La stampella della stampa

15 dicembre 2004
Roberta Carlini
Fonte: Il Manifesto

Supporti, come li chiamano gli edicolanti. Gestione extracaratteristica, add-on, circulation opzionale, come si scrive nelle relazioni ai bilanci e nelle loro analisi. Arricchimento dei giornali, come diceva da presidente degli Editori l'attuale tripresidente - di Confindustria, Fiat e Ferrari - Cordero di Montezemolo. Collaterali, come aggiungono per brevità un po' tutti. Sono i tanti modi per chiamare gli stessi prodotti: libri, dvd, cd, cd-rom e simili che da due o tre anni riempiono le nostre edicole e i nostri scaffali. Sono i protagonisti della parte rosea - quando c'è - del bilancio degli editori di giornali e di un boom di vendite senza precedenti e senza paragoni in Europa. Che ci ha portato ad essere il paese in cui si compra di più in edicola pur continuando a mantenere il primato negativo del paese in cui si leggono meno giornali (da tre anni siamo scesi sotto i 6 milioni di copie medie giornaliere vendute in edicola). Da questi «effetti collaterali» dei giornali prende il via la nostra ricognizione sullo stato della carta stampata quotidiana in Italia: la cui caratteristica è di sfangarla proprio grazie alla «gestione extracaratteristica».

La scoperta dell'edicola

C'è chi ha ampliato l'edicola, chi usa scatoloni o treppiedi sistemati alla bell'e meglio sul marciapiede, chi si allarga utilizzando il bagagliaio del furgoncino o della macchina. L'edicolante di via dei Prefetti, viuzza stretta nel cuore di Roma, per sua fortuna abita a due passi e così usa casa sua per scaricare la mattina i «supporti» e organizzare le rese - l'invenduto, da rispedire all'editore. Quasi tutti hanno dovuto prendere altri familiari o ragazzi a bottega per smaltire l'enorme carico di lavoro e di affari in più. Contando solo i libri, quest'anno si pensa che la vendita di volumi in edicola toccherà la vetta dei 75 milioni. In Italia ci sono circa 40.000 edicole «esclusive», che vendono cioè solo giornali e prodotti editoriali. Nella media, fanno 1.875 libri venduti per edicola. Senza contare tutti gli altri prodotti, nazionali e locali. Per farla breve: in tre anni, dicono al Sinagi, che è il sindacato degli edicolanti della Cgil, il prodotto editoriale tenuto immobilizzato nelle edicole è cresciuto del 150%. «L'incasso c'è, non ci lamentiamo, ma c'è pure tanto lavoro in più», dice Patrizia Campagna, un'altra edicolante romana, muovendosi a stento tra le pile di dvd del venerdì, giorno di uscita dei principali settimanali. Vista da chi vive nei chioschi - dove gli scaffali verticali diventano sempre più importanti rispetto agli espositori orizzontali di quotidiani e periodici - è «la rivincita dell'edicola»: dopo aver insistito per anni per ampliare i punti vendita e portare i giornali nei supermercati, gli editori hanno scoperto che è molto più conveniente portare i supermercati in edicola. I giornali venduti nei supermercati, dopo anni dai primi tentativi, adesso non sfondano la barriera del 3,5%. Mentre vanno alla grande i supermercati dei giornali. Purché si portino in edicola prodotti coerenti: non gadget qualsiasi, come per un periodo è stato, ma «prodotti multimediali», ossia merce da leggere o ascoltare o guardare - che certo affianco ai giornali sta meglio di salumi o casalinghi.

