I «sovversivi» messi in rete
L'ultimo arresto è quelli di Mahboudeh Abbas-Gholizadeh, che dirige il giornale on-line Farzaneh: è stata arrestata il 1 novembre, era appena tornata da Londra dove aveva partecipato al Forum Sociale Europeo. La polizia ha anche sequestrato l'hard disk del suo computer. Due giorni prima avevano arrestato Fershteh Ghazi, giovanissima giornalista che scriveva di diritti delle donne sul giornale Etemad (che in farsi significa «Verità»): teneva anche un web-log, o blog, uno di quei siti web che stanno tra il bollettino di notizie e il diario personale o collettivo. Un paio d'anni fa aveva scritto una lettera aperta in difesa di una donna condannata a morte per aver ucciso l'uomo che tentava di violentarla, un caso di cronaca che fece scalpore - tanto che la pena capitale fu poi revocata. Due settimane fa Fershteh Ghazi è stata convocata in tribunale: «Hanno detto che dovevano farle alcune domande, di andare in un certo ufficio del tribunale all'aereoporto», dice il marito, Mohammad Beiglou, un giovane dall'aria disorientata: «Siamo andati: dopo un po' mi hanno detto che l'avrebbero portata in un altro ufficio. Non l'ho più vista. Quando ho chiesto di lei mi hanno solo detto che era agli arresti». L'arresto delle due donne fa parte di una nuova ondata di repressione verso giornalisti e scrittori in Iran: 21 giornalisti incarcerati in meno di due mesi, di cui 9 sono anche bloggers. Anche un numero imprecisato di tecnici del web è stato arrestato. Diversi siti web sono stati chiusi, alcuni personali e altri notoriamente legati alla formazione guidata da Mohammad Reza Khatami (fratello del presidente della repubblica, leader dello schieramento riformista che è stato estromesso dal parlamento con le ultime elezioni), il quale ha protestato. Internet insomma diventa un bersaglio, e si capisce: dopo la chiusura di decine di giornali indipendenti, è rimasta l'unico rifugio per giornalisti o attivisti politici riformisti. La settimana scorsa il capo della magistratura, ayatollah Mahmoud Shahroudi, ha perfino annunciato nuove norme di legge per punire chi «dissemina informazioni atte a disturbare l'ordine attraverso i sistemi informatici o di telecomunicazioni».
Di cosa siano accusati, questi giornalisti e blogger, non è chiaro: un portavoce della magistratura ha parlato di «propaganda contro il regime, attentato alla sicurezza nazionale, incitamento al disordine pubblico e vilipendio dei valori sacri», le accuse standard rivolte a chi scrive. L'ayatollah Shahroudi ha detto che saranno processati per «reati morali». E' stata citata l'accusa di «atti immorali». Non è chiaro neppure dove siano detenuti: «Sappiamo che sono stati arrestati dalla sezione nona del tribunale di Tehran, e basta. Sono detenuti in luogo sconosciuto, e questa è in sé una cosa illegale», dice l'avvocato Mohammad Seyfzadeh, che incontro nel suo piccolo ufficio nel centro della capitale iraniana. Omid Memariyan, giornalista on-line, si sente contestare nuove accuse a ogni nuovo interrogatorio: «Da quando l'hanno arrestato il 10 ottobre, nel suo ufficio, l'abbiamo sentito due volte al telefono e una volta l'abbiamo anche visto: era molto scosso. Continua a dirci di non parlare con nessuno. Lui stesso non sa dove lo tengono», ci ha detto sua madre.
Salmaz Sharif, lei stessa giornalista, racconta che la polizia ha fatto irruzione in casa sua all'alba quando tutti dormivano, ha perquisito l'appartamento («senza mandato») e portato via suo marito, Roozbeh Mir-Ebrahimi, giornalista che scrive sul web da quando in luglio ha chiuso l'ultimo giornale indipendente in cui entrambi lavoravano. «Non ho saputo nulla di lui fino a una settimana dopo, quando mi ha telefonato: nervosissimo, ha detto di non dire nulla a nessuno e ha riattaccato. Una settimana dopo di nuovo mi ha detto che era sotto pressione, di non dare notizie sul suo conto perché avrei peggiorato la sua situazione». Lei ha fatto il contrario: «E' quello che vogliono, farti scomparire in silenzio». Lunedì i «parenti dei detenuti di internet» hanno fatto pervenire all'agenzia semi-ufficiale Isna un comunicato: si sono riuniti per fare insieme pressione a favore degli arrestati. Ieri è comparsa sui giornali la notizia che saranno tutti processati la settimana prossima.
«Tutto di questi arresti è arbitrario: non gli sono state contestate accuse, non hanno contatto con un difensore, sono tenuti in luogo sconosciuto», si indigna l'avvocato Seyfzadeh, che fa parte dell'Associazione di avvocati per i diritti umani con la premio Nobel Shirin Ebadi e altri due colleghi. Alcune delle famiglie si sono rivolte a loro e lui, con un mandato della difesa, è andato a cercare loro notizie a Evin, il carcere nel nord di Tehran tristemente noto per aver ospitato oppositori fin dai tempi dello Shah: ma solo tre degli arrestati sono là. «Non ho avuto il permesso di incontrare loro né gli altri, non mi hano neppure lasciato depositare le carte per costituirmi come difensore».
L'avvocato Seyfzadeh dipinge un quadro allarmante. La repressione contro chi scrive su internet è l'ultimo atto di una storia cominciata anni fa: «Prendiamo a riferimento il 2000 perché è allora che la chiusura di giornali e l'arresto di giornalisti sono diventati una cosa sistematica e organizzata, in tutto il paese». Era la reazione, dopo il periodo di grandi aperture seguito all'elezione di Mohammad Khatami alla presidenza della repubblica, quando erano fioriti giornali indipendenti e un vento di libertà spirava sull'Iran: anche perché, in un paese dove le organizzazioni politiche sono fragili e hanno statuto legale incerto, la critica politica si è espressa proprio attraverso i giornali.
Negli ultimi quattro anni dunque centinaia di testate sono state chiuse, decine di giornalisti arrestati. E' vero però che nuovi giornali continuavano ad aprire, magari con lo stesso gruppo di redazione che ritentava con un nuovo nome. «Finora, in ogni momento c'era almeno un paio di giornali riformisti in edicola. Ora le cose sono cambiate: nessun giornale dichiaratamente riformista arriva in edicola. Non ci sono giornali indipendenti: e questo è il segno di un notevole peggioramento nella situazione dei diritti umani e delle libertà».
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