Il trionfo che non c'è
Il presidente più votato, battuto anche Reagan» recitava il titolo di un grande quotidiano l'altroieri, a commento della vittoria «storica» di George W. Bush. Certo, Bush ha ottenuto 59 milioni di voti, che sono più dei 54,4 milioni di Reagan nel 1984: magari sarà stato un po' aiutato dal fatto che la popolazione in età di votare, quest'anno, era 217,7 milioni di persone, contro i 163 milioni circa di vent'anni fa. Con una calcolatrice di quelle che danno in omaggio con Amica si può scoprire, per esempio, che Reagan ebbe il consenso del 33% degli elettori potenziali, mentre Bush figlio ha dovuto accontentarsi del 27%. Chi ha fatto meglio? L'attuale Presidente avrebbe superato tutti i suoi predecessori nel voto popolare, ci viene detto. Meglio di Kennedy? Nel 1960, JFK ebbe il suffragio del 30% degli americani maggiorenni e, nel 1932, Roosevelt raccolse il 29,6%, quindi entrambi furono più votati, in relazione alla popolazione, di quanto sia stato Bush. A meno che non si voglia sostenere che quest'ultimo ha avuto più consensi anche di Theodore Roosevelt (quando non votavano le donne) Abramo Lincoln (quando non votava il Sud) e George Washington (quando non votava nessuno, tranne i grandi elettori nominati dai singoli stati).
Facciamo una piccola lista di presidenti che si presentavano per la rielezione e vediamo quali percentuali dei votanti (non degli elettori) hanno ottenuto: 2004: Bush jr., 51%; 1988: Reagan 58,8%; 1972: Nixon 60,7%; 1964: Johnson: 61%; 1956: Eisenhower, 57,4%. Bush è stato, dal punto di vista del consenso, il peggiore tra i presidenti repubblicani rieletti e ha rischiato seriamente di perdere.
Nella fretta di etichettare come «trionfale» la rielezione di Dubya, i giornali italiani hanno un po' trascurato i numeri. Per esempio, ci è stato spiegato che la scomposizione del voto è stata la seguente: 54% donne, 46% uomini. Improbabile, ma tecnicamente possibile. Si aggiunge, poi, che il 54% delle donne e il 47% degli uomini hanno votato Kerry. La solita calcolatrice in omaggio ne dedurrebbe che oltre il 50% dei votanti ha scelto il candidato democratico. Il contrario di quanto ci veniva detto nella stessa pagina, dove si parlava di 59 milioni a Bush e 55,4 a Kerry. Chi ha ragione?
Si sostiene, inoltre, che Kerry ha vinto nel Nordest (58%), nel Midwest (50%), nell'Ovest (53%) e avrebbe perso soltanto nel Sud degli Stati Uniti (44%). Probabilmente è vero, ma anche in questo caso, la somma delle percentuali (ponderate rispetto alla popolazione delle diverse aree) dà Kerry vincente e Bush perdente.
Un altro problema di numeri: tutti i commentatori hanno sottolineato il fatto che «l'affluenza alle urne è stata spettacolare», che si vedevano lunghissime code per votare, che i seggi hanno dovuto prolungare l'orario di apertura e, infine, che questa partecipazione si è tradotta in un maggiore consenso per Bush, non per Kerry. I numeri variano alquanto da quotidiano a quotidiano, ma si collocano fra 115 e 120 milioni di votanti: il 60% degli aventi diritto, secondo Angelo Panebianco sul Corriere.
In realtà i conteggi non sono ancora terminati ma, per il momento, i 59 milioni di Bush, sommati ai 55,4 milioni di Kerry e circa 1 milione ai candidati minori fa 115 milioni che, come percentuale della popolazione in età di votare, fa piuttosto il 53% che non il 60%. Basta, infatti, andare a guardare la pagina del Census Bureau per trovare che la popolazione «over 18» è 217,7 milioni di persone. Se così fosse (in molti stati i conteggi sono in corso e talvolta i criteri non sono nemmeno omogenei) la partecipazione sarebbe solo marginalmente superiore a quella del 2000, quando votarono 105,5 milioni di americani, ovvero il 51,3% dei potenziali aventi diritto.
Il 53% di quest'anno sarebbe un modestissimo incremento rispetto a quattro anni fa e resterebbe al di sotto del 55,2% del 1992 (quando fu eletto Bill Clinton), del 55,2% del 1972 (quando fu rieletto Nixon) e del 62,8% del 1960, nella storica elezione che portò John Kennedy alla Casa Bianca. Un trionfo per Bush? La certezza di un vasto consenso popolare per i valori tradizionali? La prova di una profonda capacità di mobilitazione della società americana da parte dei repubblicani? Piuttosto il contrario: nonostante l'incertezza sul risultato, i miliardi di dollari spesi e gli sforzi dei due campi, quasi metà della popolazione è rimasta indifferente. Circa 30 milioni di americani che erano registrati, e quindi avrebbero potuto votare, hanno scelto alla fine l'astensione.
Può darsi che, dopo aver contato tutti i provisional ballots e gli absentee ballots, i numeri aumentino di qualche frazione di punto, ma non certo in misura sufficiente a cambiare i trend fondamentali. Il giudizio sull'elezione del 2004, basato sui numeri, dev'essere quindi assai più prudente: non c'è stato alcun plebiscito a favore di Bush che, come Gore nel 2000, avrebbe potuto perdere pur avendo un maggior numero di voti popolari, se l'Ohio fosse andato a Kerry.
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