Il comma 22 di Indymedia
I servers internet di Indymedia a Londra sono stati fatti scomparire da mani statunitensi, ma non sappiamo ancora dove siano andati a finire o chi li abbia presi, visto che la compagnia che offre spazio sul web al sito si rifiuta di darcene notizia. Non possiamo sperare di suscitare l'interesse dei grandi network perchè non abbiamo a disposizione prove sufficienti per mettere insieme una storia coerente, eppure, fino a che non riusciremo a suscitare il loro interesse, non saremo mai in grado di esercitare sulle autorità la pressione necessaria per ottenere quelle prove.
Una cosa è molto chiara. I server che usavamo per aiutare la gente "ad essere il mezzo di comunicazione ed informazione di loro stessi" sono stati fatti svanire nel nulla e trasportati in una sorta di Guantanamo per computer "terroristi".
Vorremmo sottolineare anche alcuni elementi negativi molto interessanti: nessuno è stato accusato di un qualsivoglia reato. L'Ufficio Centrale in Gran Bretagna "non è in grado di confermare, nè di smentire" il proprio coinvolgimento nell'appropriazione degli hard-disk. Venerdì scorso, l'ambasciata USA ha smentito di essere a conoscenza del fatto. Sabato, durante una telefonata esplorativa agli investigatori di Scotland Yard, è stato dichiarato: "dovete dirci chi ha preso i server , prima che riusciamo a trovarli".
Inoltre, adesso c'è un buco in internet dove prima c'erano 1 milione di notizie, articoli, commenti, foto e testimonianze audiovisive di Indymedia.
La ferita si sta chiudendo, ma la cicatrice non scomparirà fino a che i server non saranno restituiti. Gli IMC che avevano più risorse tecniche (e più paranoia), facevano continui back up, motivo per cui l'IMC inglese è potuta tornare on line 4 ore dopo la confisca dei macchinari, senza aver subito praticamente alcuna perdita di dati. Altri non sono stati altrettanto fortunati.
L'IMC italiano è ricomparso on line dopo quattro giorni ed ha perso definitivamente i dati relativi a circa due mesi di pubblicazione.
L'IMC dell'Uruguay ha perso tutti i dati a partire dallo scorso aprile, altri stanno valutando le perdite, ma la maggior parte dei 20 siti coinvolti ha subito dei danni notevoli. Migliaia di articoli sono stati portati via dalla luce del sole di internet, per essere scaraventati nella buia prigione della "undernet", la rete sotterranea del governo USA. Forse l'FBI ha intenzione di usare i macchinari rubati per mettere su un network di Undermedia? Di media sotterranei da usare per i detenuti di Guantanamo, del carcere di Belmarsh e di Abu Ghraib?
Se avete mai visitato un sito Indymedia, se avete mai inviato messaggi, post o un qualsiasi commento, allora, per favore, considerate questo episodio non come un attacco ad Indymedia in particolare, ma come un attacco a voi stessi. I volontari di Indymedia sono pochi in termini numerici e il contenuto del sito non riesce a rappresentare, quantitativamente parlando, tutto ciò che viene prodotto dalle centinaia di migliaia di persone che hanno contribuito al sito in questi ultimi cinque anni. L'FBI si è appropriata di un pezzo insostituibuile della nostra storia collettiva.
Ancor peggio, hanno compiuto un attacco diretto ad una componente importante del movimento globale contro il neoliberismo, una parte capace di fare da tramite e messaggero tra le diverse componenti del nostro stato senza bisogno di un "cervellone" o dell'autoiritarismo di un Comitato Centrale che ci dica come dobbiamo muoverci.
Indymedia sta ancora valutando i danni, ma nei prossimi giorni, man mano che lo shock si affievolirà, si metterà probabilmente di nuovo alla ricerca di altri interlocutori nei movimenti per la giustizia globale, per sollecitare manifestazioni di solidarietà, firmare petizioni, esercitare pressione sui governi e movimentare un po' la situazione. Siete invitati a partecipare. Per favore, cercate di tenervi aggiornati regolarmente sul sito (sopravvissuto) di Indymedia più vicino.
Questi i siti che hanno subito i maggiori danni: brasil.indymedia.org, euskalherria.indymedia.org, germany.indymedia.org, italy.indymedia.org, liege.indymedia.org, lille.indymedia.org, nantes.indymedia.org, nice.indymedia.org, pl.indymedia.org, portugal.indymedia.org .
Siti che sono ancora scollegati: ambazonia.indymedia.org, andorra.indymedia.org, antwerpen.indymedia.org, belgrade.indymedia.org, keys.indymedia.org, oost-vlaanderen.indymedia.org, prague.indymedia.org, uruguay.indymedia.org,
Traduzione di Patrizia Messinese a cura di Peacelink.
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