Informazione sull'Iraq? Manipolata, mistificata, unilaterale, bugiarda
"Andate a vedere i primi dieci minuti del film di
Michael Moore, Fahrenheit 9/11. In quei primi dieci
minuti si vede in che stato è la democrazia
americana". E' uno dei passaggi salienti della nostra
intervista "a tutto campo" a Giulietto Chiesa,
neoparlamentare europeo, in seguito alla pubblicazione
sull'Unità della lettera, del 4 ottobre, rivolta al
Presidente del Parlamento europeo Josep Borrel...
L'occasione è particolarmente significativa perché ci
permette da un lato di analizzare la crisi irakena
nella sua drammaticità anche, e soprattutto, in
relazione al tema dell'informazione, e dall'altro di
spostare l'attenzione sul ruolo che può e deve
necessariamente svolgere il Parlamento europeo.
Nella lettera, i firmatari - insieme a Chiesa, Andrew
Duff (Alde), Angelika Beer (Verdi), Véronique De
Keyser (Pse), Antonio Di Pietro (Alde), Lilli Gruber
(Pse), Luisa Morgantini (Gue), Michele Santoro (Pse) -
sollecitano il Presidente Borrel a inviare in Iraq una
delegazione parlamentare con il mandato conoscitivo di
consultare tutte le forze politiche, religiose,
etniche irakene e i governi dei Paesi vicini, e
comunque influenti sulla situazione. L'Europa, come
entità politica - continua la lettera -, non è
corresponsabile di questa tragedia e, proprio per
questo, è oggi in condizione di svolgere un ruolo di
pace e costruttivo insostituibile.
Partiamo proprio da questo ruolo insostituibile che
l'Europa deve svolgere e dalle motivazioni che, in
questo momento particolarmente delicato, ti hanno
portato a denunciare nella lettera la condizione di
impotenza del Parlamento europeo di fronte al dramma
irakeno.
Io denuncio in generale l'impotenza di tutta l'Europa.
Sono stato motivato da questo fatto: noi non abbiamo
osservatori diretti, non abbiamo informazioni dirette,
siamo costretti a guardare dall'esterno una realtà che
ci viene presentata in modo molto deformato, sia
dall'attuale governo provvisorio sia dalle truppe di
occupazione.
Occorre che il parlamento sia in condizione di farci
una propria idea di quello che sta succedendo, perché
non vorremmo trovarci - come ho scritto - di fronte al
fatto che all'inizio del prossimo anno si tengano
elezioni che sono una clamorosa manipolazione della
situazione reale, che ci diano per buone elezioni che
non possono essere buone. Bisognerebbe, quindi, che il
Parlamento in quanto tale non affidasse né al
Consiglio dei Ministri, né alla Commissione, il
compito di esaminare la situazione sul campo.
Nel merito della richiesta che tu e i firmatari fate,
il Parlamento Europeo deve assumere una funzione
politica determinante. Ma come si realizza
concretamente questo impegno?
A partire da un contatto diretto con tutte le forze
che sono sul terreno, e andando a parlare con tutti
quelli che partecipano, incluso, se possibile, alcuni
dei rappresentanti di questa resistenza popolare che è
un evidente fatto politico sul campo, inequivocabile.
Dobbiamo sancire il fatto che non è solo il Governo
provvisorio che ci deve dare informazioni, ma anche
coloro che si oppongono all'attuale governo in tutte
le sfumature intermedie. In questo senso chiediamo una
delegazione parlamentare che svolga una funzione
informativa nel Parlamento.
Io aggiungo un altro elemento: i popoli europei,
secondo tutti i sondaggi, sono stati contrari a questa
guerra, e noi parlamentari europei rappresentiamo
esattamente i popoli europei. Siamo quindi chiamati a
svolgere una funzione evidente di rappresentanza dei
nostri elettori; è questo un modo, anche, per
valorizzare fortissimamente il ruolo rappresentativo
del Parlamento europeo.
Tornando alla situazione irachena, quale significato e
quale ruolo possiamo attribuire alle future elezioni
che, secondo la risoluzione n. 1546 del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite, dovrebbero svolgersi a
gennaio?
