Ucraina, quello che la RAI non ci racconta
L'inviata RAI Laura Tangherlini si immerge nelle vicende dei soldati ucraini, accompagnandoli persino in ambulanza, tra feriti e vittorie. La sua narrazione dipinge un quadro eroico di uomini desiderosi di tornare al fronte per difendere la patria, suscitando un senso di ammirazione e rispetto.
Tuttavia, dietro questa narrazione si cela una realtà scomoda che il servizio pubblico farebbe bene a esplorare e diffondere. Si tratta della crescente renitenza alla leva dei giovani ucraini, un fenomeno che ha attirato l'attenzione della stampa internazionale, tra cui POLITICO e il New York Times. Anche organizzazioni come PeaceLink hanno cercato di portare alla luce questa problematica, considerata la scarsa attenzione dell'informazione nazionale che ha puntato sulla narrazione patriottica gradita a Zelensky e ora entrata in crisi.
Questa reticenza a raccontare le cose scomode non favorisce il pensiero critico e un'informazione sfaccettata su una realtà che è contraddittoria e non univoca.
La realtà che emerge - quella di una diffusa renitenza alla leva in Ucraina - suggerisce una frattura tra la narrazione ufficiale sposata da molti servizi della RAI (per fortuna non tutti) e la realtà concreta vissuta dal popolo ucraino. I mass media nazionali hanno teso a concentrarsi sulla glorificazione degli eroi di guerra, ma sembrano trascurare la complessità di una società divisa e sfiduciata.
Sarebbe importante raccontare l'angoscia delle donne ucraine che scendono ogni settimana in piazza per chiedere il ritorno a casa dei loro uomini.
È fondamentale che il servizio pubblico, e quindi il giornalismo della RAI, si faccia portavoce di queste realtà dissonanti rispetto alla narrazione convenzionale, e che racconti le paure delle donne e i drammi che vivono i giovani restii a farsi arruolare. Avremmo un quadro più completo e vero dell'Ucraina contemporanea. Solo attraverso una rappresentazione equilibrata e inclusiva delle sue contraddizioni possiamo davvero comprendere ciò che vive il popolo ucraino e sostenerlo nel suo difficile percorso di fuoriuscita dalla guerra.
Raccontare ciò che non va, in guerra, era definito un tempo come "disfattismo" perché deprimeva lo spirito bellico. Oggi, in una società libera e con media che dovrebbero indipendenti dal potere politico, raccontare ciò che non va è invece un servizio al pluralismo e al pensiero critico.
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