«Addio libertà di stampa»
Ora la cosiddetta «riforma» che di fatto mette a rischio carcere ogni «rivelazione» sulle cosiddette missioni di pace, dopo essere stata approvata al Senato, arriva alla Camera. Abbiamo rivolto su questo alcune domande a Ennio Remondino, tra i più noti giornalisti televisivi, inviato di guerra e commentatore di politica internazionale, autore fra l'altro di «La televisione va alla guera» (Sperling&Kupfer); in questi giorni un suo lungo intervento sul lavoro giornalistico dentro i conflitti armati appare nel libro «Il braccio legato dietro la schiena», a cura di Mimmo Càndito (Baldini e Castoldi).
Come giudichi questa «riforma» che estende il codice militare di guerra alle missioni di pace?
Più che una riforma è una controriforma. E' l'espressione di una classe politica che non ha mai accettato per l'informazione un ruolo terzo e di garanzia per i cittadini. Siamo alla totale assenza di cultura democratica. C'è un potere terzo,quello della magistratura, che è posto in discussione, c'è un potere quarto che è la libera informazione e che ora l'autorità politica, male intesa - che fine fa la dialettica democratica? - cerca di sottoporre al suo controllo, possedendo televisioni e giornali. A questo punto possedendo leggi tout-court. E' molto grave, è un pessimo episodio per la democrazia in Italia.
Secondo queste decisioni, arrivate ormai in Parlamento - diventano operativi gli articoli 72 e 73 del codice penale militare, quelli sulla «illecita raccolta, pubblicazione e diffusione di notizie militari»; praticamente è punito con la reclusione militare da due a dieci anni «chiunque si procura notizie concernenti la forza, la preparazione o la difesa militare, la dislocazione e i movimenti delle forze armate, il loro stato sanitario, la disciplina e le operazioni militari e ogni altra notizia che non essendo segreta ha tuttavia carattere riservato»; ma se poi le notizie raccolte vengono diffuse, gli anni di carcere arrivano ad un massimo di 20...
Ma sei sicuro che non sia parte del corpo legislativo della Repubblica di Salò? Immagino l'applicazione di questa nuova legge, magari alla prossima guerra laddove siano coinvolte forze armate italiane sia in missione di «pace» sia in missione armata ufficialmente riconosciuta. Saremo impediti dallo spiegare ai telespettatori o ai lettori la realtà, a tradurre per esempio il concetto di effetto collaterale. Perché il lessico militare, così estroso, così mimetico come le tute, non definisce gli effetti di una bomba cretina (che sono la maggioranza, perché le bombe e i missili partono tutte «intelligenti» poi, sul bersaglio, son mortalmente cretine) che distrugge bersagli civili e che uccide. Ecco che nel momento in cui io svelo ciò, svelo un segreto militare di fatto. Nel momento in cui mi occupo della morte dei nostri poveri cristi di soldati mandati sui campi di battaglia inquinati dall'uranio impoverito cosa faccio?Violo il segreto militare ovviamente. Quindi loro son destinati a continuare a morire e io, se provo a raccontare cosa sta accadendo, finisco in galera: è questo che vuole il legislatore italiano?
Tu hai raccontato gli effetti di tanti bombardamenti «umanitari». Che fine fa quel lavoro?
Fa la fine che sta facendo tutto il giornalismo non irregimentato, temo. Soltanto che questa volta mi sembra un po' troppo esplicito, persino per l'attuale situazione di libertà condizionata della stampa italiana: parlare di libertà di stampa in Italia credo che sia veramente una presa in giro, diciamo che siamo in libertà vigilata, condizionata. Se passa questa legge credo che per quanto riguarda il giornalismo che abbiamo fatto tu ed io, e tanti altri colleghi sui fronti di guerra, la partita è davvero chiusa. Neppure l'embedded potremo fare, soltanto i trombettieri. Tanto vale che diano direttamente la velina dell'alto comando, modello veline parlamentari di altri tempi.
Come giudichi il fatto che finora solo pochi giornali abbiano avuto un moto di rivolta nei confronti di questa «riforma»?
Sulla questione della minaccia alla libertà di stampa di questi tempi ho visto tante, troppe distrazioni. Quindi mi stupisco molto poco. Sono distrazioni ad uso e consumo di chi tutto sommato non ha mai creduto al giornalismo militante, inteso non come schieramento politico-ideale ma come non affiancamento del potere. E' un pessimo segnale da parte della categoria, speriamo che sia soltanto un aspetto di distrazione non vorrei che fosse di collusione. Fra l'altro, una legge di questo genere farebbe un pessimo servizio alle stesse forze armate che, con il confronto con la società civile e con l'informazione negli ultimi quindici anni, hanno imparato a crescere e a rappresentarsi in maniera più dignitosa rispetto alla loro funzione reale, come un pezzo di società e non come un corpo separato dello Stato. E' avvenuto anche grazie a un giornalismo libero, critico ma libero. Il giornalismo delle veline invece rappresenterà solo una struttura gerarchica e basta.
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