Il ruolo di queste elezioni è, secondo me, nullo. Già
sappiamo, infatti, fin d'ora che non si terranno su
tutto il territorio e che si svolgeranno in condizioni
di guerra. Bene, come si possano fare delle elezioni
in queste condizioni, per me, è incredibile.
Tuttavia, sfortunatamente, se la gestione di questa
situazione non verrà resa pubblica, pubblica
internazionalmente, e a quanto pare neanche Kofi
Annan, segretario generale dell'ONU ci crede, noi
rischiamo si trovarci di fronte a vincitori che non
hanno vinto niente, che non rappresentano nessuno. E
questo aumenterà la crisi di tutta l'area. In qualche
modo, sapere se vale la pena fare queste elezioni e
quanto valgono queste elezioni, diventerà un elemento
conoscitivo di enorme rilevanza politica. Sottolinei
giustamente la necessità di rendere pubblica la
gestione di questa situazione, mettendo in evidenza le
difficoltà di chi si occupa di informazione...
Non per niente questa lettera è stata firmata da tre
giornalisti italiani che conoscono bene la situazione,
oltre a me ci sono Santoro e Gruber, tutti e tre i
parlamentari giornalisti hanno firmato, e questo
significa molto. Noi tutti siamo perfettamente
consapevoli che la gran parte del pubblico italiano
non è informata, né correttamente né scorrettamente, e
che gran parte dell'informazione che arriva è
manipolata, mistificata, unilaterale e bugiarda.
A proposito di manipolazione e mistificazione
dell'informazione, lo scontro politico-mediatico tra
Bush e Kerry, al di là del valore immediatamente
contingente che esiste ed è innegabile, ci obbliga a
riflettere sulle condizioni della democrazia
americana. Tu, come giornalista e parlamentare
europeo, cosa puoi dirci?
A questo riguardo, vorrei soltanto dire: andate a
vedere i primi dieci minuti del film di Michael Moore,
Fahrenheit 9/11. In quei primi dieci minuti si vede in
che stato è la democrazia americana.
Nell'anno 2000, di fronte a una evidente truffa
elettorale, il partito democratico e il partito
repubblicano, al cento per cento insieme, in senato
rifiutarono di votare, bastava un solo voto, un solo
senatore che accettasse le richieste dei deputati che
si avvicendavano alla tribuna dicendo "non fate
passare la truffa elettorale". Ebbene non c'è stato un
solo senatore che abbia firmato quell'appello, e
sarebbe stato sufficiente e necessario per impedire la
truffa.
Questo dimostra con molta evidenza - diciamo,
addirittura, cinematografica - che in America, come
dice Gore Vidal, non c'è un bipartitismo, ma piuttosto
un unipartitismo, un monopartitismo perfetto. Perfetto
nel senso che ha due ali tutte e due destre.
Questo è quello che posso dire sulla democrazia
americana in questo momento. Per cui se vince Kerry
avremo una facciata un po' diversa, ma la sostanza
sarà identica, e in ogni caso prima di decidere che
vincerà Kerry bisogna stare attenti a quello che
accadrà durante il mese di ottobre. Sono convinto,
infatti, che la partita diventerà sempre più
sanguinosa, quanto più il presidente Bush sarà in
difficoltà. Le classi dirigenti americane hanno già
deciso che Bush deve vincere e quindi faranno in modo
che Bush vinca a tutti i costi.
Questo significa che nell'attuale situazione di grave
crisi internazionale, anche se Kerry dovesse vincere
le elezioni, la strategia politico-militare degli
Stati Uniti rimarrebbe fondamentalmente la stessa?
Il presidente Kerry, se sarà presidente, dovrà tenere
conto del fatto che l'America è un paese in grave
crisi, politica ed economica. Di fronte a una
situazione tremenda di indebitamento, il nuovo
presidente dovrà parare le gravissime distorsioni che
Bush ha prodotto. Non credo quindi che possa girare il
volante della macchina americana, né tanto né poco:
sarà costretto a tenere con le unghie e con i denti
l'Iraq e, se la resistenza non verrà maciullata e
distrutta con le bombe, dovrà continuare la guerra. In
ogni caso la stabilizzazione dell'area non è
pensabile, per cui l'America si troverà, anche con
Kerry, dentro la stessa operazione.
