Una tribu' nomade a caccia di scoop
Da uno dei nostri inviati
BAGDAD - I voli Milano-Londra a 10 euro sono roba da dilettanti. Nelle zone di guerra, esiste una tribu' nomade che s'arrangia con meno: s'infila sugli aerei del World Food Programme , dorme in case d'amici per caso, mangia quando capita e si gioca la pelle per un pezzo, uno scatto, una ripresa. Antonio Russo, il reporter di Radio Radicale ucciso in Georgia, era uno capace d'alloggiare due settimane in un campo profughi kosovari, sotto le tende, o di partecipare alle imboscate militari dell'Uck o di stare nascosto, unico, nelle case albanesi di Pristina durante la pulizia etnica serba. Raffaele Ciriello, il fotoreporter ammazzato a Ramallah, spariva coi pastori sulle montagne dell'Afghanistan e correva dietro ai tanzim dell'intifada ed e' morto per aver voluto guardare con l'obbiettivo nella bocca di fuoco d'un tank israeliano. Li ha dimenticati in fretta, chi non li conosceva, perche' Russo e Ciriello non erano della casta eletta che si premia a ogni trasferta: una conferenza stampa dei radicali per chiedersi chi abbia voluto la fine di Antonio, una lapide palestinese dove il nome di Raffaele e' perfino scritto sbagliato. Pace e amen.
Vita da freelance. Quelli pagati ad articolo o a collegamento, piu' ne fai piu' guadagni, le spese di solito escluse, la fatica di piazzare merce che gli altri non hanno da posti in cui gli altri magari non vanno. Da quando hanno decapitato Daniel Pearl, firma del Wall Street Journal , gli inviati mettono piede in Pakistan se proprio si deve: inglesi e americani, la stessa Cnn usano i locali, cosi' come facevano i francesi nell'Algeria degli sgozzamenti o com'e' nell'impossibile Mogadiscio. Tutti freelance, coi contatti giusti e la rapidita' che serve, a volte one man band che in un giorno riscrivono lo stesso pezzo per quattro o cinque testate.
Rischiano parecchio, i freelance. E vanno anche al di la' del troppo. Ce n'e' che cominciano a meta' del cammino, vedi Enzo Baldoni che fino a 50 anni faceva solo il pubblicitario o Franco Pagetti, allievo del grande Natchwey, passato dai clic patinati alle morgue irachene. E ce n'e' di piu' giovani, Barbara Schiavulli, una collega che da Gerusalemme a Haiti, da Kabul a Bagdad non si perde una crisi e riesce a "coprire" sul posto anche per un innegabile vantaggio: e' di pelle creola e tratti orientaleggianti, l'ideale per passare inosservati nella caccia all'occidentale di Najaf o di Falluja. I freelance per eccellenza sono i fotografi, Mauro Sioli o Livio Senigallesi, obbligati alla corsa a ostacoli d'una tecnologia che fa arrivare in tempo reale le immagini di tutto: "Entrare in concorrenza con le grandi agenzie non ha senso - dice Pigi Cipelli, base a Milano e anni di reportage dai Balcani all'Iraq -. Piu' che puntare su immagini che mostrano l'avvenimento, meglio andare su quelle che lo spiegano". Come girare in pattuglia di notte, per le vie di Bagdad: gli occhi atterriti d'un arrestato, lo sguardo spaventato uguale d'un marine.
Avere qualcosa di piu'. Per questo si puo' morire: capito' ad Almerigo Grilzz, 1987, Mozambico. O ci si puo' andare vicini, come Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, "storici" freelance che sono stati colpiti (Fausto in Afghanistan) o hanno rischiato: partito in macchina da Bagdad per Nassiriya, poche settimane fa, Gian e' incappato in un posto di blocco di sadristi e solo la prontezza del suo autista ("sdraiati, fingi di dormire, diro' io che sei un giordano!") gli ha salvato la pelle. Qualche volta, con la tribu' nomade, sbarcano anche i turisti della guerra: signore annoiate, esaltati, autentici psicopatici. A Sarajevo, ci fu un tale che s'invento' d'essere stato rapito. Torno' a casa, si prese due ceffoni dalla mamma e capi' la lezione. Non s'e' piu' visto.
Francesco Battistini
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