Notizie e miraggi
Qualche elemento di riflessione sui media ci viene dall'«incidente di percorso» (la definizione è di Vauro) con cui il manifesto ha inneggiato alla inesistente vittoria di Kerry. Quella prima pagina da collezionisti, che probabilmente finirà all'asta nei siti Internet come oggetto raro, che cos'è? Un errore da dilettanti allo sbaraglio? L'allucinazione di un gruppo redazionale che si è bevuto il cervello? Le allucinazioni sono un fenomeno tutto interno al cervello che per l'effetto di droghe o di fenomeni patologici autoproduce l'apparenza di una visione che al soggetto allucinato appare come reale. Sono neuroni in ebollizione, anche a occhi chiusi. Nel caso di quel titolo invece la metafora più centrata è forse quella del miraggio, ovvero di un fenomeno che è insieme oggettivo (esterno) e psicologico (interno): un certo input sensoriale (una rifrazione della luce nel deserto) chiede al cervello di essere interpretato e non essendo univoco il segnale, il cervello si affanna per darne una spiegazione, magari sbagliata, come quella di «vedere» un lago nel deserto. Il sistema visivo lavora così: non è una lastra fotografica, ma un'interazione tra dentro e fuori, tra i segnali in ingresso e le memorie accumulate, cui fa automaticamente ricorso per interpretare i primi. Nel caso di quella prima pagina gli indizi (le rifrazioni nel deserto) all'una di notte c'erano, anche se poco dopo un cambiamento di luce li avrebbe annullati. Bob Shrum, consigliere di Kerry, ha dichiarato in quelle ore: «Avevamo gli exit poll, avevamo i nostri dati e quelli pubblici; tutti puntavano nella stessa direzione» (Salon Magazine: «La vittoria che non c'è stata», 3 novembre 2004). In ogni caso i dati erano ambigui e il cervello di gruppo ha dato loro una forma, tra le diverse interpretazioni scegliendo quella inconsciamente sperata. E' quanto Luciana Castellina e molti lettori hanno colto: la speranza-miraggio di un'America aperta e non egoista. Ma fin qua saremmo nella soggettività, in fondo poco interessante. Sarebbe «solo» uno degli errori che i quotidiani accumulano nella loro lunga storia. E il manifesto ne ha una bella galleria nei suoi archivi, che sarebbe istruttivo raccogliere in un fascicolo speciale - non per autodenigrazione, ma per memoria.
I quotidiani, scrisse una volta Pintor, nel consueto eccesso di modestia, sono quella cosa che «il giorno dopo serve soltanto a fasciarci il pesce». In realtà errori di questo tipo si producono dentro un contesto dei media in cui i quotidiani sono profondamente cambiati, senza che talora nemmeno i lettori e i giornalisti ne siano pienamente consapevoli. Nei tempi antichi le notizie erano scarse e circolavano solo come passa parola all'interno di comunità ristrette; perciò ai quotidiani toccava il compito di mettere in pubblico (pubblicare) dei fatti che erano ignoti. Oggi non è più così per nessun giornale: il loro vecchio meccanismo produttivo fa sì che la mattina i quotidiani arrivano tra le mani di lettori che già conoscono le notizie principali: i risultati delle partite si sanno il giorno prima, e non solo i risultati: anche i commenti, le moviole e tutto il resto. Lo stesso dicasi per un fatto di sangue, per i rapiti in Iraq e persino per le insignificanti parole di Buttiglione. Altri mezzi di comunicazione garantiscono un flusso continuo di notizie, pochi istanti dopo che i fatti sono avvenuti.
La rete Internet, secondo un recente sondaggio di Yahoo! viene consultata sempre più frequentemente durante il giorno anche e proprio dai lettori abituali dei quotidiani (http://www.clickz.com/news/article.php/3431071). Ai giornali quotidiani del 21esimo secolo tocca allora un altro compito, quello di "fingere" di dare le notizie, mentre in realtà ne danno solo e soprattutto il colore, il profumo, il tono. Non per caso si lavora di titoli, editoriali e vignette. Non per caso il manifesto da anni ha scelto una prima pagina così atipica, di foto e di titolo, di iena e di Vauro, che accentua la soggettività e dove ogni elemento è difficile perché ad alto rischio. Ma anche nei quotidiani più compassati la soggettività c'è: l'impaginazione propone un'arbitraria gerarchia di importanza e di valori e le pagine sono più una guida alla riflessione che una collezione di breaking news (fatti nuovi e dirompenti). Dunque facciamo mostra di dare una notizia, ma in realtà quello che offriamo e vendiamo non è la notizia, bensì il suo implicito commento: succede così ogni giorno, ma lo si percepisce (con stupore, indignazione o ironia) solo quando nel frattempo la notizia si è rovesciata nel suo speculare contrario: Bush 286, Kerry 252.
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