L'ultima intervista a Yasser Arafat che non vogliono far vedere

18 novembre 2004
Luciana Castellina
Fonte: Il Manifesto

La sera dell'11 novembre, dopo che, al mattino, era stata data la notizia della morte di Yasser Arafat, gli italiani hanno trovato sugli schermi televisivi i programmi consueti: i soliti talk show, le solite fiction e soap opera varie. Mai era accaduto che il giorno della scomparsa di un uomo illustre, politico o artista, i palinsesti siano rimasti inalterati. E questo sebbene il decesso del presidente palestinese fosse annunciato da tempo e ogni rete avesse dunque avuto tutto il tempo di preparare il «coccodrillo» audiovisivo. Né si può dire che mancasse materiale adeguato. Anzi. Raitre sapeva che c'era in Italia, a sua disposizione ove l'avesse voluto, un documento eccezionale: l'ultima intervista occidentale a Abu Ammar, corredata da materiali di archivio da noi inediti forniti dalla Tv palestinese, cui si era aggiunto il filmato della sua partenza per la Francia, immagini rare che non si erano ancora viste. Quaranta minuti , autori e produttori Mauro Parisone e Paolo Mondani, che aveva incontrato a giugno Arafat alla Mukata per un servizio sull'Onu trasmesso poi da Report che delle parole del presidente palestinese aveva usato solo pochi minuti. Più «lungimirante» della Rai La 7, che aveva deciso di usare il reportage la sera, subito dopo la trasmissione di Giuliano Ferrara. Una scelta del direttore di rete Campo dall'Orto, cassata dal direttore del Tg Giustiniani, che dopo il talk show Otto e mezzo ( per l'occasione Fiamma Nierestein, tre filo israeliani e un palestinese ) ha mandato tranquillamente in onda quanto previsto: il programma chiamato Sfera. Dichiarando all'Ansa che il documento che avevano annunciato era «irrilevante». Comunque troppo filopalestinese ( sebbene una voce narrante, e quindi eventualmente faziosa, non ci sia nemmeno). Filopalestinese risulta ovviamente Arafat, ma sarebbe difficile pretendere il contrario.


Questo che riferiamo non è che l'esempio più clamoroso dello scandalo televisivo che ha accompagnato la morte del presidente dell'Autorità palestinese, cui ha fatto da sfondo il commento di buona parte della stampa e dei resoconti radiofonici. Tutti tesi ad avallare la tesi di Sharon e Bush secondo cui una soluzione equa per la Palestina si sarebbe potuta trovare solo una volta scomparso Abu Ammar il violento, responsabile di bloccare ogni ragionevole negoziato.

Che l'intervista di Mondani sia stata censurata è comprensibile: trasmetterla avrebbe reso più ardua la manipolazione, una delle più vergognose di questi anni.

Già le prime battute - dedicate all'Onu - sarebbero state sufficienti a smascherare lo scandalo dimenticato: «certo che l'Onu potrebbe risolvere il problema - dice Arafat - ma a condizione che il mondo rispetti le sue risoluzioni». Che egli cita una a una: la 232, la 338, la 252, la 425, la 1394, la 1515, la 1544, la 194, la 292/58 (che proibisce, dal 1968, la presenza di truppe israeliane nei territori occupati, ivi compresa Gerusalemme ovest!). Ma il «quartetto» - come egli chiama Europa, Usa, Russia e Onu - non ha nemmeno consentito - aggiunge - che si applicassero gli accordi sanciti alla Casa Bianca. E il «violento» denuncia le distruzioni arrecate, l'uso, da parte di Tshalal, di armi all'uranio denunciate da due commissioni di controllo, una americana e una olandese; mostra le foto della Chiesa di S.Barbara, la più antica del Medio Oriente, ridotta a macerie.

Mentre sullo schermo passano straordinarie immagini del sanguinoso attacco israeliano sulla spianata delle Moschee, la gente che fugge, i feriti, i cadaveri: e poi l'inizio, proprio lì dopo il massacro, della seconda Intifada, i bambini che tirano i sassi contro i carri armati.

Il «violento» parla molto del papa nell'intervista: «sono orgoglioso del mio rapporto con lui», dice, e seguono nuovamente altre immagini di archivio, la visita del pontefice a Betlemme, mano nella mano del guerrigliero con la kefiah.

Io spero che L'ultimo Arafat alla fine sia trasmesso da qualcuno. È un documento straordinario e struggente sulla vita di Abu Ammar: dai primi tempi, quando ci appare giovane guerrigliero insieme ai primi feddayn, che imbracciano le armi per testimoniare della volontà del popolo palestinese di non dipendere più dagli ipocriti regimi arabi, di essere cittadini e non più emigranti; gli anni della lotta e della diplomazia, fino al ritorno dall'esilio, dieci anni fa, quando bacia la sua terra in un tripudio di commozione e speranza, via via frustrata nei tanti incontri imbroglioni di cui scorrono le sconcertanti immagini: con Clinton, Chirac, Albreight, Blair, Mubarak, la Lega araba....

Quello che parla nel filmato è un Arafat ancora pieno di energia, arguto, sorridente, tuttora fiducioso, che continua a citare il suo «amico Rabin», a tendere la mano «a chi in Israele vuole la pace». Poi la partenza per la Francia, e in ultimo, la sua figura minuta e sola sulla spiaggia di Gaza, che guarda lontano in un raro momento di tristezza.

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