"Etnequal Social Communication"
Emergenza, maree umane, invasioni. Che sia di tipo idraulico, bellico o allarmistico, il linguaggio che i media italiani utilizzano per parlare di immigrazione è spesso inadeguato, ideologico o in ritardo. In ritardo, come spiega Roberto Seghetti (Fnsi), rispetto a una società che è cambiata rapidamente negli ultimi decenni e che, stando alle parole di Roberto Morrione (Rainews 24), «i media non riescono ad analizzare a 360 gradi soprattutto quando si parla di immigrazione, perché manca l'indipendenza psicologica e culturale che porta a cogliere le cause e le conseguenze reali, nel panorama della globalizzazione economica e politica». Nel convegno dedicato a "La responsabilità sociale dell'informazione: l'immigrazione e i media italiani", organizzato il 15 dicembre a Roma dal dipartimento di Sociologia e Comunicazione dell'Università "La Sapienza", sono intervenuti esperti del mondo accademico, dell'informazione e dell'associazionismo. Tutti lì a presentare il risultato della ricerca "Etnequal Social Communication", raccolto nel volume "Fuori Luogo, l'immigrazione e i media italiani" (prossimamente in libreria per la Eri). Il progetto si proponeva, come spiega il preside della facoltà di Scienze della Comunicazione Mario Morcellini nel saggio di apertura, di «contrastare il pregiudizio e l'intolleranza diffusa nei confronti dei migranti», perché la comunicazione «diventi il perno e l'elemento-chiave nella costruzione di una società pluralistica». Messaggi e impegni fondamentali in un periodo come quello che il nostro paese attraversa. Impreparati di fronte a un fenomeno che ci si ostina ad affrontare con modalità e toni esclusivamente emergenziali, ancora una volta ci troviamo davanti articoli e servizi che raccontano di «maree umane», e «sbarchi di disperati». Le immagini, foto e video, del solo momento dell'arrivo, esauriscono nel loro impatto visivo superficiale un fenomeno complesso come quello delle migrazioni, composto da individualità e progetti di vita, preceduto da cause connesse a problematiche internazionali di ordine economico e politico, seguito da conseguenze vergognose: segregazioni ed espulsioni irrispettose dei più elementari diritti umani, troppo spesso descritte come pratiche di "accoglienza".
L'invasione di queste "masse", qualche sparuta notizia di cronaca nera che ha come protagonisti cittadini stranieri, e discorsi più o meno sterili relativi alla difficoltà di integrazione delle "diversità" culturali, sembra essere tutto ciò che, a parte gruppi minoritari di giornalisti e attivisti antirazzisti, l'Italia è ad oggi in grado di raccontare dell'immigrazione. Per questa ragione è importante che abbia trovato forma un progetto come "Etnequal Social Communication" e che tutti gli interventi del dibattito che ne ha presentato i risultati abbiano sottolineato l'importanza che i media, superati gli stereotipi e le facili equazioni di "immigrato come clandestino quindi delinquente, islamico e spesso terrorista", prendano la responsabilità di rendere le diversità, di qualunque natura esse siano, dialogabili e interagibili, e che si preoccupino di non incentivare una visione delle migrazioni che, laddove non sia apertamente razzista, risulti comunque ansiogena o banale.
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