranno gratuiti come sono ora. Ma l'interattività, l'invio di una richiesta a un centro servizi, a una banca, o di un voto a un programma tv - operazione che ha bisogno del cosiddetto «canale di ritorno», la linea telefonica oggi, forse l'adsl domani -, è un costo a carico di chi interagisce, cioè dell'utente. La cosa, purtroppo, non sempre viene chiarita. Proprio su questo punto, lo scorso marzo l'Adiconsum, associazione di difesa dei consumatori, ha denunciato la scarsa trasparenza dei punti vendita nell'informare che il sistema interattivo non è gratuito, poiché prevede costi di collegamento alla rete fissa o alla banda larga: costi che possono variare dal prezzo di una semplice telefonata, fino a comprendere tariffazioni premium. La tv digitale terrestre (Dtt) è gratuita e universale. Però, nel momento in cui, per promuoverla, si decantano i servizi interattivi, non è più gratuita ma, in qualche modo, finanziata direttamente dall'utente che di quei servizi usufruisce.
Basteranno i costi sostenuti dai consumatori per interagire con programmi tv o centri servizi a sostenere la nuova economia digitale, cioè un sistema ben più complesso dell'attuale televisione analogica, che oggi si finanzia tramite la pubblicità - per gli operatori privati - o nella combinazione di questa con il canone, come avviene nel caso Rai? Gli esperti sono di parere diverso. Sebastiano Trigila, ingegnere capo progetto per la transizione al digitale terrestre per la Fondazione Ugo Bordoni, che collabora con il Ministero delle comunicazioni per la sperimentazione dei servizi interattivi, è convinto che «se l'offerta di programmi aumenta e il pubblico si segmentizza, il mantenimento economico del sistema non può venire soltanto dalla pubblicità, ma ci vuole una forma diversa di introito. I servizi interattivi possono svolgere questo compito, chiaramente quelli in cui il consumatore vede un valore aggiunto, come pagare il bollo Aci via telecomando invece che sopportando una fila». «L'interattività - precisa - è un valore aggiunto importante della tv digitale terrestre: senza di essa si permette soltanto di vedere più canali gratuitamente e con migliore qualità, ma si rischia di porre le premesse per una non sostenibilità del sistema televisivo». La questione sull'interattività, d'altra parte, è spinosa. Dopo un test sui servizi interattivi disponibili sui multiplex Dtt, il risultato è piuttosto deludente: qualche sondaggio a cui si può partecipare da casa, qualche quiz che però non incide direttamente sull'andamento del programma tv e, persino su un grande evento live come il festival di Sanremo, giochi di scarso rilievo che, oltretutto, agiti via telecomando, risultano complicatissimi (come un puzzle da ricomporre con le facce dei tre presentatori, evidentemente disegnato in barba alle regole dell'usabilità). La mancanza di un'offerta reale di servizi interattivi sul Dtt secondo l'ingegner Trigila è attribuibile a diversi fattori: «finché non c'è una vera richiesta, una reale diffusione dei set top box, tutti gli investimenti sull'offerta rischiano di non avere un chiaro ritorno. E per questo che esiste una certa esitazione a partire subito con i servizi interattivi; d'altra parte, è anche vero che quelli esistenti svolgono l'importante funzione di familiarizzare l'utente con un nuovo modo di fruire la televisione».
Trigila aggiunge un elemento di riflessione interessante: «in presenza di interattività remota ci deve essere una struttura, un centro servizi capace di intercettare e gestire le chiamate effettuate attraverso il canale di ritorno. Una struttura del genere richiede investimenti notevoli, perché deve essere in grado di processare anche milioni di chiamate in contemporanea. L'interattività, oltre che servizio gestibile via set top box, è anche tutto il supporto di rete necessario a smistare i segnali del canale di ritorno, ciò che appunto fa sì che il servizio sia realmente interattivo». È il cane che si morde la coda: i servizi interattivi di reale valore aggiunto non partono finché non si diffondono i set top box, quindi non si crea un potenziale bacino di domanda. Ma probabilmente i consumatori per ora non vedono vantaggi nei nuovi servizi e, forse, come faceva notare il negoziante della periferia romana, l'unico motivo per comprarsi il set top box oggi è che, «tanto», nel 2006 per legge si dovranno spegnere le trasmissioni analogiche.
Chi finanzia il sistema digitale?