Mutazione genetica

Nell'ultima relazione della Federazione degli editori si parla del fenomeno in toni entusiastici. Solo la bravura imprenditoriale dei nostro soci, vi si legge più o meno, è riuscita a aver la meglio sul fato avverso: fato che ha il nome e il cognome di Silvio Berlusconi e del prosciugamento che il sistema Mediaset-Rai fa degli investimenti pubblicitari (ma su questo torneremo in una successiva puntata). Bloccata la pubblicità, stagnanti le vendite, gli editori hanno messo mano ai costi - con ristrutturazioni aziendali e tagli qua e là - e alla politica commerciale. I nuovi prodotti non sono destinati più (solo) a raccogliere pubblicità, ma a sfornare profitti, denaro sonante. «Siamo a una mutazione dell'attività editoriale», dicono alla Fieg. Che vuol dire questo: il «marchio» del giornale si allarga a tutto ciò che esso decide di connettere in edicola, i contenuti che ne determinano il successo possono non avere niente a che vedere con le notizie, i commenti, insomma quelli strettamente giornalistici. Una prova? Nel 2001 - anno forte, anzi eccezionale dal punto di vista delle notizie: crollo delle Due Torri, e qui in Italia elezioni politiche e fatti di Genova - i giornali mediamente hanno perso copie rispetto al 2000, con un calo medio dello 0,9%, e nel 2002 il calo è continuato, con le vendite medie giornaliere in edicola scese al di sotto dei 6 milioni. Ma nel 2002 è esploso con l'Enciclopedia de la Repubblica il mercato dei supporti, gli altri hanno iniziato a seguire a ruota. E' stato quello l'anno della svolta, l'anno del quale il settore «marketing» delle aziende editoriali ha salvato le penne agli altri. Infatti, mentre le vendite medie sono scese rispetto al 2001 del 3% e anche la pubblicità è crollata i ricavi editoriali complessivi sono saliti del 3,7% e i ricavi per copia dell'8,7%. Arrivando all'anno 2003, il calo delle vendite sul 2002 è dell'1,8% mentre i ricavi editoriali totali sono saliti del 5,4%.

Il pioniere Walter

Tra i padri della mutazione genetica, campeggia per fatturato e potenza di fuoco il gruppo Espresso-Repubblica (v. l'altro articolo in questa pagina). Ma ad aprire la strada era stato, ben prima di scalare Palazzo Chigi e il Campidoglio, Walter Veltroni, direttore di quell'Unità che all'inizio degli anni `90 veicolò in edicola le prime collane di videocassette del cinema italiano e americano. Fu un grande successo. La febbre da Vhs era così forte che una volta, in occasione di uno sciopero e con Novecento di Bertolucci già in distribuzione, il quotidiano fondato da Gramsci andò in edicola insieme a quelli dei crumiri con due foglietti stampati solo per accompagnare le videocassette ed evitare un tracollo commerciale. L'ex direttore dell'Unità non è affatto entusiasta della piega che il fenomeno ha preso oggi. «Il nostro era un caso in parte diverso da quello di oggi - dice Veltroni - noi proponevamo ai nostri lettori un'offerta omogenea e coerente, giornalistica e culturale. Insomma il lettore non vedeva soluzione di continuità tra l'impostazione del quotidiano e la selezione di prodotti culturali che veniva proposta, era dunque possibile che il giornale diventasse volano di nuova richiesta di cultura ma anche di nuovi contenuti giornalistici». Oggi invece? «Il gadget ha natura autonoma e spesso puramente di richiamo commerciale, in un'escalation di battaglia anche pubblicitaria che concentra l'attenzione solo su quello. Si arriva ad avere la sgradevole impressione che l'allegato sia il quotidiano, piuttosto che il contrario». Quanto al futuro, «è un fenomeno che non si esaurirà a breve, ed è vero che ha aiutato a salvare i bilanci, ma non ha fatto aumentare i lettori».

Note:
I numeri del boom
L'esplosione è del 2002, anno in cui i prodotti editoriali allegati ai giornali raggiungono la quota del 5% del fatturato. Nel 2003 il fenomeno raddoppia e l'incasso da «effetto-collaterali» balza al 9-10% dei ricavi. Sull'insieme dei bilanci degli editori del 2003, i collaterali fanno 400 milioni di euro (di cui 320 dai prodotti allegati ai quotidiani e gli altri da periodici), su 3.360 milioni di euro di ricavi editoriali totali. Se nel 2002 i ricavi erano stati garantiti anche dall'aumento del prezzo, nel 2003 la loro crescita è totalmente da attribuire ai prodotti allegati, ed è pari al 5-6%. Poiché che nello stesso anno i costi sono aumentati solo del 4%, i giornali hanno chiuso (nella media) in attivo il 2003.

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