Il pericolo gravissimo che io vedo è che in Italia ci
sono forze del centro-sinistra che si dichiarano già
adesso, in anticipo, pronti a sostenere gli Stati
Uniti in questa seconda fase che sarà gestita,
eventualmente, non più da Bush ma da Kerry.
Ritengo che questa posizione sia una posizione senza
senso, suicida, che dimostra che una parte del
centro-sinistra italiano non ha capito niente di
quello che sta accadendo nel mondo.
Come giudichi il comportamento del centro-sinistra, in
questa fase particolarmente delicata della vicenda
irachena?
Il centro-sinistra, di fatto, non sta facendo niente
per incalzare il governo e la maggioranza parlamentare
su questo terreno. Gli uomini del centro-sinistra
continuano tranquillamente ad andare ai talk-show di
Bruno Vespa che è il contrario del giornalismo e che è
la legittimazione di un'informazione scandalosamente
faziosa alla quale il centro-sinistra partecipa
sistematicamente. Se continua ad avallare questo modo
di fare informazione, allora, il centro-sinistra
riassume un'altra volta tutta intera la gravissima
responsabilità di disinformare il pubblico. Questo
vale per tutti i dirigenti politici che partecipano
alle trasmissioni di Bruno Vespa. Non sto dicendo di
non partecipare a nessuna trasmissione, sto dicendo
che ci sono alcune trasmissioni che sono l'emblema di
questa epoca che nel futuro, se avremo ancora una
democrazia, guarderemo con orrore. Mi domando come mai
Fassino, Bertinotti, Diliberto, Letta, Rutelli e tutti
gli altri continuano a partecipare a una trasmissione
che è una vergogna e una offesa a tutti gli italiani.
Non si fa niente quindi per combattere la situazione
attuale; ci si limita a mugugnare ogni tanto, ma non
si è capito che cosa sta accadendo o non lo si vuol
capire.
In un articolo di qualche giorno fa, sul Manifesto,
denunciavi proprio queste ambiguità del
centro-sinistra italiano. Ma come interpreti le
evoluzioni del dibattito politico all'interno della
coalizione?
Mi è difficile capire, ma in queste circostanze,
purtroppo, vedo l'accentuarsi delle spaccature
all'interno del centro-sinistra. Non un processo di
unificazione o comunque di convergenza. Vedo che c'è
una parte che se ne va per conto suo verso quella che,
nell'articolo sul Manifesto, ho definito una "resa
preventiva". In queste condizioni unità a sinistra
vuol dire unità per essere sconfitti. Se questo è
quello che vogliono, questo avranno. E mi pare che
questo sia proprio quello che vogliono. L'unità per
essere sconfitti non è l'unità nella quale credo io, e
non è l'unità nella quale credono milioni di italiani
che hanno votato a sinistra.
Per chiudere, torniamo alla lettera e alle
considerazioni dalle quali eravamo partiti. In un
quadro complessivo di grave crisi internazionale,
caratterizzato dalla progressiva degenerazione delle
tensioni e dalla moltiplicazione dei conflitti, qual è
il ruolo che dovrà assumere l'Europa?
Certo che siamo in una situazione internazionale di
gravissima crisi, che si sta aggravando e che non ci
sono all'orizzonte segni di miglioramento. Giudizio
che coincide, del resto, con quello espresso
nell'ultimo numero dell'Economist dall'editoriale che
dice "guai all'orizzonte". Ci sono guai gravissimi
all'orizzonte e l'origine principale di questi guai
sta proprio negli Stati Uniti d'America. Sono convinto
infatti che tutti gli europei e tutte le democrazie
europee dovrebbero raccogliere le loro forze per fare
in modo che l'Europa assuma un ruolo, velocemente, di
moderazione e di dialogo con tutto il resto del mondo,
anche a costo di lasciare soli gli Stati Uniti
d'America quando rifiutano il dialogo. Bisogna dire
che l'Europa deve svolgere questo ruolo se necessario
da sola, se gli Stati Uniti non sono capaci di
comprendere questa necessità inderogabile. Questo è
quello che posso dire ora. Se io potessi influire su
questa situazione direi proprio apertamente e
pubblicamente questa cosa: con questo gruppo dirigente
degli Stati Uniti noi andiamo ad una catastrofe e
quindi dobbiamo sapere che l'Europa può evitare o
contribuire ad evitare una catastrofe facendo un'altra
politica.
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