E la cara, vecchia pubblicità, potrebbe essere in grado di finanziare il nuovo sistema digitale? Antonio Pilati, consigliere dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sostiene che dalla nuova televisione digitale «si guadagna in modo non diverso dalla tv analogica, vale a dire diffondendo programmi che creano ascolti e vendendo l'attenzione degli spettatori agli inserzionisti pubblicitari». «La pubblicità ha avuto un periodo congiunturale di flessione, ma è in ripresa», spiega. «Credo che il mercato pubblicitario per la televisione sia in espansione, se c'è una maggiore offerta di canali può aumentare anche l'investimento delle aziende. Il rapporto fra tv digitale e analogica è di sostituzione, cioè la prima si sostituirà alla seconda, mantenendone in sostanza il modello economico, con una possibilità di rendita aggiuntiva data dai servizi interattivi».
Più scettico Giuseppe Richeri, docente di Strategia dei media presso l'Università di Lugano: «Ammesso che le risorse della pubblicità in chiaro si trasferiscano sul digitale, il pubblico si frammenterà su un'offerta moltiplicata di canali e questo avrà un impatto notevole sui pubblicitari». «Il punto - spiega - è che se i canali con il digitale si moltiplicano per esempio per tre, le risorse finanziarie necessarie a sostenerli non aumentano proporzionalmente. Il monte di investimenti sulla tv digitale può anche crescere rispetto a quella analogica, ma deve ridistribuirsi su più canali: di conseguenza l'investimento medio orario sui programmi tv tende a diminuire e la programmazione diventa più povera».
La conclusione non è certo di quelle che possono far felici i produttori di contenuti, già strozzati dal ribasso dei prezzi dei programmi sui canali tematici. Ma, allora, bisogna scongiurare a tutti i costi l'arrivo della Dtt? Richeri è convinto che «la decisione di andare verso il tutto digitale vada appoggiata, perché fonte di innovazione e di accesso universale ai servizi interattivi. D'altra parte la data di spegnimento dell'analogico nel 2006 è problematica, sarà difficile nel breve e medio termine trovare un equilibrio economico con le risorse ora disponibili, cioè la pubblicità e i servizi interattivi».
Il modello inglese
Giacomo Mazzone, dell'Audit strategica dell'Ebu (o Uer, unione dei broadcaster europei) ricorda che «il modello di Dtt di successo è quello inglese, gratuito, trainato da un'offerta pubblica, sostenuta dallo stato. La Bbc ha ottenuto un aumento di canone per realizzare nuovi canali, che compongono con altri l'offerta gratuita Freeview, oltre 40 reti.
In Gran Bretagna a pagare lo start up del digitale terrestre è lo stato, che aumenta le risorse alla tv pubblica, e il cittadino, disposto a versare più canone a fronte di un'offerta diversificata». Che, ricordiamo (vedi puntata precedente), è possibile perché l'operatore di rete (carrier) e il fornitore del contenuto sono soggetti separati, con interessi concorrenti che contribuiscono ad arricchire l'offerta finale. «In Italia - continua Mazzone - le risorse pubblicitarie conoscono da anni una crescita stentata, non esiste pubblicità aggiuntiva. In Gran Bretagna l'offerta analogica era fatta di cinque canali soltanto, è naturale il successo di una piattaforma come Freeview, che offre gratuitamente oltre 40 canali, e è naturale che si creino nuovi spazi di rendita economica. Ma in Italia la situazione è ben diversa e, non avendo separato l'operatore di rete dal fornitore del contenuto, non esistono interessi economici per creare concorrenza».
Conclusione, secondo Mazzone, è che «data la non separazione fra carrier e fornitore del contenuto, considerata l'assenza di un mercato pubblicitario televisivo che non sia già stato esplorato, non esistono le condizioni perché la tv digitale si sviluppi in Italia, a meno che non vi siano massicci trasferimenti di denaro pubblico. Senza questi strumenti di intervento pubblico, la Dtt non ha adesso le condizioni di mercato per svilupparsi». E, di fatto, gli strumenti di intervento pubblico - ricorda Mazzone - ci sono. La finanziaria 2004 riporta gli incentivi all'acquisto dei set top box, i famosi 150 euro di sconto. Ma forse sono nel posto sbagliato. A valle, piuttosto che a monte. Cercano di diffondere la domanda, piuttosto che incentivare l'offerta. Si finanzia a pioggia l'acquisto di un apparecchio che per adesso dà troppe poche cose e troppo uguali a quelle che già si trovano sull'analogico: il risultato è aiutare i cosiddetti «early adopters», chi già sta un passo avanti rispetto alle tecnologie, non certo le fasce «deboli» per reddito e cultura. Di risorse pubbliche che supportino la produzione, in modo da creare un'offerta di qualità, non se ne parla. Aumentare il canone, poi, in tempi in cui si teorizza la privatizzazione della tv pubblica, sarebbe un'eresia... (3/fine. Le precedenti puntate sono uscite martedì 20 e venerdì 23)
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